Daniel, partner

La tua storia in poche righe, Daniel Fernández Pascual

Sono nato 30 anni fa a Burgos, nel nord della Spagna a due ore da Madrid, un posto dove si mangia un ottimo agnello (sorride). Ho studiato architettura e ho iniziato a lavorare per alcuni studi, poi ho ricevuto diverse borse di studio per continuare i miei progetti di ricerca muovendomi da un paese all’altro, mi piace molto.

Ho studiato Urban Design a Berlino poi sono andato a Shangai. In ognuna delle città che ho attraversato, ho sviluppato progetti di ricerca specifici per circa un anno. M’interessano questioni inerenti lo spazio, spesso in particolare la trasgressione della legge, o come fanno le persone a restare sempre sul margine legalità/illegalità proprio per vivere in queste giungle. Anche nel senso di usare spazi eterogenei, edifici abbandonati…

Ad esempio a Berlino mi sono molto occupato di pratiche architettoniche che accadevano la notte, dato che questa città ha sempre avuto un approccio pioneristico con leggi e regolamenti che si occupano di questi aspetti. Come a Shangai, poi, ho esplorato i mercati informali dei beni contraffatti, quali labirinti assistevano agli scambi. Mi sono anche occupato di speculazione immobiliare, in special modo di come si formano tattiche e speculazione. Poi ho incontrato Alon a Londra e siamo andati insieme in Alaska …(ride)

“Attento all’atmosfera, OfficeUS, compreso te, è al lavoro”

Che ruolo hai avuto nella ricerca preparatoria del padiglione e, una volta a Venezia, nel farlo funzionare?

L’attributo interessante di OfficeUS sono i background differenti di tutte le persone coinvolte come partner: non parlo solo di quelli geografici (da dove veniamo, dove viviamo, dove siamo cresciuti o dove lavoriamo) ma anche del tipo di ricerca di cui ci occupiamo, la prospettiva e gli strumenti di cui siamo dotati. In particolar modo per me ed Alon, ci occupiamo degli spazi della produzione e del consumo di cibo (anche negli edifici che sono parte di questa mostra). Un esempio di una performance di Cooking Sections che abbiamo recentemente fatto ad OfficeUS è “Who owns the Guggenheim Effect Cocktail” (Chi possiede il cocktail Effetto Guggenheim), la creazione di un cocktail ispirato al famoso museo di Bilbao su cui è nata una controversia che scuote da un po’ il mondo dell’architettura – e ben oltre. Ecco cosa è successo: un cuoco italiano di Bilbao inizia a produrre pasta fresca con la forma dell’edificio, quindi riceve una telefonata dalla Guggenheim Foundation che lo contesta intimandogli di smettere di produrre la pasta perché non possedeva il copyright dell’immagine dell’edificio (la Fondazione è la stessa che possiede il padiglione americano ai Giardini della Biennale che è anche, peraltro, il solo padiglione nazionale i cui muri sono veramente di proprietà dello stato che rappresenta; la Guggenheim è anche la stessa istituzione che provvede a produrre tutte le partecipazioni USA alle varie Biennali che si svolgono a Venezia). Chi possiede veramente la forma dell’edificio e chi può quindi controllare questo tipo di diritti su una facciata pubblica immersa nel tessuto di una città (e che di sicuro per quanto riguarda questo famoso museo è entrata tremendamente nell’immaginario collettivo)? Ciò che abbiamo fatto durante la nostra performance è stato prendere la copia della copia dell’edificio, rifare la pasta in modi diversi e creare un cocktail a base di pomodoro: quindi abbiamo mangiato e bevuto. Il dibattito non ha raggiunto una conclusione o una risposta chiara: continua ancora e oscilla di qui e di là. Questo tipo di situazioni, che includono temi quali la riappropriazione ed altre riflessioni, diventano sempre più comuni e dibattute. Il punto non è la copia, ma chi possiede o no un’ idea originale e perché.

Altri artisti prima di voi si sono presi l’arduo onere di affermare posizioni politiche attraverso materiali edibili (non importa se a forma di a pudding o di una pelliccia fatta di pelle di agnellocome avete fatto voi). Ma mi sembra che l’approccio di Cooking Sections sia molto più intrigato da grandi temi di politica internazionale e soprattutto sia molto conscio, direi da architetti.

Uno dei nostri interessi è il confine e le linee di confine che pertengono a diverse discipline che lavorano sullo spazio. Non parlo solo di confini politici, ma di confini come mezzi per la pianificazione urbana. Per esempio, il progetto della “pelliccia” che hai appena citato usa questo tipo di lenti. Parla di conflitto ma anche di paesaggio e in particolare si occupa dello spreco di cibo e di cosa si potrebbe fare con un piatto tradizionale di una regione spagnola (dove si consuma un’incredibile quantità di agnello la cui pelle, o pelliccia, viene semplicemente buttata). Cosa fare con questo leftover? Che tipo di profitto ne potrebbe nascere? Dopo esserci domandati questo, abbiamo ideato un marchio e la sua strategia con lo scopo di evidenziare un luogo e le sue economie locali. Allo stesso modo di ciò che accade per altre regioni europee, famose per lo champagne, il roquefort ed altre specialità. Come abbiamo scelto la strategia corretta? Abbiamo creato una collezione di costose edizioni limitate e numerate per il marchio, outfit di pelle dell’agnello gettata via. Il marchio creato è più costoso da produrre del prodotto che rappresenta.

Quale è stato un incontro inaspettato che hai avuto di recente, sia nella tua vita lavorativa che in quella personale?

Non è una domanda per niente facile. Potrei parlare di persone speciali ma comprometterei la mia relazione con quelli che non citerei. Quindi voglio parlare d’incontri inaspettati con gli oggetti, invece. Un incontro che ha influenzato quanto a venire, il lavoro e la vita o tutte e due. Il mio incontro inaspettato con un oggetto è quello avvenuto con una fotografia di me ad 8 anni. I miei genitori all’epoca comprarono una nuova TV e il cartone d’imballaggio era enorme. Era la più grande scatola avessi mai visto. Cominciai a protestare quando accennarono a buttarla e quindi restò in salotto. Divenne la mia piccola casa per tutta quell’estate. Di notte ci dormivo dentro e di giorno la usavo come tavolo o come contenitore. La foto di me che incontra quella scatola è pazzesca, è stata davvero la cosa più inaspettata (con gli anni posso dire che mi ha influenzato molto).

Cosa fa la società per te e cosa fai tu per la società?

Ne abbiamo parlato moltissimo di questo! Mia sorella si lamenta sempre: mentre io vinco costantemente borse di studio con fondi pubblici per le mie ricerche, lei becca costantemente multe per divieto di sosta. Più multe paga lei, più contribuisce ai miei finanziamenti. Quindi devo dire che sono molto felice di sapere di ogni sua nuova multa (ride). Ma, parlando più seriamente, c’è una responsabilità sociale da restituire ogni volta che godi di fondi pubblici. Spesso è una sfida, sei parecchio sotto pressione. Siamo chiamati a definire cosa vogliamo restituire: ai committenti, ai conflitti su cui lavoriamo…è uno scambio costante tra ciò che hai e ciò che dai, ed è sempre una sorta di compromesso.

Che libri e che musica ti accompagnano qui a Venezia (se ce ne sono di particolari)?

Oggi ascoltavo la colonna sonora di OfficeUS che puoi ascoltare anche tu dal nostro sito. La scorsa settimana ho avuto nelle orecchie quella che fa il verso alla cosiddetta Musica per Uffici (Muzak).

Libri: forse uno dei più importanti per il nostro lavoro quest’anno è stato uno che abbiamo trovato e che consiste in una raccolta di poster (con pochissimo testo, esattamente l’opposto di Extrastatecraft, che amiamo). E’ diciamo, la sua controparte: è stato realizzato dall’Empire Marketing Board del Regno Unito all’incirca negli anni ’30. Era il comitato di promozione dei beni prodotti nel Commonwealth. I poster sono bellissimi e disegnati con stili tutti differenti. Quella raccolta ci ha fatto pensare un sacco e ci ha ispirati anche per il progetto dell’Empire Christmas Pudding.

Un talento che hai e uno che ti manca?

Il mio non-talento è il canto.

Come fai a vivere una vita lenta?

Di solito facciamo tante cose insieme e siamo molto bravi a dosare il nostro tempo.

Cosa hai imparato dalla vita?

Molto – o nulla?

La foto di Daniel è stata scattata da Laura Volpato (Treviso) in pellicola, all’esterno del Padiglione Americano ai Giardini della Biennale, con una Hasselblad.

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