Le storie di Stationary

Incartato come un regalo da una cover d’artista (di Manfred Pernice che gioca con l’etimologia, Fointenbleau ed il collage), Stationary 1 non è in vendita e non è pensato per aderire alle regole della circolazione che tutti immaginano, e seguono, per un libro.

E’ una collezione (annuale, questo è il primo volume, il secondo è in arrivo) di scritti tutti diversi l’uno dall’altro e straordinariamente pionieristici; praticano una nuova forma di prosa (ed anche di poesia, come gli scritti di Fayen d’Evie e George Szirtes) e di saggistica sui generis d’arte contemporanea. Tra questi ultimi (molti degli scritti raccolti), i più straordinari sono due: quello di Quinn Latimer che viola la linea di demarcazione tra pubblico e privato; quello di Sarah Lehrer-Graiwer che affonda nell’arte meteorica di Piero Golia (e della scena di LA), descrivendo il suo Chalet.

Gli scritti rappresentano un genere davvero primigenio così raccolti, ma sono anche il frutto di una residenza d’artista (aperta soprattutto alla forma del componimento) ideata (ed ospitata in) da uno spazio non profit di Hong Kong (Spring Workshop).

Un giorno il postino allunga una copia di Stationary 1 nella mia cassetta della posta. E’ molto bello sentire arrivare i libri – che precipitano in un modo diverso dalle riviste e da altri oggetti. ichuff clat clat sul marmo eroso dal salso veneziano.
Scopro della raccolta meta-letteraria, e dei 18 grandi lavori che la compongono, prima divorandoli per la curiosità, poi sedendomi piano – ancora ed ancora – a rileggerli e soppesarli, non sono il tipo di lettura a cui basta una scorsa da copertina a copertina.

Vanno sedimentati, riletti, ripensati – soprattutto per chi come me è a stretto contatto con l’arte e la sua parafernalia tutti i giorni. Hanno dormito con il mio gatto che probabilmente sentiva (e amava) le impronte che un altro felino vi aveva lasciato. Hanno viaggiato con me parecchie miglia, in tutte le direzioni. Ho deciso di parlare di loro adesso, mentre sorvolo la penisola arabica; l’esercito iracheno è entrato a Mosul e io sono sopra Bagdad, non sappiamo chi sta con chi; il mio paese sopravvive all’ennesimo terremoto, che stavolta è ecumenico perché avviluppa nel terrore il nord che lo usava come refrain per i cori razzisti da stadio (e fuori) contro il sud, il centro da dove è partito, ed il povero sud che sa già cosa vuol dire.
La volontà di Spring Workshop è incoraggiare la lettura (e la distribuzione) del libro per word of mouth (potete leggere le storie – o trovare tutte le biblioteche e librerie che nel mondo vi offriranno una copia gratuita da leggere – anche su www.stationarystories.com) così come è forte la volontà di costruire residenze in cui artisti, curatori e scrittori puri possano davvero distaccarsi dal concreto e quotidiano battage attorno alle loro ricerche e pratiche usuali per dedicarsi a un mese di introspezione e di corpo a corpo con le proprie ossessioni, staccati da qualsivoglia urgenza e reperibilità.

Vi avvinceranno come microcosmi queste storie, ognuna con un peso diverso – dalle lacrime alle risa, dalla leggerezza alla tragedia. Nessuna di esse può considerarsi migliore delle altre, il loro registro (e la personalità degli autori) è talmente diverso e talmente ben coltivato che è un piacere addentrarsi anche in qualcosa che è molto distante – per interessi, tempi, modalità – da quel che di solito attrae. Insondabili le conseguenze: ogni scritto è intellettivamente (e culturalmente) molto ricco, talvolta vi rapirà e vi costringerà ad andare a curiosare di cosa parla – sia esso museo, artista, casa editrice, libro d’artista, situazionismo puro o altro.

Se non avete mai sentito parlare di residenze d’artista – e prima di addentrarvi nel ginepraio magari sbagliando a suonare la porta ed trovandovi inquadrati in qualcosa che vi castrerà – provate a prendere in considerazione una narrazione fuori dal coro come questa.
Io per parte mia ho riempito un taccuino di nomi e situazioni che esplorerò sin da subito e ho confermato a me stessa che Quinn Latimer ha la più potente ed innovativa scrittura critica dell’attuale scena editoriale dell’arte contemporanea. Niente come lei, davvero originale.

E ho appena scoperto un piccolo genio, si chiama Rosemary Heather, non conoscevo nulla del suo lavoro e mi precipiterò a farlo.

Ringrazio per tutto questo Mandy che mi ha donato il libro – era accompagnato da un biglietto scritto a mano e questa frase mi ha colpita ‘let this book be your excuse to abandon the many things you need to do today and embrace the stillness of a suspended moment’ (che questo libro sia la tua scusa per abbandonare le molte cose che hai da fare oggi e addentrati nell’immobilità di un attimo sospeso).

Ho aderito con immenso piacere all’invito soave di Mandy e già mi spiace che quell’attimo, seppur trattenuto molti mesi per paura che svanisse, sia già terminato. Per continuare la traiettoria di questa magia inusitata, ho già individuato la biblioteca pubblica a cui vorrei fare dono del volume. E’ a pochi passi da casa ed è dedicata solo a riviste, volumi e cataloghi d’arte.

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