Gerhard, Gehlberg

La tua storia in breve, dall’infanzia ad oggi

 

Diciamo che le mie chance di diventare un imprenditore di successo erano pari a zero.

Sono nato alle 3 del mattino, a casa, nel marzo del 1952, prematuro di quattro settimane perché mia madre il giorno prima aveva tirato fuori acqua per ore per fare il bucato. Mio padre, un venditore di libri, era stato gravemente ferito nella seconda guerra mondiale e quindi a quel tempo vivevamo in un piccolo villaggio in una capanna senza acqua corrente. Solo più tardi, quando mio padre trovò un lavoro migliore, ci siamo potuti permettere una piccola casa.

 

A dispetto della povertà, la mia infanzia era fantastica e pure con un sacco di libri a casa, con cui avevo avuto la possibilità di esplorare l’intero mondo restando fermo, solo con la mia mente. A 15 anni, ho iniziato l’apprendistato per diventare impiegato nelle imprese di costruzione. Ancora ricordo il sentimento di orgoglio quando ebbi la possibilità di contribuire al reddito familiare con il mio primo salario – si parla di 161 marchi tedeschi dell’epoca (attuali 82 euro).

 

Durante l’apprendistato, capii che questo tipo di scuola non mi avrebbe mai permesso di avere una carriera di successo, perché nella Germania di quei tempi quel che contava erano i titoli di studio non il talento. Quindi, a 18 anni, ritornai a scuola, ce la feci in qualche modo a fare l’università grazie alla paga della ferma volontaria nell’Aviazione e poi con un part-time.

 

In termini di tempo, quel lavoro rappresentò per me una grande privazione di tempo e, quando fui chiamato per il lavoro dei mei sogni – in una ditta internazionale di costruzioni – feci un salto di gioia.

 

Avevo sempre sognato di dirigere un grande sito di costruzioni in un paese straniero ed il mio apprendimento per fare ciò iniziò proprio in quegli anni. Ma due anni dopo, con il ritorno dell’ Ayatollah Khomeini, iniziò la rivoluzione iraniana e il mio lavoro sul sito del Borneo fu preso da impiegati iraniani. Non avevo voglia di aspettare altri due anni e seguii la chiamata del mio professore ai tempi dell’Università di Bayeruth per fare un dottorato in economia.

 

Dopo averlo terminato, seguii la tradizione di famiglia ed iniziai la carriera nell’industria libraria. Iniziai come assistente all’amministratore delegato della più grande catena di distribuzione libraria tedesca, ebbi una serie di promozioni e dopo cinque anni mi trovai a dirigere uno staff di 500 persone. A quel punto fui pizzicato da Bain Holding Munich (che all’epoca era diretta da Mitt Romney) per diventare amministratore delegato di Libri, a quel tempo il n. 2 del mercato. In breve tempo, abbiamo aumentato il turnover, la qualità ed i profitti e venduto la società dopo quattro anni ad una famiglia benestante di Amburgo. Mentre ne rimasi partner, restai anche amministratore delegato e contribuii al successo, nei successivi 15 anni, come il più grande distributore di libri al mondo.

 

La mia metà mi ha anche incoraggiato ad essere attivo come imprenditore e in quel periodo ho contribuito a fondare molte società. Poi, quando ho avuto 57 anni, mi sono reso conto di aver raggiunto una reputazione ed una ricchezza oltre la mia immaginazione di bambino. Ho venduto tutti i miei affari e mi sono trasferito con la mia famiglia in Florida – mia figlia era iscritta alle superiori in una scuola privata e io miglioravo il mio golf. E quella sarebbe potuta essere la fine della storia.

 

Ma, all’improvviso, in un frizzante e luminoso giorno di gennaio (eravamo nel 2010) un terribile terremoto ha messo in ginocchio Haiti, uccidendo 150.000 persone e distruggendo oltre 200.000 abitazioni. Con altri parenti di compagni di scuola di mia figlia, organizzammo immediatamente missioni di soccorso.

 

E fu qui che imparai due lezioni. La prima: puoi vivere senza cibo per circa sei settimane e senza acqua per pochi giorni, ma senza un tetto non sopravvivi neanche una notte dopo un disastro. La seconda: in tutta, ma proprio tutta la mia vita non avevo mai e poi mai riflettuto su quanto quest’ultima fosse stata fortunata e quanto io fossi un privilegiato – soltanto per la mera fortuna di essere nato lì in Germania.

 

Non l’avevo ancora realizzato al momento ma fu questo a cambiarmi la vita. Da allora in poi sarei stato inestricabilmente legato a quel disastro. Haiti e le sue conseguenze mi hanno cambiato.

 

Se guardo alla tua invenzione, la tua nuova società Polycare assomiglia ad una poesia assai potente capace di riscrivere la scienza ed i suoi paradigmi, le sue regole ‘classiche’ sui luoghi e sulle modalità di produzione. Prendiamo, per esempio, il tuo nuovo e ‘speciale’ cemento ed i suoi attributi. Sta raccontando un orizzonte totalmente inedito per l’industria delle costruzioni dove la sabbia diventa il personaggio principale per mattoni facili da montare e da smantellare, capaci di dare presto e bene case dove ve ne è il più urgente bisogno. Come hai iniziato e come hai fatto a raggiungere, anche qui, il successo?

 

Nelle settimane successive al terremoto, avevo una sensazione di costante futilità. Avevo così poco da offrire. E intanto era tutta la comunità internazionale a sembrar di avere così poco da offrire. In questi casi, un sollievo viene dal cibo, dall’acqua, dalle medicine e da una tenda, se sei fortunato. Ma, per me, ricostruire le vite, ricostruire le famiglie e le comunità significava molto, tanto di più. E doveva significare costruire case vere, che potessero resistere alle peggiori condizioni atmosferiche e che potessero essere costruite in fretta. C’erano così tante persone che si aggiravano o stavano sedute senza lavoro e senza nulla da fare: mi sembrava un tale spreco di talenti e di energia positiva…ecco che quando ho iniziato a pensare…

 

Perché continuiamo ad usare un processo costruttivo molto simile a quello dei romani che risale a due secoli fa? Perché non portare la tecnologia moderna nell’industria costruttiva per fare qualcosa di diverso? E se facessimo un super cemento da materiali locali e lo usiamo per fare componenti di case che si mettono su come se si usasse i mattoncini LEGO?

 

E, così facendo, non saremmo poi in grado di usare lavoratori senza qualità particolari per costruirsi, in loco, le proprie case?

 

Possiamo costruire tutti con i LEGO, no? E se possiamo, questo non accelererebbe incredibilmente la velocità di costruzione? E, quando tutto manca, almeno questo avrebbe dato una possibilità per motivare e stimolare quei pochi sopravvissuti che non avevano neanche più la speranza.

 

Qualche mese prima avevo incontrato Gunter Plötner, che prima faceva il costruttore e lo sviluppatore. Aveva l’idea di trasformare la sabbia locale/del deserto in un tipo di supercemento. Molto più forte di quello comune. Assai refrattario all’acqua ed al gelo e modellabile in forme estremamente accurate.

 

Il ricordo di quell’incontro e la mia determinazione a fare qualcosa per aiutare questi incapaci di aiutarsi da soli, mi ha condotto verso la direzione dove mi trovo ora.

 

 

Da ingegnere, hai trasformato una vecchia vetreria in una porta per entrare nell’inaspettato, nella sorpresa, come mostri in questo video : il processo messo in piedi dalla tua Polycare per lavorare la sabbia con la resina non consuma troppo in termini energetici e sta creando un prodotto totalmente ecologico (e molto più resistente degli attuali cementi, oltre che riutilizzabile). In che modo i tuoi colleghi hanno accolto la tua nuova avventura, che potremmo definire ‘il cemento plastico’ e specialmente il fatto che la produzione è facilmente cantierabile proprio da lavoratori senza esperienza in modo da essere prodotto dove vi è la necessità immediata?

 

Come imprenditore, quanti anni hai impiegato per definire bene e brevettare la tua idea? Quali i suoi mercati naturali oggi e quali quelli del futuro?

 

Ci abbiamo messo cinque anni e circa 5 milioni di euro per provare che la nostra idea non solo funziona tecnicamente ma anche economicamente. Abbiamo richiesto otto brevetti e ne abbiamo già ricevuti alcuni di essi, ma questo processo è particolarmente lento e costoso pur non proteggendoci veramente da imitazioni illegali. Ma speriamo velocizzi l’implementazione finale di questa tecnologia in tutto il mondo. Così che ci siano ottime notizie per i milioni di bisognosi.

 

Quando eravamo veramente agli inizi ci siamo concentrati soprattutto sull’ausilio negli scenari di disastri ambientali, che da solo è un mercato gigantesco. Perché ogni anno, una media di due milioni di persone resta senza casa per qualche disastro naturale. Poi, se aggiungiamo pure i disastri ad opera dell’uomo, come le guerre in Medio Oriente ad esempio, e immediatamente la domanda sale fino a 20, 30 milioni di senzatetto. Ma il compito è finanche più grande.

 

Negli anni abbiamo imparato che in pratica tutti i governi del mondo falliscono quando si tratta di rispettare le loro promesse sull’edilizia sociale. La domanda aumenta molto più velocemente di quanto l’industria edile possa rispondere.

 

Lo scorso luglio sono stato invitato alla Biennale di Architettura di Venezia, che è l’appuntamento dove tutti gli architetti del mondo si danno appuntamento ogni due anni (abbiamo incontrato Gerhard e sua figlia Laura Vivian Haidl, una brillante e giovane manager di PriceWaterhouseCoopers di Francoforte, in una pausa dei lavori di uno dei convegni più interessanti visti a Venezia negli ultimi 15 anni: si tratta di Urban Age, organizzato dalla LSE grazie all’appoggio di Alfred Herrhausen Gesellschaft di Deutsche Bank).

 

Il direttore di questa Biennale, l’architetto Alejandro Aravena (che noi abbiamo intervistato qualche mese prima dell’apertura della biennale) ha descritto proprio durante il suo discorso di apertura la attuale situazione mondiale proprio in termini di ‘età urbana’. Questo termine viene usato perché le attuali generazioni costruiranno più città di tutte le precedenti sommate insieme.

 

Quindi, nel 2050 oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città e quindi, ovunque, c’è un disperato bisogno di alloggi. Ha citato le cifre allarmanti del governo americnao che ci dicono che il mondo deve costrurire un milione di alloggi a settimana a meno di 10.000 dollari ciascuno e questo deve essere raggiunto per prevenire una maggiore minaccia di sicurezza globale. A questo riguardo, la sua opinione era critica, e quindi anche critica rispetto a ciò che Polycare sta facendo.

Aravena ha detto che questa quantità di edifici può essere raggiunta solo adottando nuove tecnologie che usano materiali e sistemi costrutttivi nuovi.

Il mondo ha bisogno di qualcosa di differente per migliorare gli slum, la vita dei rifugiati e l’edilizia a basso costo. E’ esattamente questa la ragione per cui abbiamo sviluppato il sistema Polycare.

 

Continuiamo a lavorare per migliorare le vite di milioni di persone, che siano senzatetto o in condizioni disagiate e continuiamo a raggiungere il target ambizioso che è stato fissato dal governo americano e descritto da Aravena.

 

 

Una passione culinaria?

 

Mia moglie è una nutrizionista, ma mia figlia ama il cibo che cucino io perché continuo con la tradizione culinaria paesana della Westfalia. Per esempio, un piatto semplice che prediligo sono le patate in casseruola con carne macinata, cipolle, peperoni e aneto. E sono l’unico della famiglia a fare torte. Interessati ad una ricetta di una torta di carote memorabile?

 

 

E il tuo vino o la tua bevanda preferita?

 

Mi piace il vino della regione della Rheinhessen, specialmente il Riesling. Nelle belle sere d’estate mi piace anche gustare un elegante, fresco e fruttato rosè, che un mio amico coltiva e produce in Coté de Provence (Domain de Feraud). Un vino davvero indimenticabile alla fine di un buon pasto (combinato con fichi e formaggio) è il Banyuls.

 

 

La musica ed il libro (od i libri) con te adesso?

 

Mi piace ancora molto ascoltare Leonard Cohen. Veramente un musicista fantastico ed un poeta. Dopo aver distribuito oltre un miliardo di libri, la mia biblioteca è abbastanza ampia e sul mio comodino ci sono in media almeno dieci libri per volta. La selezione di adesso consiste in classici di fantascienza, architettura e quelli che si leggono tutti di un fiato, come John Grisham ed Andreas Eschbach. L’ultimo libro che non ho mai poggiato prima che lo finissi è stato Before I Go to Sleep di S.J. Watson.

 

 

In che modo vivi lentamente, se ci riesci, in una città come la tua?

 

Cerco sempre di trovare qualche minuto al girono per spegnere completamente la mia mente facendo qualcosa di semplice: portando a spasso il cane.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

 

Il mio talento è la capacità di avere un pensiero astratto. Per esempio se vedo una soluzione tecnica, posso velocemente associarvi un problema completamente differente e qualche altra soluzione e questo fa nascere nuove idee. La mia totale debolezza è l’impazienza.

 

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

 

La vita è un dono: goditela ogni giorno come se fosse l’ultimo.

E’ come un libro ancora da scrivere. Forse l’ultimo capitolo sarà il più bello.

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