Valbona, ristoratrice

Valbona – Bona per gli affamati avventori – ha un sorriso contagioso, e una velocità nel servire i piatti che rasenta il miracolo. I pranzi da ‘Vincent’s’ – Milano – sono cadenzati da un menu meravigliosamente prevedibile, con cibi gustosi e preparati sul momento da Bona e o dalla mamma di Vincenzo, il marito, il ‘Vincent’ del nome del bar-trattoria. Tutte le volte che posso, vengo qui a mangiare per pranzo – vengo sul tardi, così da non trovare troppe persone. Ora sono le 4 del pomeriggio, e in attesa di alcuni clienti ‘tardivi’ ci sediamo in un tavolo vuoto e Bona comincia a raccontare la sua storia.


Dall’Albania all’Italia: come e perché?

Sono figlia di una dirigente comunista, integerrima, e ho sempre respirato in casa e nel quartiere di Fier dove nasco e vivo fino ai 16 anni in un contesto di assenza di libertà. Scappo proprio dall’Albania il 27 marzo del 1991, quando insieme ad altre 15 persone – tutte delle mia età – decido di varcare il confine con la Grecia. Facciamo 30 chilometri a piedi, evitando i poliziotti che hanno l’ordine di sparare a vista. In Grecia veniamo accolti molto bene, in un centro di accoglienza che nel giro di pochi mesi ci aiuta a trovare un lavoro. Io trovo, insieme ad alcune altre persone, un lavoro nella raccolta delle arance a Xylokastro. Resto lì un paio d’anni, per ambientarmi, e poi mi trasferisco ad Atene a lavorare in un ristorante con amici e parenti. Un ristorante aperto 24 su 24, in Via Acharnon. Vivo insieme ad altre 7 persone in uno scantinato, ma conservo un bellissimo ricordo di quegli anni: tutto è libertà – la televisione, la musica, la fine della censura. Sono anni belli, tutto sembra bello e ci si diverte con poco. Dopo un paio d’anni passati ad Atene, nel 1996 mi lascio con il mio fidanzato di allora e decido di lasciare Atene perché non riesco a continuare la vita di prima. Decido così di lasciare in modo rocambolesco la Grecia, e arrivo a Milano. Che bella la stazione di Milano! Appena scendo dal treno dico ‘ è bellissima!’, mi sono proprio innamorata di Milano. Per qualche mese vivo fuori Milano, a Redecesio (una frazione di Segrate, N.d.R.), con alcune amiche. Poi, una sera, conosco Vincenzo al bar L’Unico di V. Bramante, un bar che ora non c’è più. Dopo pochi mesi vado a vivere con lui, nella sua casa nel quartiere Greco. Nostra figlia Angela nasce nell’ottobre del 1997. Dopo un paio d’anni passati ad accudire mia figlia, dai primi anni 2000 comincio a lavorare nel bar con Vincenzo. E sono ancora qui!

 

Non hai nostalgia dell’Albania?

No, piuttosto è Vincenzo – mio marito – che a volte insiste per andare ad aprire un ristorante lì. Per me l’unico pentimento è che i ‘ciucci’ che sono rimasti non fanno un buon servizio all’Albania. Le persone intelligenti son andate via… Ho ancora alcuni familiari in Albania, mia mamma è rimasta lì. Mia mamma crede ancora che presto tornerà il comunismo, in casa mia ricordo solo libri di Stalin e Lenin. Quando lascio l’Albania, nel 1991, e telefono a mia mamma, lei reagisce malissimo. Solo dopo la nascita di Angela ha cominciato a prenderla meglio. Non torno spesso in Albania, più o meno ogni tre anni. Mia mamma viene a trovarci più spesso, ma io non sento proprio la necessità di tornare più spesso. Già da piccola sogno l’Italia, studio italiano a scuola e sogno di sposare un uomo ricco italiano. Bé, l’uomo italiano l’ho trovato, anche se non è ricco! Albania per me vuol dire comunismo, e dico sempre ai ragazzi che vengono a vendere i giornali comunisti: ‘io l’ho vissuto il comunismo, voi non sapete neanche cosa vuol dire’. Certo, comunismo è anche lavoro ma io voglio libertà. Del comunismo mi piace solo l’alimentazione – poca carne e molta verdura.

 

E gli italiani come ti accolgono?

Bene, forse perché non sembro straniera. Ad esempio, una volta entra al bar una coppia di anziani. Signori distinti, cominciano subito a fare chiacchiere. La signora dice (a me!): ‘Signora, non bastavano i nostri ladri italiani; adesso ci sono i ladri albanesi, che sono uguali a noi, bianchi come noi! Come facciamo a riconoscerli?’. ‘Ha ragione signora’, dico io, cos’altro posso dire? E sorrido… Oppure un’altra volta al mare quando chiedo ad un gruppo di persone se posso prendere una sedia . Me la danno subito, e aggiungono: ‘Scusi signora, sembriamo proprio un campeggio di albanesi…’.

 

Lavorare nello stesso bar col marito: com’è?

Lavorare insieme è stupendo, tranne a mezzogiorno del giovedì perché con le cotolette da impanare è sempre un casino. Ma siamo imprenditori, vuol dire non aver capi ed è molto meglio. Molto meglio che lavorare sotto padrone, come ad Atene…


Cosa ha fatto Milano per te?

Milano per me è bellezza, e libertà. Di Milano mi piace tutto – anche il Duomo, ovviamente. Non è tanto la città, ma vivere la città che è bello. Milano è la città della moda, non so se mi spiego. Anche a Milano, però, la burocrazia è terribile.

 

Cosa hai fatto per Milano?

Ho dato una figlia alla città: Angela non si sente albanese, ma italiana. E poi do da mangiare a tantissima gente, una sessantina di persone al giorno. Li trattiamo bene, i nostri clienti.

 

Qual è un momento della tua vita che ricordi con particolare piacere?

Il giorno in cui mi sono sposata. E’ una gioia stare insieme, Vincenzo è proprio divertente. Ma soprattutto il giorno della nascita di mia figlia. Ogni istante di quel giorno. Anche le urla durante il parto.


Quali sono il tuo piatto preferito e la bevanda preferita?

Penne alla carbonara, non con la pancetta ma con il guanciale. E da bere bevande gassate, perché sono astemia.


Che musica ascolti?

Mango, tanto, e ultimamente Chiara – mi fa vedere i brividi appena la sento, quella stronzetta. Che ha vinto X-factor, Chiara Galiazzo. Anche Celentano, anche se ora è un po’ troppo politico. Ah, e al mio arrivo in Italia molto Albano e Romina.

 

Il libro che stai leggendo o l’ultimo libro letto?

‘Bianca come il latte, rossa come il sangue’. Mi ha fatto piangere.

 

Un talento o una qualità che ti appartiene?

Sono brava a sparare, perché in Albania facevo allenamenti militari contro i capitalisti: tre ore alla settimana e un mese di formazione militare. Facevano simulazioni di guerra…


Una lezione che hai imparato dalla vita?

Non lamentarsi mai: lamentarsi non serve a niente.

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