Lucia, poetessa

La sua storia in dieci righe.

Sono nata a Venezia, ultima di nove fratelli nati nell’arco di ventisei anni, molto diversi tra loro. Ho studiato prevalentemente in scuole private religiose in diverse città italiane, mi sono laureata in lettere moderne a Ca’ Foscari. Non volevo fare l’insegnante e nemmeno laurearmi in lettere perché avevo una passione smodata per l’architettura e il design: ma anche un’avversione incoercibile per la matematica, cosicché ripiegai sulle lettere, avendo frequentato il liceo classico. In verità ne nacque un amore, che dura incontrastato tuttora, per la lingua italiana, la sua storia, i suoi dialetti. Non sono di quelli che dicono di sé di aver sempre scritto. Ho scritto qualche pagina di diario, qualche raccontino da adolescente: poi più niente. Mi sono dedicata anima e corpo alla professione di insegnante e alla famiglia, a qualche sport, al tango argentino che pratico ancora. La poesia e la scrittura in genere sono arrivate molto tardi, più o meno nel 2006, anche grazie allo stimolo rappresentato dalla frequentazione di blog letterari che mi hanno spinto a scrivere.

 

La poesia per lei è più quella letta o più quella declamata? Insomma, quando le piace di più?

La poesia va letta sia in solitudine che in pubblico, a voce alta. Nel primo caso assolve la funzione di farsi conoscere, di entrare in contatto con la parte più intima di noi stessi; nel secondo caso di farsi ri-conoscere e, grazie ad una lettura interpretata, di rendere partecipi gli astanti delle scoperte che abbiamo fatto personalmente: perciò la poesia è potenzialmente sempre nuova, in base alle sollecitazioni che produce attraverso le varie espressioni vocali di chi la declama, che sono il portato di ogni personale lettura.

 

 

Qual è l’urgenza che la spinge a scrivere poesie?

Se dicessi che scrivo poesie sotto la spinta di chissà quale “genio” ispiratore direi una bugia. Così come storicamente ho cominciato a scrivere in versi senza nessuno sconvolgimento particolare (l’idea che si debba essere in qualche modo turbati l’abbiamo derivata dai Romantici), anzi, forse in un momento felice in mezzo a una vita normalmente difficile, così quando scrivo ciascuna poesia lo faccio perché ho voglia di giocare con le parole, o con un punto di vista sulla mia vita, che non è mai propriamente solo la mia vita. A volte mi sveglio con delle parole in testa, con delle immagini: stendo, sistemo appena, poi mi accorgo che si tratta di endecasillabi, di settenari, di versi della nostra tradizione.

 

Ha scritto anche racconti? Se sì/no, perché?

Ho scritto dei racconti che non sono tanto brutti. Tendo allo short, alla vicenda breve, fantastica, simbolica, dall’esito sorprendente. Credo, da quello che provo scrivendo, che dovrei impegnarmi di più su questo fronte, perché quando scrivo in prosa sono serissima, quando scrivo versi sorrido, indipendentemente dal fatto che il racconto possa riuscire divertente e i versi, al contrario, drammatici. E forse la serietà, l’attitudine meditabonda sono più consone al vero scrittore che non il sorriso, la sensazione di essere a proprio agio. A volte mi dico che per scrivere bene forse bisogna soffrire durante la scrittura, ma non so darmi ancora una risposta.

 

Cosa cerca nelle poesie scritte da altri?

Nelle poesie scritte da altri cerco un ritmo che imponga senso alle parole. Ho scarsa pazienza con il “poetese” e i versi oscuri: della poesia dei grandi del Novecento rifuggo tutto quanto è inutilmente (sarei tentata di dire “furbescamente”) complicato: per esempio l’Ermetismo e, di conseguenza, tutta la poesia esageratamente incomprensibile che da esso deriva. Mi piace la cantabilità, l’apparente semplicità che, come diceva Saba, resta, al contrario, lo scoglio più arduo per un poeta. Semplice e cantabile tuttavia sono concetti per me estranei a tutta quella poesia che mette in scena tramonti, gabbiani, addii: e di questa ce n’è veramente tanta, sul web e a stampa.

 

Come docente, che reazione suscita la poesia nei suoi studenti oggi?

La poesia è un prodotto di nicchia. Si legge poco in genere, ma la poesia è veramente una cugina di quarto grado e per giunta poverissima. Negli studenti suscita emozioni se chi è preposto a farla conoscere sa leggerla (recitarla), sa ri-leggerla (scovando e facendo scovare i nessi formali e la parola veramente poietica, cioè creativa), sa stimolare delle riflessioni, sa accogliere riflessioni discordanti. Da questo punto di vista la poesia ha delle possibilità di comunicazione e fruizione superiori alla narrativa. Agli studenti più distratti, con le tecniche adatte, può sorprendentemente piacere Virgilio in originale: ritmo, fonosimbologia, lessico, senso.

 

Che tipi di incontri fa quando lavora?

Gli incontri nel lavoro dell’insegnante sono per il novantanove per cento legati al mondo della scuola: un mondo abbastanza chiuso in sé. Però esso costituisce un osservatorio interessante per chi nutre curiosità nei confronti dell’animo umano: vi osservo, purtroppo, molte più debolezze che non valori e ho tutto il tempo di vederne l’evolversi e di farne pessimisticamente tesoro. Ciò accade soprattutto tra gli adulti e meno nei ragazzi, i quali rimangono ancora l’unica vera cosa bella dell’insegnamento. Il restante uno per cento è rappresentato da qualche studioso e romanziere che, sempre meno, si riesce ad invitare a scuola.

 

Cosa fa la società per lei?

Sarei tentata di dire che la società per me non fa molto: ma forse più che altro perché l’idea di “società” è un concetto sempre più sfuggente, sempre meno dotato di una fisionomia riconoscibile. Se per società possiamo intendere comunemente gli “altri”, allora devo dire che, sotto forma di piccoli gruppi o singoli individui, la società fa, specie nel momento che sto vivendo, moltissimo per me.

 

Cosa fa lei per la società?

Per la società credo di fare abbastanza bene prima di tutto il mio mestiere; poi penso di riuscire utile a qualcuno perché ascolto (e narro a mia volta il quotidiano), specie gli anziani. Fare bene il mio mestiere significa utilizzare la letteratura, la scrittura, l’indagine critica per aprire squarci sulla vita, sulle sue costanti e sulle variabili sempre più assillanti di oggi, cercando di farmi portavoce di legalità, di onestà, sconfiggendo quanto più posso la tristezza della mancanza di passione che caratterizza i giovani del nostro tempo.

 

Una cosa bella che le è capitata di recente?

Di recente ho ricevuto una bellissima lettera da parte di una mia classe accompagnata da una magnifica composizione floreale. Ho letto la lettera a voce alta, ma mi sono dovuta fermare più volte: faceva molto ridere e molto commuovere. Mancare così tanto a dei ragazzi non è da tutti!

 

Una passione culinaria?

Cucinare mi piace moltissimo e mi riesce bene, dicono. Amo la pasta, meno la carne, molto il pesce, le verdure, la frutta. Da qualche anno, segno di vecchiaia incipiente, amo i dolci. Ecco: una semplice pasta frolla con marmellata fatta in casa può costituire una passione culinaria.

 

Che vino/bevanda?

Mi piace tutto il vino, specie i rossi e mi diverte lo spritz: all’Aperol con fettina di limone e olivona.

 

La musica o un libro che l’accompagna.

Mi piacciono molto Monteverdi e Mozart, il pop degli anni ’60-’70, non italiano, la lirica e, ovviamente, la musica di tango. Un libro (in realtà sono più d’uno) che non smetto mai di leggere è la Divina Commedia.

 

Un talento che ha, uno che le manca.

Credo di avere senso del ritmo, che esplico scrivendo poesia e ballando. Una cosa che mi manca da sempre è la costanza: in verità mi mancano infiniti “talenti”, ma avere avuto la virtù della costanza mi avrebbe permesso di sfruttare meglio le mie inclinazioni. Aggiungo un talento: la propensione all’ironia, con cui mi sono salvata e mi salvo costantemente la vita.

 

Quali sono i suoi metodi per vivere lentamente?

Vivo lentamente anche quando non me lo posso permettere: sono una che rimugina, senza farle e senza angosciarsi, cento cose. Poi, come per incanto, queste cose vengono eseguite. Non sempre al meglio, ma così sopravvivo a ritmi e a carichi di lavoro a volte micidiali. Ultimamente sono un po’ fuori dai ritmi forsennati della vita lavorativa perché non sto bene e sono affascinata dal fatto che la dimensione lentissima e ripetitiva del tempo mi piace incredibilmente. Credo si tratti di comune pigrizia, ma siccome non sono mai stata pigra, per cause di forza maggiore, penso di poterla chiamare “spirito di conservazione”.

 

Cosa ha imparato sin qui dalla vita?

 

Dalla vita ho imparato che non si può mai stare tranquilli: i guai ti vengono a cercare anche se stai immobile e non fai niente di male. Morale manzoniana? Però è davvero così. La tranquillità dell’animo si esercita in mezzo alle tempeste: spero di raggiungere, prima o poi, una sufficiente atarassia.

Una risposta a “Lucia, poetessa”

  1. Maria Grazia Serradimigni

    é proprio la mia Lucia, quella che mi fa pensare, ridere, commuovere
    quella che ho imparato a conoscere su fb e che sento così tanto in sintonia: insegnante, scrittrice, ballerina, cuoca, narratrice. donna.
    è anche juventina, forse l’unica pecca.

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