Philippe Nicolas, maestro d’arte, Parigi

La tua vita, in breve, ad oggi: uno schizzo che vaga dall’infanzia ai sogni alla famiglia prima (e dopo) i tuoi studi d’arte

Prima di frequentare l’École Boulle (una scuola d’incisione e di altre arti) a 16 anni, ho frequentato corsi di studio normali e vengo da una famiglia cattolica e borghese. Non avevano niente in comune con l’incisione: uno zio era medico e mia madre infermiera – mio padre ci abbandonò e io sono cresciuto tutto solo con mia madre.

Sono stato allevato anche con l’aiuto di una zia provenzale che si impegnò molto per migliorare la qualità dei miei studi – avevo qualche ritardo a scuola – e anche per la salute del mio orecchio. Ritornai a casa da mia madre quando avevo circa 10-12 anni e per quanto riguarda la mia carriera scolastica non ero interessato a studi classici, avrei piuttosto voluto lasciare la scuola ed iscrivermi ad un corso di apprendistato oppure a una scuola d’arte. Oppure ad un corso per veterinario od agricoltore.

Noto che fin da piccolo, creazione e cura erano tuoi tratti costanti 

Penso sia stato fin da subito una questione di accumulazione di esperienza. Di ricordi. Sicuro è che se mi guardo indietro, mi ricordo solo cose belle – come per esempio fare la fila, io e mamma, al Grand Palais per vedere una mostra su Tutankhamen. Mio zio, fervente cattolico, mi portava in giro per chiese, monasteri e teatri ma anche per castelli nella Loira. Anche se quando siamo piccoli non abbiamo le conoscenze degli adulti, questa accumulazione di bellezza ci lavora dentro e ne rimaniamo imbevuti, volenti o no.

E nel tuo caso, vedo, è diventata una direzione di vita. La scuola d’arte alla fine ti ha soddisfatto abbastanza o cercavi di lato ed oltre per imparare di più?

Mi iscrissi all’École Boulle – che è una scuola di arti applicate – e appresi l’incisione su vetro che non esiste più, all’epoca io fui l’ultimo studente.

Non è una scuola di apprendistato, anche se gli atelier come il mio erano pensati per dare qualcosa sulle tecniche. Oltre alle 18 ore settimanali in atelier, ci era impartita anche un’istruzione generale sulla storia delle arti applicate, dell’arte in genere e delle professioni in questo campo. Frequentavamo anche altri atelier oltre a quello principale, ad esempio ebanisteria, etc.

Quanti studenti erano iscritti nei tuoi anni (se non sbagli iniziasti nel 1966)?

Era un esame di ammissione molto importante, duro e atteso: 600 domande per soli 60 che venivano presi. Fui molto felice di riuscire al primo tentativo ma ci riuscii perché l’anno prima mi iscrissi a un corso specifico di apprendimento per tre sere a settimane in un corso serale. Imparai anche a costruire maquette e di sicuro senza non sarei riuscito a passare la durissima selezione. 

Dopo la Boulle, che frequentai con il più grande piacere, studiai all’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parigi, perché il mio professore della scuola aveva un atelier di insegnamento anche lì e si occupava sempre di incisione su vetro e su pietra. Il mio maestro non era un professionista incisore e quindi mi insegnò solo una parte, ma non rappresentò certo un problema in quanto in Accademia fui in grado di imparare molto di tutto, avevamo tanti laboratori tra disegno e scultura…E avevamo maestri eccezionali come Cesar, Etienne Martin…personaggi e professionisti che ci mostrarono un’idea molto diversa di vita.

Torniamo alle pietre: lavori sia con le pietre dure che con i fossili. E’ la pietra che ti trova o viceversa?

Si tratta, ancora una volta di qualcosa che ha a che fare con le nozioni di progressione e di accumulazione di memoria. E’ anche poi una questione di incontri, specialmente con i gioiellieri con cui ho iniziato questa professione facendo di volta in volta piccoli pezzi per poter campare.

Pezzo dopo pezzo, ho acquisito e fortificato le mie tecniche, ci è voluto del tempo e ora lavoro quasi con ogni pietra e con così tante persone differenti. 

Ho incontrato un grande gioielliere con cui ho lavorato per 25 anni. Fu lui a stimolare il mio stile che dura ancora oggi, fu lui a spingermi e quello che mi considerò – aussi autriment que forcement – un artigiano. Che, all’opposto di un artista anche se spesso utilizza gli stessi strumenti, si confronta direttamente con la materia. Esattamente in questa relazione, ed in questo confronto, si crea il lavoro. Spesso io parlo di arte e non di alto artigianato quando faccio il mio lavoro e quando desidero trasmetterlo ai creatori più giovani che lavorano con me.

Ritornando alla tua domanda sulle pietre, non ho alcuna restrizione nella selezione e lavoro con entrambe. All’opposto di come la penserebbe un artigiano, io guardo tutte le volte a una pietra per le emozioni che mi suscita, quindi il lavoro che vado a creare risulta un pochino sublimato dalla pietra che trovo.

Selezioni anche a seconda di colori, resistenza ed altre qualità – forse perché magari a volte c’è bisogno di seguire un trend, come a volte capita in altre creazioni artigianali come nella moda e nel design?

Scelgo soltanto con il mio cuore, veramente. Certo amo un’ametista per il suo colore o altre pietre preziose e semi preziose per la stessa ragione ma, a volte, anche per la pazzia che contengono o perché alcune pietre vengono da un’epoca antica lontana da noi.

Una pietra può essere favolosa perché viene da un posto remoto della terra o da un momento assai diverso della nostra umanità. O perché è lo stigma dell’invidia, o del rinascimento; puoi leggere la materia della pietra e trovarci così tante cose anche se non sono tutte trasparenti. Occorre anche considerare le tecniche per lavorare con il legno solidificato, sono favolose. Puoi anche immaginare quanto sia antica questa materia e come venga da molto lontano in senso geologico.

(mi mostra una straordinaria collezione di pietre fossili) Questa viene dall’Australia, è un’escrescenza con toni di bianco e di verde, una ferita che un insetto provocò nel legno vivo in un passato assai lontano che è stata preservata, intatta, fino a noi.  E’ unica e non potrebbe essere mai uguale a se’ stessa.

E’ molto molto difficile trovare fossili come questo oggi, io le cerco nei mercati e da importatori specializzati che conosco.

Qual è stato il tuo segreto per lavorare con una quantità così elevata di case gioielliere (come Dior, Cartier, etc) nello stesso momento mentre di solito questi marchi hanno la fama di essere esclusivi e gelosi con le loro eccellenze artigiane?

Semplice: non firmando mai il mio lavoro. Questo è un argomento assai borderline, sai. Posti come questo (ci siamo incontrati in una mostra incredibile sull’artigianato in ogni direzione, #homofaber, e questa lunga e piacevole chiacchierata in francese si è svolta nell’atelier di Philippe ricreato su un’isola veneziana, tra pietre ed utensili straordinari) dovrebbero proprio evidenziare questo argomento magari mettendo per una volta ‘le mani creative’ sulla linea di visibilità. 

Per esempio, se guardi alla storia delle arti applicate essa si replica sempre uguale a se’ stessa, dove il ‘saper fare’ e l’eccellenza non sono tradotte nel ‘progetto’ (qui si riferiva al fatto che in altri mondi l’autorialità ed il significato che diamo alla firma sono espressi chiaramente).

Non è tuttavia per l’anonimato che siamo ‘dimenticati’, c’è un luogo dello spirito dove noi lavoriamo ed è quella la nostra storia. La maggioranza dei maestri d’arte che conosco sono capaci di creare i loro pezzi e firmarli e guadagnarsi da vivere grazie a questo.

Io non ho mai firmato le mie creazioni e sono note ovunque come mie, se avessi iniziato a firmare i miei lavori all’inizio non avrei avuto così tanto lavoro da fare – questo anche oggi. Da otto anni sono un impiegato di Cartier, dove non ho lo spazio per firmare i miei gioielli con il mio nome.

Ma adesso, se possibile, fai ancora di più per la professione, la elevi perché hai formato un gruppo di giovani apprendisti che continueranno il mestiere d’arte nel tuo laboratorio…

Sì. Fondai il mio atelier a Parigi (sono stato indipendente per 35 anni prima di essere ‘acquisito’ da Cartier) perché mi chiesi esattamente questo: come trasmettere il mio lavoro alle generazioni che venivano dopo di me. 

Il problema è che per fare questo hai bisogno di mezzi – e di una costanza di lavoro e di commesse oltre alla capacità di trasmettere una conoscenza specifica. Ci sono stati momenti di crisi finanziaria che addirittura mi hanno costretto a interrompere l’attività perché ad un tratto tutte le commesse furono cancellate in un solo giorno: esattamente in quel momento mi proposero di aprire l’atelier dentro Cartier.

La pietra è come la dea della gioielleria. Io sono un incisore e il mio lavoro è un patrimonio culturale immateriale, è una memoria della nostra civiltà da preservare.

Che significa, oggi, essere un ‘maestro d’arte’ in Francia? Ci sono protezioni legali e pratiche per queste professioni?

Si tratta di un dispositivo ed un processo messo in piedi dal Ministro della Cultura nel ’94 se non erro, che in pratica significa dare riconoscimento speciale ad alcune professioni che incorporano significative, ed eccezionali, capacità che tendono all’eccellenza (io non amo pensare di tendere all’eccellenza e quindi non amo molto la definizione!): i professionisti di questi ambiti che hanno voglia di trasmettere queste conoscenze e il loro speciale ‘saper fare’ possono designare un apprendista come loro ‘studente’ e coltivarli accanto a sé per 13 anni (il mio ‘studente’ designato è Emilie: ha sempre lavorato con me e per più di 13 anni). Non è secondo me sufficiente un periodo di 13 anni per imparare un tipo di professione come la mia. Comunque, in questo periodo secondo la legge vieni pagato normalmente: è assai importante perché qui non si tratta solo di imparare un mestiere raro ma anche una modalità corretta di stare al mondo e guadagnarsi da vivere (senza remunerazione, ovviamente, questo non è possibile).

Soprattutto l’ultima parte di quanto dici sembra essere andata persa (e la globalizzazione ha fatto la sua sporca parte per distruggere questi patrimoni)…tuttavia anche sui sussidi avrei qualche dubbio – possono inquinare un terreno già minato…

E’ esattamente qui il problema, i sussidi…I maestri d’arte prendono un finanziamento per i 13 anni di trasmissione della conoscenza ma prendi me: io avevo già Emilie a lavoro con me e la stavo già pagando, quindi non ho certo avuto un aiuto materiale nel mio caso…Tuttavia, tra fondi privati e pubblici, io preferisco sempre quelli privati dove ho trovato manager che avevano una chiara ed astuta posizione nel settore dove avevano deciso di investire – esattamente come è successo a Cartier.

Certo, la mia posizione è fragile e devo ringraziarli per avermi messo in questo ingranaggio ma mi ricordo di essere in una macchina davvero grande, diciamo uno schiacciasassi che va sempre avanti.

La mia posizione in un gruppo così sviluppato ed internazionale è sempre la stessa ma sento che la ‘riconoscenza’ di questo tipo di mestiere va ad espandersi proprio perché i più giovani cominciano ad acquisire la conoscenza del mestiere e di cosa significa questo lavoro così specializzato (oltre l’immagine positiva che la mia persona possa veicolare): sanno che l’incisione è indispensabile ed essenziale nella gioielleria attuale e se riusciamo a renderla un successo inestinguibile, sarà sempre più straordinaria.  

Oggi essa si situa tra la fragilità di una gemma e la durezza di una pietra: dipende assai dalle persone che formo. Ogni persona tra di esse ha anche i suoi business plan, le sue personalissime proiezioni sul futuro, le difficoltà della vita di tutti i giorni, quelle della famiglia, quelle che derivano dalla creazione e dall’interpretazione artistica. Anche perché poi arriva il momento in cui devi interpretare il tuo stile, i tuoi mezzi…

Questo lavoro richiede assoluta abnegazione, che parte sempre e solo dal pezzo che stai creando. E’ molto importante fare i disegni perché alcune volte quel che l’autore porta dentro il pezzo non è aderente alla mia idea del pezzo.

Ti senti legato, nella scelta delle pietre, ai loro significati in relazione alle stelle ed ai pianeti, insomma a tutte le teorie astrologiche e di altre discipline divinatorie che studiano le particolarissime relazioni tra il cosmo e le pietre?

No, ignoro ogni tipo di queste connessioni ma non sei la prima a farmi questa domanda. Sei per caso interessata e dentro queste cose? Ti voglio far vedere una foto del mio atelier in Francia (mi mostra un posto incantato, quasi una favola…). Potrebbe sai essere possibile che l’energia delle pietre che mi circonda ogni giorno  abbia provocato un’esistenza così meravigliosa e realizzata come quella che ho avuto.

Il libro e la musica con te adesso?

In relazione alle mie pietre, mi porto sempre dietro un libro di Roger Caillois [Pierres suivi d’autres textes (Poésie)]. Mi piace assai leggerlo di tanto in tanto, è una raccolta di poesie sulle pietre scritta in un modo speciale, come scrivere una biografia con le pietre.

Quando sono nel mio laboratorio, ascolto sempre musica. Il più delle volte classica. Adoro Berio e specialmente quando incido, la trovo una musica perfetta anche per incidere pietre italiane!

Mi costruisco i miei utensili per scolpire le pietre.

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

(si ferma a lungo prima di rispondere, due gioiellieri molto importanti fanno la fila – sono venuti da Parigi per parlargli e noi siamo gentilmente spinti a terminare la nostra adorabile conversazione) Aver scelto di espormi invece che l’anonimato, in qualità di maestro d’arte, se vuoi sapere cosa ho imparato nella mia vita professionale.

Dal lato più privato, è dura e devo ripeterti che il mio lavoro richiede tale e tanta abnegazione da creare una discrepanza con la sostanza della vita. A questo punto mi viene in aiuto una citazione di Pascal: ‘Ne pas savoir rester tranquil dans cette demeure’. Occorre essere capaci di riuscire dove ci applichiamo con costanza.



Il ritratto del maestro d’arte Philippe Nicolas mentre lavora all’incisione di una pietra è dell‘Association Les Grands Ateliers’, le altre foto sono state scattate da Diana Marrone mentre intervistava Philippe a #homofaber


2 risposte a “Philippe Nicolas, maestro d’arte, Parigi”

  1. Barbara

    Articolo e racconto molto bello ed affascinante

    Rispondi

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