Stefano Poli, Teatro Avogaria

Il retropalco del più storico dei teatri indipendenti veneziani ogni martedì ospita le cene collettive della compagnia ospite e del pubblico. 

E’ qui che incontro Stefano Poli che mi parla della sua Avogaria. 

Vi avevamo già raccontato di sua moglie, architetto e direttore del più bel museo cittadino, e finalmente ora possiamo farvi ‘sfogliare’ anche la sua vita.

I ‘martedì’ dell’Avogaria sono sempre sold out: prime ‘secche’ di assoli che coprono ogni genere; dal dramma al teatro comico al teatro di denuncia alla stand up comedy. Dopo, tutti a mangiare e discutere insieme – attori, registi, pubblico, appassionati e maestranze.

L’Avogaria, 100 posti, è l’unico teatro delle città che abbia abitato dove vieni per vedere tutto, senza spocchia e con grandi aperture mentali. Un vero riferimento per Venezia, orfana ormai da anni di teatro di qualità.


La tua vita in poche righe

Nasco a Venezia da Giovanni Poli e Carla Picozzi. Fin dai primi anni di vita frequento il teatro perché mio papà è stato il fondatore del teatro universitario di Ca’ Foscari. I miei portavano sempre me e mio fratello in tournée: dal 1958 nella mia vita sono sfilati tantissimi palcoscenici e abbiamo girato il mondo.

Finita la guerra, quindi dagli anni 50, mio padre inizia a fare regie e mette in scena soprattutto autori che durante il fascismo non era permesso rappresentare. 

Anche se vengo da una famiglia di ‘teatro’, alla fine mi iscrivo ad architettura. Dagli anni ’70, e ancora oggi, lavoro come architetto. Mi divido quindi un po’ tra la mia professione ed il teatro, che è un fatto affettivo: come hai visto io ‘nasco’ a teatro.


Tu e Daniela vi siete incontrati per il teatro o per l’università, essendo entrambi architetti?

Lei venne qui dal Bresciano per studiare architettura e divideva un appartamento con altre studentesse che io conoscevo. Ci siamo conosciuti quindi anche noi, ci siamo voluti bene e siamo ancora insieme, per fortuna (per me!).


Il teatro diventa una professione ‘obbligata’ quando prendi in mano la Scuola d’Arte Drammatica Giovanni Poli e da allora non l’hai mai abbandonata.

E il tuo teatro rimane un vero riferimento per la città.

Ti dirò…quando è morto mio papà, eravamo nel 1979, io e mia mamma abbiamo deciso, insieme, di continuare. 

Mio padre aveva sempre detto e scritto che avrebbe amato che alla sua morte tutto questo non sarebbe finito. Quindi siamo andati avanti, con fatica: fin quando ha potuto mia mamma ha tenuto in mano l’associazione ed il teatro, io ero presente e mi occupavo solo di teatro con i ragazzi. 

Quando mia madre è stata male, sono subentrato io (era il 1995) e quando mi sono quindi trovato ad occuparmi di tutto – senza soldi ma con uno spazio grandioso – iniziai anche a progettare rassegne.


Adoro i Martedì, come ti sono venuti in mente? Anche se a Venezia è facile vincere perché qui teatro di qualità non c’è più a parte le Biennali

Quando c’era la scuola di mio padre, fino al 1992, facevamo i lunedì – giorno in cui tradizionalmente i teatri sono chiusi. Poi ci siamo spostati il martedì, ci piaceva di più.

Ora sto riordinando tutte le locandine di questi anni per costruire l’archivio.

Tutti quelli che dicono che il teatro è morto….non è così. Prendi quelli che vengono fuori dalle accademie teatrali  (come del resto da qualsiasi università oggi in Italia): non trovano lavoro e si associano per formare piccole compagnie. E’ anche qui che il teatro vive.

Dopo aver visto uno spettacolo di solito è un momento triste: magari tocca andare a casa con la moglie in estremo mutismo….invece ai Martedì de l’Avogaria incontri non solo i protagonisti ma altre persone, discuti e il cibo è il veicolo per questa socialità.

Abbiamo cominciato un po’ con fatica a mettere insieme il calendario (i Martedì sono stagionali: in primavera, autunno e in inverno) ma adesso riceviamo oltre 60 proposte che seleziono con più scremature successive. Prediligo la diversità: sociale, culturale, razziale.


Come selezioni i temi? Quanta commedia, quanto dramma?

Seleziono testi comici, nel senso di qualcosa che non sia soltanto tragico. Molti propongono spettacoli ardui, il pubblico si annoia. E’ meglio riuscire a calare temi importanti in chiave ironica, satirica. Questi sono gli spettacoli che prediligo. 

Tra gli spettacoli che abbiamo mandato in scena da ultimo, quello di una ragazza che racconta la sua vita omosessuale, questi sono temi che al pubblico interessano anche se siamo quasi nel 2020 ma per loro è interessante ‘leggere’ il percorso mentale: dal coming out all’interruzione di una relazione. In chiave arguta e divertente.

Mi è impossibile dirti in tutti questi anni cosa mi sia piaciuto di più ma posso dirti che noi abbiamo istituito un premio. Il pubblico vota ogni spettacolo e alla fine della stagione c’è lo spoglio delle schede. L’anno dopo invitiamo la compagnia che ha vinto e oltre a ospitare un suo spettacolo li premiamo.

Abbiamo ospitato anche spettacoli i cui attori sono ‘studenti’ particolari: da ultimo una compagnia che viene da Mondovì. Studiano teatro all’interno di un centro psichico di cui sono pazienti.

Cerco – e accetto – la diversità in tutte le direzioni.


Ti apri anche alla città. Ad esempio fai beneficenza: mi ricordo che ospiti tutti gli anni una pantomima in inglese, con attori non professionisti che raccolgono fondi per charity locali…

Ogni due anni! Sono pantomime in lingua inglese per adulti e bambini. 

Adesso sto ospitando in residenza un gruppo di attori e registi – un mago di Como e altri veneti – che per due giorni provano gratis uno spettacolo sulla magia. In cambio, verranno a farlo qui.

Anche il week end, dove siamo più dedicati alla commedia dell’arte, ospito a volte selezionate compagnie amatoriali. E poi di sabato abbiamo la serata dedicata alla stand up comedy.


Dove andresti a teatro, da spettatore?

Non ci vado molto, ci siamo visti alla Biennale Teatro perché mi ci ha trascinato Daniela!

Spesso seguo i miei studenti, ad esempio la Felicioli (Stefania, ha vinto due premi Duse). 

Attori si nasce, non si diventa. Puoi farlo se studi ma farai sempre parti mediocri se non ce l’hai qua e qua (indica testa e cuore).

La scuola di teatro de l’Avogaria è nata da seminari che conduceva mio papà. Lo faceva soprattutto per creare un vivaio di attori per i suoi spettacoli.

Oggi a scuola abbiamo cinque corsi: due per i bambini e i ragazzi; uno più completo di quattro ore alla settimana (con più materie: dalla dizione alla voce alla commedia dell’arte) e due laboratori di recitazione che sono in orari serali.

Ogni anno i nostri allievi vanno in scena.

Adesso la scuola ha dei direttori d’area che scelgono anche le drammaturgie e le messe in scena finali. Non scelgo certo io!

Il nostro attuale direttore di recitazione e pratica scenica è Stefano Paggin, poi quello dei laboratori è Angelo Callipo, che è anche autore di testi.

Ogni anno il numero di studenti varia, dai 10/12 di recitazione ai 14 iscritti ai laboratori. 


Che libri hai sul tavolo e che musica stai ascoltando o che ti piace?

Non farmi questa domanda….


Quale sceneggiatura suggeriresti ai nostri lettori?

Brecht, per esempio. Però potrebbero anche cominciare con qualcosa di meno ‘recente’ come Gozzi (Carlo, drammaturgo veneziano contemporaneo di Goldoni) di cui l’anno prossimo ricorre il tri-centenario della nascita. Noi infatti prepareremo qualcosa.

Poi ce ne sono tanti altri…più facili e meno facili, ma forse leggere sceneggiature non è così divertente. 

Consiglierei più Pirandello, grande classico, che Shakespeare che per esempio è meglio vederlo recitato che letto.


Un posto – segreto o meno – dove vai per rilassarti

Qui dove siamo adesso, nel retropalco. Spesso quando finisco al lavoro vengo qui a rilassarmi. 


E un posto che ti piace particolarmente dove potrebbero andare anche altre persone a rilassarsi e che consiglieresti qui in città?

Io non ho posti di questo genere….


Cosa pensi che ti abbia dato Venezia?

Ah, tutto! La ringrazio di essere nato qui e di essere rimasto alla fine qui. E’ la mia città certo ma è oltre una città del passato la città del futuro. Guarda al traffico: una città di tipo pedonale è la meta a cui tutti gli altri luoghi dovrebbero tendere.


Sopravviverà a se’ stessa? I giovani che nascono qui oggi troveranno la stessa grande cultura che hai incontrato tu?

Non ti so rispondere. Certe cose, come la bellezza insita in ogni luogo di questa città, le cogli quando sei molto più maturo.


Un bar dove ti si incontra?

A San Barnaba o a Santa Margherita 


Un talento che hai, uno che ti manca?

Un talento che credo di avere è quella di conoscere tutta la parte tecnica e costruttiva – dalle luci, alle scene. Quello che mi manca è – nonostante io abbia recitato da ragazzo – è essere un attore.

Mio padre non mi ha mai insegnato…Io ho pensato che voleva evitarmi una vita dura o di sacrifici ma a volte ho anche pensato che l’avesse fatto perché pensava che non fossi adatto a recitare…Ancora non l’ho capito e ahimè non posso più chiedergli…!


Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Ho imparato a stare con gli altri, soprattutto con chi è più giovane di me.

http://www.teatro-avogaria.it

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