Angela, capo della Squadra Mobile

La sua storia in 10 righe

Sono nata a Siracusa nel 1967 – è tempo adesso del mio 47mo compleanno! Siracusa è una città bellissima, che ho ritrovato ancora più bella negli ultimi anni. E’ la città in cui ho vissuto sino all’età di 21 anni. Poi mi sono spostata a Catania per i primi anni di università e da lì ho partecipato ad un concorso per Vice-Commissario (era il 1988). Dopo averlo superato, per 4 anni ho studiato all’Accademia (che all’epoca si chiamava Istituto Superiore di Polizia). Nel ’93 ho avuto la mia prima sede, a Caserta. Dopodiché ho diretto un Commissariato in Sicilia e successivamente ho lavorato alla Squadra Mobile di Siracusa.

Dal 2006 fino a quest’anno, sono stata al Servizio Centrale Operativo (SCO) del Ministero dell’Interno. Lì ho vissuto indagini importanti, alcune svolte direttamente dalla sezione da me diretta.

Dal 1 settembre 2014 dirigo la Squadra Mobile della Questura di Venezia.

Questa è una città straordinaria, l’ho conosciuta da turista e lo confermo ora da poliziotta che qui lavora lavoratrice. Ha un modo di articolare la tua vita completamente diverso, e parlo sia delle cose personali che di quelle di servizio.

La mia vita è stata quindi sempre su e giù per l’Italia. Da bambina ho fatto tutte le cose che si fanno a quell’età – sport compreso: danza, nuoto… Poi la battuta di arresto è stata durante le superiori, ho ripreso lo sport durante il quadriennio all’Istituto: abbiamo molte discipline fisiche lì oltre lo studio.

Una cosa a cui mi piacerebbe dedicarmi di più ora? Proprio lo sport. Le tensioni in ufficio servono però per mantenermi egualmente in allenamento!

Nel 2006, per uno sfizio personale ho preso la seconda laurea in Scienza delle Pubbliche Amministrazioni (la prima era in Giurisprudenza).

 

Passioni?

Sicuramente gran parte della mia giornata è dedicata al lavoro, ma mi piace molto viaggiare. Amo il mio Paese, l’Italia, e prima di viaggiare all’estero preferisco dedicarmi per bene a lui. Non posso programmare viaggi lunghi visto il lavoro che faccio e mi limito a brevi vacanze o approfitto dei pochissimi weekend liberi. Mi piace molto nuotare e, in un’altra vita, influenzata dalle origini siracusane, mi piacerebbe occuparmi di archeologia. Non ne capisco nulla e non riesco a dedicarci tempo, sono discipline difficili da coltivare quanto si vorrebbe, ma almeno si hanno nel cuore. E sono importanti.

 

Sposata? Famiglia?

No, non sono sposata e non ho figli.

 

Il suo mestiere è nobile ma a volte dibattuto nell’opinione pubblica a causa di casi controversi che vedono spesso gli animi contrapporsi e inasprirsi.

Ci descrive l’impronta umana che la sua persona lascia ogni volta che inizia, si arrovella e lavora, fino a risolvere un caso? Mette in fila, come può immaginando dall’altro lato dello schermo un lettore meravigliato, i moti della sua anima prima e dopo, o quel che viene via da lei e passa nella vita e nelle storie di colpevoli catturati e di quelli da catturare, di deboli difesi di più, di comunità più serene o meno assediate?

Le esperienze lavorative nel nostro mestiere sono assai variegate. I moti dell’animo sono molto diversi – a seconda del contesto in cui andiamo ad operare.

Ovviamente nell’arresto di persone responsabili di reati, spero di aver lasciato in loro l’idea che una giustizia esiste: chi sbaglia deve pagare e la legge viene applicata.

Spesso ci troviamo di fronte ai sentimenti delle vittime, centrifugate nella frenesia delle indagini. Magari nello scoprire l’autore del reato, si punta (proprio per fare giustizia) ad esso e spesso non si ha l’attenzione verso la vittima. Per fortuna da anni, nelle nostre procedure, ci siamo abituati ad un approccio diverso, che significa anche rassicurare la vittima. Spesso la sua passione ed il suo dolore in alcuni casi ti coinvolgono, specie in reati ai danni di bambini o in casi particolarmente efferati. Ti coinvolge molto anche l’approccio con i loro familiari che chiedono giustizia, informazioni … C’è quindi un doppio approccio costante: nei confronti dell’autore del reato e nei confronti della vittima. La sensibilità nei confronti della vittima è attiva sin dal primo momento. Quando collabora – quindi la sensibilità significa assumere tutte le informazioni – o quando non è più in grado di farlo, in quel caso applico la massima sensibilità nei confronti dei familiari …

 

C’è una tale carica emotiva nel lavoro che fa lei che non credo sia per tutti. Nelle storie di giustizia che lei ha attraversato, quando ha avuto le sensazioni più forti dalla comunità che ha reso più sicura?

Avendo avuto un’esperienza in Sicilia, sicuramente è accaduto durante operazioni antimafia contro i clan delle Provincie in cui ho lavorato.

Al Servizio Centrale Operativo, un’indagine che mi ha particolarmente segnata dal punto di vista umano è stata quella di un bambino sottratto da un’infermiera alla propria madre. Non dimenticherò mai gli occhi di quella madre. E il pianto liberatorio del papà al suo ritrovamento.

Allo SCO mi sono occupata anche d’immigrazione clandestina. In parecchie occasioni ho visto l’arrivo dei barconi stracarichi di persone con bambini al seguito. Lì ho toccato con mano la paura; la voglia di scappare da situazioni di disagio, di povertà, di guerra. Hanno tutto nei loro occhi: leggi da un lato il terrore e dall’altro la felicità di essere arrivati (vivi). Che non è scontato.

C’è un’altra cosa molto bella nel mio mestiere: i giovani. Spesso ci incontriamo con loro nelle scuole e proviamo a trasmettere l’amore per la legalità. Anche se l’uditorio è spesso vasto, per noi già inviare un messaggio è importante. E che arrivi anche solo a due persone è già un successo.

Un’altra bella esperienza con la cittadinanza e le scolaresche l’ho avuta quando stavo alle Volanti: i bambini che venivano in Sala Operativa avevano una curiosità superiore a quella di un adulto e un’arguzia notevole. Spesso facevano domande che ti mettevano in difficoltà.

Le ripeto, la carica emotiva che noi dobbiamo calibrare è variegata. C’è quella dell’investigatore, dove devi essere freddo e razionale per applicare una strategia. Poi c’è tutto un altro tipo di uditorio, ad esempio i cittadini che nulla hanno a che fare con i reati ma che hanno comunque un rapporto con la polizia. Da quelli che segnalano, a quelli che ti incontrano per strada e ti incoraggiano.

 

Crede ancora nella fortuna dottoressa? O si consola con episodi più concreti come forza, struttura, regole e cooperazione tra corpi (militari e civili)?

Sicuramente in una struttura, in un ufficio, la logica e l’organizzazione sono imprescindibili: non ci si può affidare all’improvvisazione. Ordini, priorità, procedure e protocolli sono importanti. Per l’investigatore è anche importante l’intuito e una buona dose di fortuna.

 

Che tipi di incontri fa quando lavora? E quando invece si gode qualche ora di meritato riposo?

Bella domanda: tenendo presente che gran parte della giornata per me è lavoro, le persone che incontro sono per la maggiore contatti professionali, però sono assai diverse tra loro. Ad esempio i magistrati, li incontriamo spesso per concordare le attività investigative.

Per noi la linfa poi sono le segnalazioni dei cittadini. Spesso non richiedono interventi di tipo repressivo, a volte esternano situazioni di disagio e di degrado e noi li ascoltiamo e facciamo da collante con le istituzioni preposte. Abbiamo sicuramente rapporti con associazioni di categoria che sono portatrici d’informazioni o che offrono collaborazione se occorre. Abbiamo come dicevo rapporti con le scuole, con le altre forze di polizia. Sono tutti rapporti istituzionali che fanno parte naturalmente del nostro compito.

Ci sono poi gli avvocati di persone offese, non solo dei colpevoli … insomma le persone sono tante e di natura diversa.

Fuori dal lavoro, cerco un momento di relax per trovare la possibilità di ricaricare le pile ma anche attimi per coltivare le amicizie di scuola, o di colleghi che non frequento più quotidianamente con cui però sono diventata amica … Spesso passano mesi per cui non c’è una mezza giornata di tempo per qualcosa d’altro e, alla fine, quel momento spesso serve solo per ricaricarti.

 

A Venezia ha già trovato un luogo che le ricarica le pile?

Da fine gennaio sarò veramente fissa a Venezia, ora ancora viaggio molto con Roma, quindi dovremo riparlarne …. E approfitterò appieno della fortuna di questo incarico prestigioso capitatomi in una città così straordinaria.

 

Ci descrive i rapporti con suoi colleghi di altri paesi? Come vivete, a distanze geografiche e culturali magari anche notevoli, la vostra vita?

Per la gran parte delle attività criminali ormai andiamo all’estero (traffico di droga, esseri umani, furti): è normale che le polizie straniere parlino tra loro. Il linguaggio è comune, al di là della normativa di ciascun paese. Spesso i problemi si risolvono in maniera diretta. I nostri rapporti sono gestiti dai Servizi Centrali, ci sono degli incontri dove ci sediamo tutti ad un tavolo tecnico, ma una volta che si sono stabilite le regole d’ingaggio ci rendiamo conto che gli obiettivi sono comuni. Il rapinatore che sta qui in Italia e va in Belgio o in Germania rappresenta un pericolo per noi come per loro. Spesso s’intavolano dei rapporti personali, al di fuori delle indagini, che si concretizzano in visite reciproche al di fuori del contesto lavorativo. Non è un discorso di uomini/donne, prescinde da questo: è indistintamente un sodalizio, un’amicizia. E spesso questo sodalizio ti aiuta a superare le prime difficoltà di svolgimento delle indagini, tenendo conto che comunque tutto deve passare formalmente dagli uffici deputati. La relazione tra due Stati – due Polizie – deve essere diretta nell’emergenza: i rapporti personali facilitano questo, poi tutto segue le sue griglie ed i suoi binari.

 

Cosa fa la società per lei?

Per me la società ha fatto tanto, mi ha consentito di rivestire un ruolo importante e di realizzare un sogno. Sin da piccola volevo diventare poliziotta. La società non mi ha voltato le spalle, non mi ha mai delusa ne’ demotivata. Non si è messa mai di traverso. Per me la società/vita ha fatto tanto. Mi ha permesso di conoscere tanti colleghi in questi anni. Specie quando ero a Roma, viaggiavo spesso in missione in tante questure. Ho conosciuto tante persone e tante realtà diverse. E mi sono arricchita dal punto di vista umano.

 

Cosa fa lei per la società e per la città che abita?

Cerco di ricambiare la fortuna che la società mi ha destinato. Come? Dedicandomi al meglio al mio lavoro giornalmente e non demoralizzandomi mai. Facendo degli insuccessi uno stimolo in più per andare avanti, forte delle nuove esperienze acquisite.

Ho sempre l’attenzione per l’ascolto degli altri. Tutte le persone vanno ascoltate. E quello che posso mettere a disposizione, lo metto. Con passione ed entusiasmo.

Cerco anche di pensare a cosa potrei fare ancora di più, per migliorare. Non so se riesco ad esprimermi, ma quel che voglio dire è che per me il lavoro è importante nel senso che un piccolo tassello in più è sempre un punto di partenza, mai di arrivo.

 

Una cosa bella, casuale e totalmente inaspettata, che le è capitata di recente, a parte l’importante promozione 

Oddio, difficile …e magari le sembrerà triste che non riesca a trovarne una così su due piedi a parte il lavoro …. ma, vede, io sono un’ottimista, mi dico sempre “dai andiamo avanti …” e non riesco a isolarne una in particolare … magari le rispondo un’altra volta, così ci penso un altro po’ ….

 

Una passione culinaria?

Rigorosamente lasagna siciliana. Ed il timballo di riso. Nonostante non sia sposata e viva da sola, la sera quando arrivo a casa, a qualunque ora, devo cucinare e mangiare in maniera sana e decente. Niente di precotto, surgelato …

 

Che vino/bevanda preferisce e perché?

Preferisco i rossi, su tutti. Non posso fare diversamente. Anche sul pesce. Siciliani, naturalmente, come il Nero d’Avola.

 

La musica o un libro che l’accompagna ora?

In questi giorni ascolto molto Renato Zero; il libro, direi le storie di Camilleri. Li ho letti quasi tutti ma mi piace rileggerli. Non avendo la possibilità di andare spesso a casa, mi regalano qualcosa della mia terra dovunque mi trovi. Gli scorci, il dialetto, gli odori (quando ad esempio descrive il pranzo di Montalbano).

 

Un talento che ha, uno che le manca

Non mi piacciono le falsità. Un talento che mi manca? Se una persona a pelle non mi convince molto, non riesco ad essere subito aperta ed espansiva… Ho bisogno di più tempo per entrarvi in relazione.

 

Non penso che per il suo lavoro lei possa vivere lentamente. Ma in altri momenti, quali sono i suoi metodi per vivere lentamente?

Vivo lentamente quando riesco a prendere le ferie e mi ricarico al sole ed al mare delle isole, la Sicilia soprattutto.

 

Cosa ha imparato sin qui dalla vita?

Ho imparato che se vuoi una cosa e sei perseverante ci riesci. Non solo, anche se ci possono essere dei momenti di difficoltà e di delusione (nonostante io sia un ottimista per antonomasia, vedendo sempre e solo il bicchiere mezzo pieno), mi servono molto. A rivedere cosa ho sbagliato (nel lavoro o nella vita personale) per non farlo ancora.

 

Angela Lauretta è state ritratta da Laura Volpato, Treviso, nel suo ufficio di Venezia con una Hasselblad.

Una risposta a “Angela, capo della Squadra Mobile”

  1. Pietro

    Dott.ssa. Augurissimi per la sua brillante carriera……. Con gioia e affetto vi saluto…ricordandivi che è stata la mia dirigente presso la squadra volante… Che ha diretto con orgoglio… ❤

    Rispondi

Lascia un commento