Daniela, direttrice di museo

Un luogo fatato, incastonato in una rete di canali veneziani a Campo San Beneto, custodisce la storia e la vita di un grande designer, e scenografo, Mariano Fortuny, che fu anche artista. Nulla vi stupirà di più al mondo della temperatura della luce che troverete al suo interno. Oggi ospita, fino al 22 novembre, Proportio una mostra sulla proporzione aurea e la geometria sacra in arte, architettura, musica – e lo fa trottando tra diverse epoche storiche, paesi, saperi, testi, saggi e componimenti.

 

Premiarmi con una visita o qualche ora di lettura all’ultimo piano del Museo Fortuny è quel che faccio quando ho bisogno di senso. E’ insieme una capsula del tempo e un luogo di creazione contemporanea, senza barriere.

La sua direttrice, che cura anche tutti gli allestimenti degli altri dieci musei civici veneziani, ci ha aperto il cuore del posto, ed insieme il suo.

 

 

La sua storia in poche righe, con particolare riguardo all’infanzia e alla formazione

Domanda dalle infinite risposte. Ho avuto un’infanzia felice, il fatto di essere figlia unica mi ha portata ad avere la necessità di crearmi e raccontarmi delle storie. Leggevo moltissimo. Alla classica domanda: cosa ti piacerebbe fare da grande? avrei detto il chirurgo. Dopo mi sono ben ripresa da questa follia perché non era assolutamente la mia professione. L’architettura e l’arte mi sono entrate nel cuore a inizio adolescenza e ho scelto di studiare queste discipline. Io pensavo alle grandi architetture invece la vita mi ha portato a quelle effimere – gli allestimenti – a cui non avevo proprio mai pensato. Il caso ha voluto (la stella, la buona sorte, non lo so) che il primo incarico ricevuto da architetto sia stato un allestimento. Ho colto al volo, con un po’ di incoscienza, l’occasione ed è stata una rivelazione: ho scoperto il mio mondo.

Ho una relazione un po’ complicata con il tempo. Sono mediamente paziente ma anche l’esatto contrario, soprattutto quando devo realizzare qualcosa (un progetto, un’idea) ho bisogno di vederla subito progredire.

Ogni allestimento ha una data, una consegna, e i tempi (cortissimi) sono certi. Ci sono delle accelerazioni, non ci sono scusanti, non ci si può permettere di non aver finito anche un nanosecondo prima: devi governare il tempo e gli eventi. Occorre un approccio realista anche nella fase di progettazione, dove la praticità deve prevalere sul sogno. Magari il sogno c’è sempre sottotraccia, ma poi chi ti da i soldi? E il tempo?

 

Il suo mestiere ha una delicatezza intrinseca, a parte la difficoltà di realizzare sogni come spesso sono le bozze di progetti culturali ed espositivi che viaggiano sui desk di tante istituzioni diverse fino a trovare la strada della realtà.

La delicatezza risiede nel fatto che lei racconta storie ricche, importanti, totalmente inedite (come l’ultima, Proportio). Lo fa sapendo che a varcare la soglia del museo sarà un pubblico internazionale ma per la maggiore generalista, che deve innamorarsene e sognare come ha fatto lei – con una visione. Il suo segreto?

Non c’è una risposta precisa. Ci credo, sono appassionata, quindi non c’è nessun segreto o tecnica, solo il desiderio e la volontà di comunicare una passione vera, di consegnarsi al pubblico, agli altri, con estrema semplicità. Io racconto le storie che mi piacerebbe sentire, che mi voglio raccontare e queste s’incrociano e si alimentano con altre storie: tutti nel rapporto interpersonale abbiamo un prendere e un dare e si fanno dei tentativi.

Dal 2007 ho raccolto una grandissima sfida, provenendo da un’altra formazione (allestimento e organizzazione mostre), non mi ero mai misurata con la direzione di una sede museale. A questo aggiungo che tale sede non è assimilabile a nessuno degli altri musei della città. Collezione e spazi sono strettamente legati alla vita di un artista, qui si respira ancora la grande energia tipica di quel che era, un luogo di produzione). Fortuny viveva qui con i suoi operai ed insieme lavoravano, legati dall’amore per la produzione del bello. Mi sono ritrovata sulle spalle un’eredità importante e pesante. E c’è sempre il problema dei soldi che non bastano mai. La Fondazione Musei Civici riesce a garantirne l’apertura e buona parte dell’attività senza gravare sul bilancio comunale. Ho instaurato un sodalizio con Axel Vervoordt: grazie alla sua generosità, il museo è tornato ad una nuova vita ed è aperto a tutti quelli che vogliono un luogo unico, mai scontato.

Con lui mi accomuna una visione – oltre all’amore per Mariano Fortuny e oltre al fatto che entrambi siamo due ‘malati’ d’arte: abbiamo anche una visione un po’ idealistica, pensiamo che l’arte sia in grado di stemperare i conflitti e creare armonia.

Con Axel abbiamo dotato il museo degli impianti necessari per restare aperti e rispondere sempre meglio agli standard internazionali, mentre la città si è occupata del restauro della facciata principale.

Muovendoci all’interno di questo palazzo, abbiamo ammirato la genialità di Fortuny anche nelle cose pratiche. Abbiamo sfruttato alcune canalizzazioni (realizzate quando divenne proprietario del palazzo) che ci hanno permesso di completare la quasi totalità degli impianti senza infliggere altre ferite ad un’architettura così delicata, che necessiterebbe di un ulteriore intervento di restauro. Si auspica quindi una continuità d’intervento per il completamento del restauro dell’intero edificio. In occasione della presentazione della prima parte dei restauri, citavo Cesare Brandi (grande storico dell’arte, uno dei più grandi teorici del restauro): “Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”.

Il fronte che guarda il piccolo rio mi preoccupa molto. Anzi, mi fa male ogni volta che ne osservo l’eleganza è soffocata da uno strato di nero: va risanato e riportato alla sua bellezza originaria.

 

 

Non era solo un eclettico, era un polistrumentista…penso che la cosa migliore che salvaguardate in questo museo sia la personalità di Mariano Fortuny

Era un curioso, Fortuny: guardando i libri custoditi nella sua biblioteca (che rivelano molto di più di quello che possa essere raccontato), mi sono resa conto che era innamorato del bello, dell’armonia e della cultura a tutto campo, il suo sguardo instancabile corre da oriente a occidente e viceversa senza preferenze. E’ questo che dobbiamo trasmettere di un luogo che ci è stato affidato, oltre a conservare l’eterogeneo patrimonio fatto di opere, libri, stoffe e lampade. E’ una casa di artista aperta e deve essere un luogo dove ci si incontra. Mi chiedo sempre: come e a chi vorrebbe aprire la sua casa, oggi, Fortuny?

Lui è stato il continuatore della bottega rinascimentale, che fu capace di rinnovare trasferendola nella sua contemporaneità. Noi oggi dobbiamo continuare nell’idea ‘Fortuny’, il dialogo delle arti, senza limiti di epoche, con la missione di fusione e armonizzazione di storie.

Facciamo le veci del padrone di casa, dobbiamo accogliere. Poi ognuno è libero di esprimersi, amare ed odiare questo luogo, a tutti non si può piacere. La mia è una scelta che è stata fatta convintamente in mezzo a mille altre possibili, se per qualsiasi ragione ci fosse la necessità di cambiarla la mia missione sarebbe finita e io stessa non mi divertirei più. E siccome detesto la noia…

 

 

Il suo approccio – stavolta come direttore degli allestimenti degli 11 musei civici veneziani – con la storia e la contemporaneità: come le tiene insieme (e come le valorizza entrambe) soprattutto considerando che produce progetti spesso con istituzioni e partner che non affrontano l’impegno conservativo e la delicatezza, unici al mondo, che richiede un palazzo veneziano? 

Mi permetto di dire che gli spazi li conosco abbastanza bene, quasi di più di casa mia per averli percorsi in tanti modi e metabolizzati. Ne conosco le criticità e i punti di forza.

Compensiamo le “relative” mancanze di una rigorosa attinenza a convenzioni internazionali con altro. Dico sempre: fa più danno spostare opere che sono nate in e per determinati climi e imporre valori climatici dati da una convenzione internazionale, bisogna avere una certa elasticità.

E poi si gioca la carta Venezia. Ancora oggi, chi viene dal resto del mondo rimane stupefatto dall’insieme storico-architettonico, ma sfiora il panico di fronte al trasporto dell’opera. E’ un dramma: spesso non capiscono (soprattutto per chi non conosce la realtà veneziana) perché un camion non possa arrivare “da porta a porta” e il trasbordo con la barca mette tutti in agitazione! Vivono poi una grande esperienza (visto che molti accompagnano passo dopo passo, anche “in barca”, l’opera che prestano). Alcuni si terrorizzano e altri lo vivono come deve essere: una straordinaria avventura. Ancora oggi anche io mi meraviglio della incredibile professionalità che esprimono le nostre maestranze, e faccio l’esempio più recente accaduto con Proportio, trasportando i grandi lavori di Anish Kapoor oppure il Paride di Canova. La maestria sta anche nel coniugare le tecnologie più avanzate con il sapere antico.

 

 

Gioie e dolori come curatrice e direttrice del Fortuny, il più bel museo veneziano ora aperto solo per mostre temporanee? 

Il vero grande dolore è la scarsità di soldi. Sono sempre pochissimi e non bastano mai. Con Axel abbiamo fatto molto, in passato anche con Venice Foundation e mi auguro che altri s’innamorino del progetto Fortuny.

Altro dolore, è che non avrò il tempo di fare tutto quello che ho in testa.

Mi piace molto il rapporto che si instaura con gli artisti o con i collezionisti che ci prestano le opere, sentendosi a casa qui.

Luca Campigotto (indica una meravigliosa veduta marina appesa nella sala riunioni), non è il solo: molti ci hanno lasciato le loro opere. Francesco Candeloro, Marco Del Re, Maurizio Donzelli, Maria Wirkkala e tanti altri…

Molti artisti mi hanno detto che qui hanno trovato un luogo che ha cambiato la loro visione. Il fatto di condividere le stesse sensazioni, ognuno poi le rielabora secondo la propria personalità, mi fa felice.

Con Proportio abbiamo chiesto agli artisti una partecipazione più ampia, assai visibile nella mostra, soprattutto di fronte alle opere realizzate appositamente (site-specific). La cosa che mi ha fatto enormemente piacere è stata l’assenza dei soliti problemi, litigi e protagonismi. Nessun artista ha esposto le sue opere in una stanza tutta per sé. Nelle concitate fasi di allestimento tutto è stato vissuto con partecipazione, armonia e serenità.

Anish Kapoor, per esempio, aveva chiesto una sala solo per le sue opere ma quando in fase di allestimento abbiamo collocato nello stesso spazio un cubo di Giacometti, ha capito che il suo lavoro, sul vuoto, si coniugava bene con quel che il poliedro ispira: forza di attrazione della terra, della gravità commista allo slancio e all’energia poetica delle superfici leggermente curve. Questo lavoro di Giacometti è capace di legare molti mondi: Kapoor ha colto l’armonia sottesa a questa scelta.

Altro esempio: Vincenzo Castella, che ha accettato che il suo video fosse proiettato al secondo piano senza schermo e senza oscuramento per meglio rispettare la pelle dello spazio.

 

Il filo conduttore di Fortuny, è sempre molto visibile, non solo in questa mostra. Dopo Proportio, e farò di tutto per trovare i fondi, a dicembre vogliamo rendere omaggio a quattro storie di donne intimamente legate all’arte. La prima è Henriette, la musa e la compagna di Fortuny di cui poco si sa (sulla scia di quanto fatto con Dora Maar). E’ morta nel 1965, è grazie a lei se sono state rispettate le volontà testamentarie del marito che prevedevano di donare a Venezia il palazzo, gli archivi e molte sue opere. A cinquant’anni dalla morte mi sembra un doveroso ricordo. Poi c’è Sarah Moon, con un lavoro legato al Palazzo e alla “piega” (plissé Delphos). Poi le Erme (di fatto autoritratti) ed i Saturno di Ida Barbarigo, artista veneziana che compie 95 anni. Racconto una storia di passioni, la sua in questo caso è la pittura. Romaine Brooks, coetanea di Henriette, con un’altra storia: nata in una ricchissima famiglia ma segnata da instabilità e tragedie. Romaine è la vittima preferita di una madre dispotica ed anaffetiva: il disegno diventa la sua salvezza. Ha venduto pochissimo, ha sempre tenuto le sue opere quasi tutte per sé.

 

Quest’anno il museo resta aperto d’inverno.

Sperimentando l’anno scorso l’apertura invernale con la mostra sulla Marchesa Casati, che ha dato buoni risultati, e avendo fatto anche l’impianto di riscaldamento, possiamo.

La collezione Fortuny che abbiamo ereditato è ciò che è rimasto nel palazzo, devo sempre ricordarlo. Dalla morte di Henriette (1965) fino a quando il palazzo è stato finalmente aperto al pubblico (dieci anni dopo), purtroppo molte cose hanno preso altre strade. Fare mostre temporanee è un modo, necessario, non solo di riempire spazi ma soprattutto di far conoscere e valorizzare il patrimonio di Mariano Fortuny. Così facendo, abbiamo rinnovato l’interesse verso una figura un po’ dimenticata (a Barcellona, città d’origine della famiglia paterna, nessuno lo conosceva se non per le stoffe e una nostra mostra alla Pedrera ha permesso di far apprezzare la sua poliedricità, poi è stata la volta di New York e Burgos. Nel prossimo autunno tocca a Stoccolma).

Ci piace anche, in qualche modo, dare visione alle cose più piccole, più trascurate, all’arte meno rutilante (da ultimo, l’arte orafa contemporanea di artisti locali, con Barbara Paganin o Annamaria Zanella).

Venezia è la grande città dell’arte internazionale e spesso trascuriamo, o non abbiamo a sufficienza la percezione dell’arte prodotta qui oggi. Non siamo solo una città di mascherette, di finte borse e di turisti dell’arte altrui. Il giorno che si capirà che questa città può essere ancora una grande capitale dell’arte e del pensiero, portatrice di linguaggi nuovi, interessanti. saremo fuori dal pericolo di autodistruzione. Basti pensare al nostro artigianato, Ma questa è un’altra storia. E chi sa se la vivremo.

Venezia, è una città che divora, ogni tanto dico “sono piantata in laguna” come una briccola, è molto pericoloso, si smarrisce il senso della realtà. Che è un’altra rispetto a quella che viviamo qui. Tuttavia il distacco provoca molta nostalgia. Quel che succede a Venezia è unico.

 

 

Cosa fa la società per lei? 

Mi sembra che sia un po’ esagerato sapere cosa la società faccia per me. Oh non saprei cosa rispondere…Non riesco a immaginare che la società pensi proprio a me!

 

Cosa fa lei per la società? 

Credo molto nell’esempio e se tutti facessero, al meglio, quel che devono (dal mestiere più umile al grande pensatore)….

Fare il mio dovere (nel mio caso è anche assolutamente un piacere) e farlo con umiltà e rigore, credo sia importante per la società. Non ho niente da insegnare, ho solo da imparare. Questa è la molla che mi permette di superare quei momenti dove un’ala oscura passa sulla testa…Ho anche da dare, ma devo imparare per poter ridare. Credo molto nella circolarità, nel flusso nel fare, nel pensare. Credo anche che sia importante essere semplici, trasparenti. E dedicati.

 

 

Ritorna l’idea della salvatio, un po’. Quella sottesa a voler fare il chirurgo. 

Sì forse, ma c’entra molto il fatto che, pur avendo avuto un’educazione molto libera, ho prima di tutto imparato dai miei genitori il senso del dovere.

Per sintetizzare: ho la necessità di un rigore leggero. E c’è qualche cosa d’altro, c’è la possibilità, le porte sono aperte. Basta avere il coraggio, la forza, l’ardire di aprire le porte: non sempre dobbiamo aspettare che qualcuno lo faccia per noi. Magari possiamo provare ad aprire un varco da soli. Mi viene in mente il gesto di Fontana che squarciava le tele. Per fare quello, occorre avere un ideale, un sogno, una necessità.

 

 

Una cosa bella che le è capitata di recente come cittadina o viaggiatrice? 

E’ una cosa molto personale, ho ricevuto in regalo da mio marito un altro gattino (io adoro i gatti), un bellissimo cucciolo di Ragdoll (ci mostra il suo primo gatto della stessa razza, Merlino e il nuovo arrivato Artù, e dice “non siamo ancora sicuri del nome”. ndr). Entrambi sono liberi di uscire e girare per i tetti.

 

Una passione culinaria? 

Come al solito ho varie passioni, più che passioni amo certi sapori. Una torta di mele con la crema pasticcera, pasta sfoglia sottilissima, simile alla Tarte Tatin. I gelati sono la mia grande passione, sono golosissima. Per il resto ho molta curiosità.

 

Che vino/bevanda?

Non posso bere vino rosso perché mi procura mal di testa (per molti è l’esatto contrario). Ad eccezione della Bonarda.

Adoro il Incrocio Manzoni non filtrato. In questo periodo mi da grande soddisfazione. Poi le bollicine…

 

 

Un libro che l’accompagna (e dove siede il libro in questo momento) 

Difficile scegliere. Uno dei libri è la Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, e sta esattamente nel terzo scaffale di una delle mie librerie (che foderano interamente la mia casa, anche quelli che sono qui mi appartengono – indica un’incredibile mole di volumi che occupa interamente il suo ufficio e parte della sala riunioni, ndr.).

Sta vicino al catalogo della mostra di Antonello da Messina che ho allestito qualche anno fa a Roma.

 

Un talento che ha, uno che le manca

Avrei adorato saper cantare e avere quanto meno un orecchio musicale. Una mia insegnante diceva che non esistono gli stonati, ma i non educati. Sarà, ma da quando all’asilo alla classica recita mi hanno detto ‘tu non cantare muovi solo le labbra’ …ho rinunciato. Il talento che ho: la pazienza.

 

 

Quali sono i suoi metodi per vivere lentamente, se ci riesce di tanto in tanto? 

Io nasco lentamente, la mia attitudine: una leggera lentezza.

Mi piace molto contare prima di parlare. Ho sempre bisogno di riflettere anche se purtroppo oggi bisogna essere frenetici. E a volte essere rapidi può essere un grandissimo vantaggio ma io sono un diesel, carburo tardi però poi…chi mi ferma?

 

Cosa ha imparato sin qui dalla vita? 

Non ho ancora imparato, ho trovato un equilibrio. Ho imparato che bisogna saper ascoltare gli altri. E però poi decidere da soli. Più o meno…Però, fate domande complicate!

In fondo è bello, fanno riflettere, cosa che a volte non si ha il tempo di fare!

 

 

3 risposte a “Daniela, direttrice di museo”

  1. Gian Paolo Trabucco, in arte Zani Polo

    Immensamente interessante lo dico da veneziano autentico, Lei ha trovato quello che cercava, io ancora no, spero di arrivarci anch’io, voglia accettare i miei più calorosi e cordiali saluti.gpt.

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  2. Me neconsolo, Gian Paolo Trabucco in arte Zanipolo

    Volevo far sapere alla gentikissima Signora Daniela, che dal 2015 ad aoggi di testi ne ho scritti oltre una trentina, e rigorosamente in Veneziano, sono asua disposizione per un incontro se crede, grazie per l’ospitalità. .

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  3. Annamaria Gelmi

    Donna interessante colta e piacevole.
    Un artista che vorrebbe conoscerla

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