Fino a te

Fino a te non avevo mai capito. Fino a te non avevo mai sentito il mio corpo capace di diventare di ghiaccio. In un momento tutte le ossa, la pelle e l’interno più recondito diventano freddi, improvvisamente. Freddissimi, fino a rabbrividire, fino a non trovare altro che freddo, secernere ghiaccio che non può essere medicato o sciolto, stemperato.

 

Qui sta arrivando il vento del nord, mi sa che la piccola meravigliosa estate che abbiamo avuto in questi giorni sta per sparire.

Quando arriva il vento del nord mi manchi ancora di più, mi manca il collo e la barba dove rifugiarmi, le mani grandi in cui perdermi ed il colore tenue e deciso che la tua pelle assume al freddo. E’ quel rosa calcato con cui il tuo viso si ricopre quando esci con le mani in tasca ed il bavero del tuo giubbino a quadri alzato.

 

Ne ho comprato uno uguale. Di recente. E’ stato il giubbino a incontrare me, per caso. Lo stesso verde a quadri e lo stesso nero. Il taglio è diverso, la lana è la stessa ed è sempre Made in China from Prato. Mi chiedo spesso cosa penseresti a vedermi in quella giacca.

 

Pensa che potrei persino descrivere il tuo odore, me lo ricordo anche a memoria, quando hai freddo, poi, cambia un po’: diventa più speziato. Me lo ricordo – ad anni di distanza.

 

Allora varco le stanze di specchi dove rifugiarmi mentre guardo me moltiplicata decine di volte, stretta da altri uomini. Le cerco, le trovo, ci resto con piacere. Quando il sole del mattino irrompe e la realtà, fragorosa con tutti i suoi risvolti materici, si rivela a me e al tempo trascorso facendomi amare da altri, allora arretro. E faccio ritorno alla gabbia in cui non entra nessuno, neanche tu potresti (ammesso che riuscissi a trovare la chiave).

 

Fino a te, non avevo mai abitato per una notte – insieme ad altri – una stanza tutta rivestita di specchi.

 

Diana Marrone (Italia, 1973 -), 2014, scritto inedito

 

 

Immagine di copertina: un dettaglio di Hutopia di Alec Finlay (e colleghi), visto alla Fondazione Prada, Venezia (2018)

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