Raul, viandante

Le avventure del viandante: Raul da Lima a Milano, passando per l’Alta Valle di Huallaga.

 

Come sei finito a Milano?

Arrivo dal Perù, da Lima, nel marzo del 1994. Mia sorella è già in Italia, aveva deciso di partire anni prima e di fare la badante in Italia. Lei non vuole ch’io mi trasferisca, teme ch’io non riesca a trovare lavoro. Dice che per gli uomini è molto difficile, solo le donne trovano. Ma io mi impunto e finalmente la riesco a convincere. Contatto un’agenzia che organizza il viaggio e l’arrivo in Italia via Ungheria. Fino a Budapest, tutto bene. Lì però cominciano i primi problemi perché non si trova l’auto che deve portarci in Italia. Inizialmente, son tentato di prendere il treno ma poi – insieme ad altre signore che sono sull’aereo con me – poco prima di salire sul treno si avvicina un signore che ci offre un passaggio in Italia. 300 dollari a persona, non è poco, ma decidiamo di tentare. Si passa dall’Austria e si cerca di entrare dal Trentino ma alla frontiera non ci fanno passare. L’unica possibilità è passando per la Slovenia. Riusciamo ad arrivare a Lubiana, ma aspettiamo qualche giorno per cercare di entrare in Italia senza ‘pasador’, persona che organizza il traffico di umani. Non è un bel viaggio, ad un certo punto veniamo buttati a terra, fuori dall’auto, su di uno spartitraffico. Le compagne di viaggio piangono, dobbiamo subito risalire su un altro autobus e poi ci dicono “Scendete! Qualcuno vi guiderà e passerete a piedi la frontiera”. Così siamo arrivati, dopo aver camminato tanto e con uno che ti dice che ti sta portando in Italia e non sai se è vero o no… Ci arrivo, finalmente, in Italia e a Milano alle 17 del 6 marzo 1994. A 29 anni.

 

E in Perù prima cosa fai?

La mia è una famiglia di agricoltori, anche se mia madre gestisce un piccolo negozio di paese. Son l’ultimo di 13 fratelli e sorelle, e quando divento adolescente i miei genitori non vogliono ch’io vada a Lima. Arrivo a Lima molto piccolo, ospitato da una mia sorella, ma poi a 14 anni comincio già a vivere da solo. Nel frattempo, lavoro e studio (informatica) ma ad un certo punto non mi bastano i soldi e devo mollare lo studio. Lavoro come commerciante in una piccola drogheria a Santiago de Sulco, e poi nel giro di pochi anni mi metto in proprio. Mi piace molto il lavoro, mi piace star in mezzo alla gente, un lavoro che mi da molte soddisfazioni. Mi son detto fin da subito che avrei lavorato un po’ e poi continuato a studiare, ma guadagnare un po’ di soldi mi ha subito fatto cambiare idea. Faccio la bella vita, a me non piace bere ma offro spesso da bere e spendo più del necessario. In più, commetto qualche errore di gestione e nel giro di poco tempo devo abbandonare l’attività perché i debiti son troppi. Lascio la drogheria nelle mani di mia sorella, che riesce in poco tempo a ricapitalizzarla e rimetterla in sesto.

 

A questo punto hai vent’anni…

Eh sì, non so bene cosa fare a Lima. Un amico mi dice “Andiamo nella selva, lì c’è lavoro e si guadagna bene”. “Ma cosa c’è da fare?”, chiedo io.  “Niente, ma c’è tanto lavoro”. Io son nato a Lima, allora penso di rimanere a Lima tutta la vita. Ma l’offerta è allettante, così decido di provare, e andare a Tingo Mária, nella Selva. Il mio amico midice: “Ci sono solo quattro hotel; arrivo e ti cerco”. Parto, arrivo a Tingo Mária, ma del mio amico non so nulla…. Rimango lì un paio di giorni, poi comincio a preoccuparmi. Tornare a Lima? Non ci penso proprio. E così cerco lavoro, ma non trovo nulla. Pagano proprio pochissimo, dieci volte meno il guadagno giornaliero della mia drogheria. Son però già al quinto giorno, senza più soldi, e vedo un cartello “cercasi un cameriere tuttofare”. Entro nel bar, due ragazzi mi squadrano, e sento che dicono tra di loro  “E’ arrivato un perro” (n.d.r. un cane, in spagnolo). E a me “Ascolta, lo ‘zio’ (n.d.r. il proprietario) non c’è ancora, aspetta un po’”. Quando arriva lo ‘zio’, mi avverte “Lo stipendio non è molto, ma ti do da dormire, al piano di sopra”.  Saliamo le scale, e vedo subito un materasso per terra tutto sporco, molto diverso dal letto immaginato. Nella stessa stanza ci sono altri materassi, dove dormono altri lavoratori. Si inizia alle 8 e si finisce alle 24.

 

Una vita molto diversa dal piccolo commerciante di Lima, vero?

La prima cosa che faccio è prendere un secchio, uno straccio e dell’acido muriatico. Senza guanti. Lo ‘zio’ mi porta nel bagno del bar a pulire tutta la schifezza. Ecco, in questo momento mi metto a piangere, mi chiedo come son arrivato fin qui. Ma dura poco. Mi dico che questa è – per ora – la mia realtà e devo viverla fino in fondo. Rimango sei mesi a fare il tuttofare, poi lo ‘zio (Daniel) mi porta in un altro locale di sua proprietà e nel giro di poco tempo divento il suo  braccio destro. Così riprendo a fare la ‘bella’ vita, e quando lui non c’è passo molto tempo con le sue domestiche e figlie. Devo dare un’occhio alle figlie, ma in realtà andiamo insieme a ballare in discoteca, e ci divertiamo molto. A un certo punto, però, faccio due conti e mi dico ‘qui non guadagno abbastanza’, anche se mi diverto molto – gli spettacoli al ristorante, con balli e canti, un piacere. Ma non mi basta. Chiedo in giro dove posso andare a guadagnare un po’ di più. “Devi raccogliere la coca, vicino alla Selva, così guadagni molto meglio” mi dicono. Ma non voglio lavorare con la coca. Non me la sento, e basta. Con i pochi soldi disponibili, decido di fare il negoziante ambulante: il rapporto con lo ‘zio’ Daniel rimane molto buono, mi paga tutto quello che mi spetta e così mi metto a comprare prodotti di vario tipo – mangianastri, tovaglie, e tanto altro. Mi muovo tra Aucayacu, Santa Rosa e Progreso. E comincio a fare il venditore ambulante. Prima di arrivare a Santa Rosa, mi accorgo per la prima volta dell’esistenza dei guerilleros di Sendero Luminoso. La prima reazione è stata di paura, mi sono allarmato. “Estan los cumpas”, dicono tutti, e al porto parlo con loro – negoziante, dico, quando mi chiedono cosa faccio. Penso di averla scampata, ma dopo pochi giorni, una mattina costringono tutti i residenti nel villaggio – me compreso  – a radunarsi in una specie di stadio, con migliaia di persone. Alle 14 ci danno da mangiare, una specie di riso e tonno. Senza posate. Usiamo le foglie di banano come cucchiai, evitando di fare confusione perché i guerriglieri impongono una disciplina ferrea. Passano le ore, e non succede nulla. Alle 19 ci dicono “ Da ora, inizia lo sciopero generale in tutta la Selva!”. La manovra è concordata in tutto il territorio dell’Alta Valle di Huallaga, si vogliono bloccare tutte le strade e non far passare nessuno. Si deve convergere sull’autostrada della Selva. Molto lontano. Tutti in fila, migliaia di persone, tutti zitti, come in guerra. Penso alla guerra del Vietnam, non possiamo neppure accendere una torcia. Il nemico è dall’altra parte, può sparare in ogni momento. Un’esperienza allucinante, ma il coordinamento funziona e ci mattiamo tutti a bloccare il traffico e a sequestrare i mezzi pubblici. E io devo anche scrivere un cartello contro il Presidente ‘Garcia a morte’ – chi ha fatto la scuola superiore deve scrivere. Ho paura, ma non posso dire di no.

 

E come ne sei uscito?

Il giorno dopo, ma dopo una lunga giornata difficile, e dopo aver dormito in mezzo agli alberi, al buio. E in mezzo ai serpenti.  E’ una guerriglia, ma noi non siamo guerriglieri. Anche se, verso sera, siamo tenuti a marciare tutti insieme, cantando canti rivoluzionari. Siamo diretti verso la città di El Progreso, ma lì c’è l’esercito. E noi, senza armi, stiamo marciando verso la nostra fine. Con grande spavento. Ma ad un chilometro da El Progreso arriva una comunicazione: “ritirata!”. Si scopre che l’esercito è al corrente dei piani dei guerrilleros, li aspetta ad armi spianate in città.  E così parte la nostra ritirata e finalmente riesco a liberarmi dalla morsa della guerriglia.

 

E puoi riprendere a lavorare?

Per quattro anni faccio il venditore ambulante, tra la Selva (n.d.r. la foresta) e la Sierra (n.d.r. montagna). Da quelle parti la vita non vale niente. Trombe d’aria, serpenti, ponti pericolanti fatti con alberi, ladri. Nella Sierra vedo persone che hanno una gran pace interiore, vivono spensierati – senza luce, gas, in case di legno e acquisti in piccoli bar con negozi. Tantissimi animali, vivono come uomini primitivi. Mangiando tutto quello che si trova – cervo, maiale, tacchino, scimmie. Sarei rimasto ancora qualche anno, ma all’improvviso mi dicono che un mio amico, ambulante come me, è morto. Ucciso dai guerrilleros, perché accusato di essere una spia. Io lo conosco, so che è innocente. Ma mi dico che se hanno ucciso lui, potrebbero anche prendersela con me. E così mi impaurisco e scappo, decido subito di tornare a Lima. Senza soldi, con quel poco che ho in tasca.

 

E a Lima ti trovi bene?

Non più. Un mio cognato mi trova un lavoro come meccanico, ma non fa per me. Divento cambiavalute, ma mi rendo conto che non riesco a guadagnare abbastanza, e così contatto mia sorella che è già in Italia e organizzo la mia partenza.

 

E a Milano come ti trovi? 

Mi sono ambientato subito; apprezzo la cultura italiana – ad esempio, l’educazione. Macchine che si fermano al semaforo quando è rosso, la puntualità, i musei. Le mie figlie si sentono italiane, mi dicono: ‘TU sei peruviano, noi siamo italiane’.

 

Vorresti tornare a Lima?

Sì, mi piacerebbe tornare in Peru un giorno: mi son messo a studiare a distanza diritto civile – sono al secondo anno. Vorrei tornare per fare l’avvocato.

 

Cosa hanno fatto Milano e l’Italia per te?

L’Italia mi ha dato e insegnato tanto. Si legge, ci si informa, e tanti italiani conoscono la realtà dell’America Latina. C’è più cultura. E per me c’è stata un’accoglienza piena, con diritti e doveri.

 

Cosa hai fatto per Milano?

Ho creato un’associazione per facilitare l’inserimento della comunità peruviana a Milano. Con corsi di italiano, conferenze e seminari per far capire come funzionano banche e altro. Ho anche contribuito all’organizzazione di riunioni tra associazioni per scambiare informazioni e condividere progetti.

 

Qual è un momento della tua vita che ricordi con particolare piacere?

Quando mi invitarono a parlare in un incontro CGIL, pensavo di parlare a 40 persone e ce n’erano più di 500. Un auditorium pieno, dovevo dire cosa pensavo della politica. Mi son preparato, mi è riuscito bene e mi hanno applaudito più volte e alla fine un applauso lungo mi ha commosso. E lì ho conosciuto anche un senatore.

 

Quali sono il tuo piatto preferito e la bevanda preferita?

Il Ceviche – piatto tradizionale peruviano: filetto di pesce cotto nel limone, con un po’ di peperoncino, zenzero e sedano. Lattuga e patata. Con mais secco tostato, con un gambero. E come bevanda la Cicha Morada – mais di colore viola o nero –, o la Inca Cola.

 

Che musica ascolti? E/o che libro stai leggendo?

Musica peruviana – il Grupo  Néctar. Di italiani mi piace Celentano. E come lettura, sto ‘leggendo’ un manuale di diritto commerciale…

 

Un talento che hai e uno che ti manca.

La mia capacità  di comunicare, e riuscire a conquistare la fiducia delle persone. Sono intraprendente, ma non sono deciso – vorrei essere più deciso. Dico sempre di sì. Ad esempio, mi dicono “Il motorino, lo sai guidare?” “Sì”, ma non l’avevo mai guidato. E così, fatti dieci metri sono caduto – ma almeno lontano dalla vista della ragazza che me l’aveva prestato!

 

Cosa hai imparato dalla vita?

Tener duro, essere sempre ottimista. Un tempo mi riusciva molto più facilmente, ultimamente faccio un po’ più fatica – ma non voglio perdere la fiducia. Mi sono successe cose che credevo di riuscire a superare facilmente, ma così non è.

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