Alon Schwabe, partner

Varcando la soglia del padiglione Americano alla Biennale di Architettura di Venezia (si intitola OfficeUS), vi troverete in un edificio moderno intriso di un paradosso: è contemporaneamente una biblioteca vivente e un archivio contradittorio. Ospita la grammatica del potere e la sua controparte: le nuove generazioni che cercano costantemente di erodere questo ruolo o giocare a camuffarsi con esso.

La biblioteca costruita al suo interno per la mostra contiene tutte le architetture moderniste costruite al di fuori del territorio Americano da architetti americani nell’intervallo 1914-2014. Oltre a girovagare tra gli scaffali e consultare i progetti archiviati (esposti con un forte accento grafico, in qualche modo estremo, e pensati per essere agiti con alta usabilità, anche con parole chiave e confort spaziale, così che il pubblico rimanga quanto più possibile) ci si può attivare, senza per questo ricevere pressanti richieste, in uno spazio sovente popolato di studenti, performer e molti altri ospiti chiamati ad interagire ogni giorno con la mostra.

In realtà il canovaccio di OfficeUS inizia anche prima della visita, consultando il suo sito internet: l’agenda del giorno con gli eventi in programma, ogni documento relativo alla ricerca, spesso streaming in diretta o la possibilità di collegarsi con hangout (un servizio VOIP di Google), esplorare la consistenza della libreria e altri servizi, tra cui una colonna sonora attiva 24/7.

Certo, poi puoi decidere come unirti a loro, quando e per cosa. Ogni giorno va bene in questo non-spazio.

Quello che non ti sfuggirà una volta visitato è che questo è il tempio del potere politico, economico e di rappresentazione dell’America in altri stati. La mostra ed il suo programma molto sottile (purtroppo non premiato con il Leone d’Argento) sono stati concepiti con un budget assai contenuti reso disponibile da diversi donor e curati da una no profit di New York, che si occupa di mostre d’arte e di architettura, lo Storefront.

Ho incontrato due dei sei giovani partner che ogni giorno si occupano dell’organizzazione e della realizzazione pratica di tutto questo: parlare e rendere visibile ciò che muove l’architettura e l’urbanistica. Privilegi travestiti a volte da democrazia, a volte dal modernismo, a volte da iniziativa privata con salati effetti sul pubblico.

I due partner sono Alon Schwabe e Daniel Fernández Pascual. Al di fuori dell’esperienza con OfficeUS, loro lavorano come aritsti e performer sotto il nome di Cooking Sections. Questa intervista va gustata doppia, switchando spesso tra una e l’altra.


La tua storia in poche righe, Alon Schwabe

Ho 30 anni.

Sono nato a Tel Aviv (Israele) e ho vissuto lì molti anni. Poi ho iniziato a fare questo tipo di lavoro in diverse direzioni. Per molti anni nel teatro e nella performance, lavoravo per alcune compagnie e coreografi israeliani; poi ho iniziato progetti miei e ho diretto alcune pièce. Col tempo sono stato sempre più attratto dallo spazio pubblico e soprattutto su come farvi performance. Quindi mi sono avvicinato alla realtà urbana con un approccio architetturale. Ho anche co-curato la Bat-Yam International Biennale of Landscape Urbanism. Nella stessa città ho anche collaborato con una pièce che veniva replicata sui balconi delle case (mischiando attori professionisti ed artisti insieme agli stessi abitanti per ripensare il tipo di azioni che puoi fare in questi luoghi). Dopo mi sono trasferito a Londra, dove ho studiato al Centre for Research Architecture (Goldsmiths College) finendo il mio master. Da allora vivo lì, è lì che ho incontrato Daniel e abbiamo iniziato a collaborare.


“Attento all’atmosfera, OfficeUS, compreso te, è al lavoro”

Che ruolo hai avuto nella ricerca preparatoria del padiglione e, una volta a Venezia, nel farlo funzionare?

Sono qui come parte di un gruppo di partner, che lavorano per questo. Gli altri – a parte il mio partner in Cooking Sections, Daniel – sono Arielle Assouline-Lichten, Curtis Roth, M-a-u-s-e-r- (Mona Mahall, Asli Serbest), Manuel Shvartzberg Carriò e Matteo Ghidoni.

Durante i mesi passati a Venezia, abbiamo condotto ricerche e lavorato su tanti soggetti – dagli edifici ai vari argomenti che emergono dall’archivio che abbiamo presentato in OfficeUS. Siamo qui circa sei giorni a settimana e lavoriamo su un ampio spettro di progetti: creiamo nuovi immaginari, cuciniamo e ideiamo nuove ricette, organizziamo cene, presentazioni e dibattiti. Prima della partenza ufficiale del padiglione, i curatori e due università hanno condotto per oltre un anno una ricerca specifica. Gli studenti coinvolti in questa fase precedente provengono dal MIT Department of Architecture e dall’Austin E. Knowlton School of Architecture della Ohio State University.


Altri artisti prima di voi si sono presi l’arduo onere di affermare posizioni politiche attraverso materiali edibili (non importa se a forma di a
pudding o di una pelliccia fatta di pelle di agnello come avete fatto voi). Ma mi sembra che l’approccio di Cooking Sections sia molto più intrigato da grandi temi di politica internazionale e soprattutto sia molto conscio, direi da architetti.

Nella nostra pratica artistica non è fondamentale il cibo in se’ ma che tipo di paesaggio, architetture e territori vengono prodotti attraverso il cibo. In questo senso, usiamo il cibo sia come un mezzo di ricerca che come un fine – una soluzione per modellare, rappresentare, ricreare quei territori che indaghiamo. E’ come un cerchio senza fine, abbiamo una produzione basata sulla ricerca e una ricerca basata sulla produzione.


Puoi presentare, in particolare, uno dei vostri ultimi progetti “
Dietary Confinement”? Chi ve lo ha commissionato?

E’ nato prima come un articolo ed una serie di foto per il Displacements Journal, poi è stato esibito all’ACC Weimar (nella mostra Politics and Pleasures of Food). Oggi (24 Settembre 2014, è il giorno in cui SW ha intervistato Alon, fuori al Padiglione Stati Uniti ai Giardini di Venezia) è stato pubblicato anche in Ebraico in un’altra rivista, Igud Einyanim (si tratta di una rivista di arti curate dall’Associazione degli Artisti israeliani).

Daniel: Sono curioso di scoprire che effetti avrà…

Alon: Igud Einyanim è una rivista pubblicata da una curatrice e giornalista, Hadas Kedar: ha preparato questo numero, dedicato alle periferie, durante la guerra, quest’estate. La posizione della rivista sui recenti avvenimenti è stata molto criticata. Vedremo, è difficile dire ora che effetti potrà avere sul nostro progetto!


Siete stati già invitati a esporre in una galleria israeliana?

Alon, Daniel (insieme): Staremmo per….


Quindi quest’articolo potrebbe accelerare il processo o fermarlo per sempre..

Certo (sorridono): vedremo se la porta resta aperta o se ci verrà sbattuta in faccia…


Come avete incontrato Storefront?

Alon: Io attraverso un progetto che presentai con WochenKlausur (Vienna) mentre Daniel è stato invitato a una mostra curate da loro l’anno scorso a New York (era parte del team di curatori).


Quale è stato un incontro inaspettato che hai avuto di recente, sia nella tua vita lavorativa che in quella personale?

Uno inaspettato è in divenire. Dei cari amici (The Muslim Brothers, un duo di trentenni: una fashion designer ed un artista con cui abbiamo lavorato molto) vengono a trovarmi. Una vera sorpresa, quando ci hanno detto che venivano a Venezia. La relazione e lo scambio con loro è iniziato, anche in questa maniera inaspettata, a Londra.


Cosa fa la società per te e cosa fai tu per la società?

Qui stiamo parlando del decadente welfare europeo, ma io non sono un artista europeo, come Daniel, e quindi non ho accesso agli stessi aiuti e borse di studio, che da noi non esistono quasi. Qui stiamo crescendo come artisti non come persone, quindi io da parte mia devo sempre industriarmi a trovare falle nel muro per esprimermi dato che non è sempre qualcosa di scontato.


Che libri e che musica ti accompagnano qui a Venezia (se ce ne sono di particolari)?

Uno dei libri più belli che ho letto di recente sarà pubblicato a novembre prossimo per Verso (Londra). Si tratta di una prima versione, una preview, che l’autrice mi ha dato prima della pubblicazione e che mi accompagna nel lavoro e nella ricerca qui a Venezia. Si tratta di Extrastatecraft: The Power of Infrastructure Space di Keller Easterling. E’ un’incredibile ricerca condotta in sette anni.

Riguardo la musica, parlerei piuttosto della sua assenza a Venezia (ho incontrato il duo di performer in un tecno party che avevano organizzato qualche mese fa in un teatro occupato al Lido, dove finalmente tutti noi ci siamo goduti qualche ora di ballo, una rarità a Venezia). Ho un amico a Tel Aviv, Eyal, che studia cinema egiziano e che fa anche il dj in un party settimanale, si chiama Re-Levant. Fanno Mediterranean music e ricreano i paesaggi mediterranei, che mi mancano davvero.


Un talento che hai e uno che ti manca?

Il mio non-talento è il canto.


Come fai a vivere una vita lenta?

Mi piace sia il lavoro sia la sua assenza e quindi riesco molto facilmente a vivere entrambe queste condizioni. Tutto secondo me viene insieme.


Cosa hai imparato dalla vita?

Molto – o nulla.


Siete nati lo stesso giorno?

Alon, Daniel: Eh no, sarebbe troppo!

Le foto di Alon Schwabe sono state scattate da Laura Volpato (Treviso) in pellicola, all’esterno del Padiglione Americano ai Giardini della Biennale, con una Hasselblad.

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