Olivia Lee, progettista

La prima volta che ho incontrato la sua creatività è stata a Londra nel 2009: il suo Stream of Light mi confermava che non stavo sognando e che esistono autori, meglio creatori, capaci di trasformare la poesia in arredi.

Questo tipo di poesia è sottile: lavora la parte più recondita delle nostre emozioni, sia essa figurativa come una teiera o astratta ma toccante (allo stesso tempo e nello stesso momento) come un soffio di brezza – non importa da che cultura provenga l’utilizzatore di un arredo oppure che abitudini abbia per coglierla.

Non sono molti i designer capaci di scrivere questo tipo di poesia “funzionale”. Una poesia che inevitabilmente ci circonda tutto il tempo perché questi autori sono chiamati a progettare qualsiasi cosa: dagli appendiabiti alle storie da leggere o da guardare, alla cartellonistica…Fino ai treni e agli aerei (ed ai loro interni), alle sedie, ai tavoli e, sì, anche oggetti meno mass market, accessori e vestiti.

L’ultima volta che l’ho incontrata è stata vicino ad un piccolo vaso e, la stessa mattina, in un parco a fianco ad un enorme tronco d’albero colto nel momento in cui “moriva” e si trasformava in un pezzo di legno: un fulmine d’acciaio lo colpisce e ne cauterizza la superficie, interrompendo una sorta di lascito tra lui ed il suo pubblico (tutti i cittadini che si riparavano all’ombra della sua chioma, dato che il paese dove giace è caldo e poco sopra l’Equatore). Olivia ha trovato il modo di restituire quell’albero indietro ai suoi cittadini!

Dopo il primo pezzo visto a Londra anni prima, non dubito neanche un attimo di chi possa essere l’autore di queste creazioni. Per sicurezza leggo la courtesy, certo, per controllare: anche il vaso ed il tronco trasformato in salotto portano la firma di Olivia Lee.

Il piccolo vaso di vetro soffiato, Revere, è parte di un catalogo più vasto di design realizzato a Singapore (il marchio è industry+). Revere si comporta da vaso da fiori che cerca l’equilibrio e dopo un po’ lo trova solo se adagiato su una superficie. Nello stesso catalogo, vi è anche Float, un tavolo da caffè ottenuto resinando larghe foglie di loto.

Ho visto queste ultime creazioni a Singapore, il suo paese natale, dove Olivia fa ritorno nel 2012 e queste parole cercheranno di chiarire meglio il suo stato attuale ed i suoi prossimi obiettivi. Al momento si descrive come una designer nel suo Open Brief Year e spero che chiarirà abbastanza l’argomento…

Qual è la tua routine quotidiana in un anno così speciale come quello che ti sei assegnata? Quando terminerà? Cosa ti ha spinto a iniziare un Open Brief Year (che, certo tento di indovinare, è una totale tua invenzione)? 

Open Brief Year (l’anno del tema aperto: il brief è un tema di progettazione dato ai designer dalle aziende clienti, nota del redattore) è qualcosa che ho creato per spiegare quello stato di creatività non pianificato che desideravo dopo aver lasciato il mio lavoro nel 2013. I termini “sabbatico” e “Gap Year” non erano sufficientemente precisi per il mio scopo perché stavano a suggerire sia un interim sia un’esplorazione dell’altrove. Open Brief Year è, invece, un’esplorazione molto personale del mondo creativo interno ed è solo all’inizio. A scuola venivo spesso sgridata per essere così fissata sui miei risultati progettuali al punto da rifiutare che qualsiasi imprevisto felice, o seminali deviazioni, cambiassero la mia direzione.

Come umani, credo, troviamo fondamentalmente troppo difficile farci guidare dai processi. E’ perché abbiamo bisogno di sentirci al sicuro: cose come sapere dove finiremo ad arrivare ci consentono di sentirci al sicuro. Almeno, questo è quanto ero solita pensare. Tuttavia, ho imparato che i piani sono solo false costruzioni. Open Brief Year non è solo relativo al come voglio approcciare riserve creative – è lo spirito dell’apertura e della levità che voglio applicare alla vita.

In altre parole, Open Brief Year è un modo di dire gradevole per spiegare che il mio piano è… non avere piani! Lasciare un posto senza un altro lavoro o una differente missione è particolarmente insolito in un paese pragmatico come Singapore e so che quel che sto facendo ora è assolutamente radicale. Ho lasciato un lavoro molto rispettato per cercare l’ignoto.

Attualmente divido un piccolo studio con altri designer ed artisti. La mia routine tende a rispettare la durata convenzionale di una vita da ufficio e mostrarmi in studio nei giorni della settimana qualsiasi cosa accada. Le opportunità trovano il loro modo di arrivare a me con una certa serendipity grazie al passaparola e, quando sembrano giuste al mio cuore, le seguo.

Uno dei miei pittori preferiti, Chuck Close, disse una volta: “L’ispirazione è per amatori, il resto di noi semplicemente arriva e va a lavorare”. Credo tanto che la vita creativa si componga di sforzi continui e di un viaggio infinito ad essere migliori (in ogni senso della parola).

Da dove vieni e qual è la tua storia personale, se puoi, in 10 righe? Come mai sei finite a tornare a Singapore?

Sono nata a Singapore e ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia rurale in una popolosissima città-stato. Vivevo in un complesso sulla collina girando in bicicletta nelle grate, mi arrampicavo sugli alberi e andavo a caccia di ragni. Avevo vicini che venivano dalla Croazia, dall’Iran, dal Giappone, dall’America, dall’India e dalle Filippine. Sono cresciuta in un mix esotico di odore di pollo dato che da bambini correvamo nelle case di ciascuno per bere prima di fare ritorno in tutta fretta ai nostri giochi nel parco.

Ho passato ore da sola d’estate in progetti artigiani ed esperimenti scientifici. Avevo problemi a vendere le mie produzioni ai compagni di classe. La gente poteva pensare che facessi soldi sulle spalle dei miei amici. E lo facevo! Avevo 11 anni a quel tempo. Ero anche un assoluto geek quando ero alla scuola secondaria. Ero nel club di Arte, Teatro e Computer. Nel college junior, guadagnai il soprannome di “misplaced art student” (studente d’arte smarrito, nota del redattore) perché volevo essere alla facoltà di Scienza ma in pratica vivevo nella classe d’arte. Ero, per gli standard, quieta e disadattata.

Approdai a disegno industriale per un caso assoluto – un opuscolo che mi portò mio padre prometteva un mix eccitante di arte, ingegneria e affari. Infine una borsa di studio mi ha portata a Londra, il luogo di nascita dell’eccentricità. Una volta lì, ho scoperto che la città è la mecca dei disadattati, finalmente casa! La stessa borsa di studio mi ha poi riportata a Singapore dove continuo la tradizione del “disadattamento”.

Qual è oggi il vero significato dietro la parola “progettista” come professione, specie a Singapore?

Non mi intendo di “veri significati”. Posso dire che qui c’è una maggiore consapevolezza sul design che nel passato. Addirittura, è un po’ di moda ora. Essere un designer a Singapore non è mai stato più cool!

Dall’esterno, certo, può sembrare glam oppure uno status symbol. La realtà è differente. Mentre le persone amano i prodotti, i designer al lavoro qui si struggono perché le persone li riconoscano e soprattutto apprezzino il processo creativo, il suo disordine e l’intangibile valore che contiene.

Sicuramente rafforzare i designer dando loro fiducia sul fatto di stare facendo grandi cose e soprattutto ricompensarli il giusto per le idee che hanno, aiuterà il design a diventare una occupazione più facile e più riconosciuta anche qui a Singapore. L’attenzione sul design e sulla sua industria è importante quel tanto che non è solo effimera, perché è questa condizione a condurre alla delusione.

Essere un imprenditore nel design al momento ti ha ricompensata? Tra le ragioni per le quali sei tornata ci potrebbe essere un possibile stimolo economico da parte del tuo governo o dalla vostra scena creativa (clienti, colleghi, scuole)?

Nessuna ricompensa supera il creare. E’ doloroso, catartico, fa odiare se’ stessi ed è eccitante. Frustrante quando le cose non vanno bene e fantastico quando le cose vengono insieme. Amo ogni aspetto della creazione.

Il destino mi ha portata di nuovo a Singapore ed è solo da poco che sono riuscita a capire quanto supporto ed interesse viene canalizzato nelle Arti. E’ un ottimo momento da questo punto di vista qui, ed in tutta l’Asia.

 

Cosa questa città e l’Asia hanno fatto per te fino ad ora? E cosa Londra ha fatto per te?

Singapore mi ha dato un’etica del lavoro incredibilmente forte e l’Asia è una persistente tappezzeria di culture che devo ancora pienamente esplorare. A Londra ho potuto sviluppare un gusto per Marmite (estratto di lievito) e per il suo amico svizzero Cenovis. La città mi ha fatto anche amare le lunghe passeggiate e la tradizione dei Sunday Roasts.

 

E cosa hai dato tu a Singapore e precedentemente a Londra?

Ho offerto a Singapore il mio idealismo e la speranza per più caos creativo. A Londra il mio amore e un posto nel mio cuore come mia altra casa.

 

Hai un momento felice della tua vita che ricordi sempre con grande piacere?

Sì, quando mi sono recentemente riunita con miei amici di Londra per un matrimonio in Svizzera. Era d’autunno e abbiamo acceso un piccolo fuoco al lago. Abbiamo preso del cibo avanzato, vino dalla cantina e vecchie coperte per tenerci caldi. Passeggiavamo lungo le rive tappezzate di sassi per trovare pezzi di legno da bruciare. Poi abbiamo iniziato a tostare il pane e formaggio sul fuoco. Non dimenticherò mai l’odore del fumo, degli aghi di pino umidi e quello di lago ammuffito. La notte si riempiva del suono delle nostre risa.

Qual è il tuo cibo preferito ed il tuo drink preferito?

Oh no! Cambia ogni volta. Mi piace il Tenzaru Udon (udon freddi con nori) in un giorno caldo e tutto quanto mia madre cucina quando torno a casa affamata.

Il mio drink preferito è qualcosa chiamato “Snake Grass Water” oppure la Laoshan Sparkling Oldenlandia Water. Sarebbe la versione cinese della San Pellegrino. E’ un gusto acquisito perché è lievemente metallico, ottenuto da una pianta medica. La bevono solo gli anziani nei bar qui a Singapore e quando la ordino mi guardano sempre in maniera divertita. Haha!

 

Che tipo di musica ascolti? E quale libro o quali libri hai accanto al tuo letto adesso? Per esempio, chi ha disegnato i mobile che usi o che ami di più per leggere, mangiare o ascoltare musica?

Tendo al melanconico, matematico ed atmosferico in fatto di gusti musicali. Una serie di must-have sulla mia playlist sono i Radiohead, i Boards of Canada, Philip Glass, Max Richter ed i Cinematic Orchestra. Adesso sto leggendo “What are you Looking at?: 150 Years of Modern Art” e ho appena finito un incredibile gioco per iPad chiamato Monument Valley. Ho un mix di arredi IKEA, mobili trovati per vcaso e cose recuperate dai mercati del fine settimana: mi piace tenere uno stile eclettico.

In questi giorni trovo sempre più difficile leggere un libro intero senza andare su internet. E’ terribile! Preferirei vivere un tempo più semplice dove leggere libri tutto il giorno senza interruzione.

 

Un talento (o una qualità) che tu hai e uno che non hai.

Mi piace davvero tanto organizzare feste e cucinare per le persone che amo. Mi piacerebbe essere capace di cantare in basse ottave!

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