L’amante imperfetto

 

1.

Non serve che qualcuno te lo ricordi. Lo noti nel volto sciupato di tua madre, nella ruggine che insidia la ringhiera del terrazzo di casa, nell’orlo sdrucito dei jeans che tua zia ha cucito su misura apposta per te, copiando il modello da una pubblicità della Levi’s. Ma hai tredici anni e fatichi a credere che non li avrai per sempre, che il tempo un giorno consumerà anche te. Preferisci pensare che un vecchio sia vecchio perché se lo merita, e la tua giovinezza un diritto. Sentirti dire che sei bello non ti esalta. Belli a quell’età lo siete più o meno tutti. Nel tuo caso poi, la bellezza è la conferma di quanto sostengono in tanti, che somigli a una femmina.

A mancarti è altro. Te ne accorgi osservando le mani di chi ti sta intorno. Alcune non hanno fretta, non si agitano come le tue in preda all’impazienza o all’imbarazzo. Sembrano, invece, attrezzi di precisione, abili ad allacciare il cinturino di un casco o a farsi spazio in una conversazione. C’è una tale naturalezza in quei gesti da far pensare a un dono, alla dote di un predestinato.

E anche se all’epoca il futuro esercita su di te lo stesso fascino di un’insegna spenta, dovendo scommettere non avresti dubbi, punteresti tutto su qualcuno che sappia muovere le mani.

A chi appartengano non ti interessa. La curiosità non è di moda a quei tempi e a fare troppe domande si finisce per passare per provinciale o, peggio ancora, per conformista.

Di sicuro però tu quel dono non ce l’hai. I tuoi modi impacciati sanno sciogliere la diffidenza delle compagne di classe, ma non riescono ad accenderle di desiderio. E per quanto tu non pensi ad altro, il sesso rimane per te una pratica solitaria.

Da qualche mese hai smesso di masturbarti a letto, sotto le coperte, e hai cominciato a farlo in bagno, dove puoi sfogliare indisturbato una delle riviste porno di tuo padre. Le riviste sono nascoste nell’armadio in camera dei tuoi, insieme a una serie di vecchie foto in bianco e nero, orlate sui bordi, le tue preferite. Le foto documentano un’orgia. Non sono state scattate su un set, ma in un appartamento di villeggiatura, almeno a giudicare dal segno del costume sulla pelle dei partecipanti e dai ripiani sgombri alle pareti; e a comparire è gente comune, tra cui tuo padre. Riconosci il volto, la linea del fisico snello e minuto, e quella proprietà di gesti che, anche nell’immobilità di uno scatto, riesce a renderlo attraente.

Vederlo a suo agio con la lingua infilata tra le cosce di una ragazza bruna o mentre volta lo sguardo all’insù rapito dal piacere, non ti sconvolge. La sua presenza è coerente col resto della scena, pura rappresentazione.

Per venire scegli sempre la stessa immagine, meno esplicita delle altre, ma ancora più conturbante. Ritrae il gruppo di amanti – quattro maschi e due donne – in posa di fronte all’obiettivo al termine dell’orgia. Tutti e sei appaiono sfiniti ed euforici, come dopo un’arrampicata in montagna o di ritorno da una serata alcolica. Tuo padre, in mezzo alle due donne, tiene le mani sul seno di ognuna. È questo a infiammarti: la pratica del vizio messa in scena con la naturalezza di un affare domestico, la stessa indifferenza che rende il delitto ancora più efferato. E sarà così per sempre (Trent’anni dopo verrai preso da una violenta eccitazione di fronte a un video amatoriale scovato in rete. In una camera da letto un uomo e una donna scopano sotto gli occhi del marito, che si masturba e scatta foto dell’amplesso. Poco prima che i due giungano all’orgasmo, il marito si avvicina e batte un dito sulla schiena dell’uomo. «È incredibile quante foto riesce a scattare la tua macchina fotografica, ma che rullino stai utilizzando?» chiede. L’altro, senza smettere di scopare, risponde svogliato: «È una macchina digitale. Ha dentro una memoria»).

Con le ragazze non sei mai andato al di là di qualche bacio, scambiato contro le cabine della spiaggia o seduti su una panchina del lungomare. Stretti l’uno all’altra, le hai ascoltate sussurrare parole piene di tenerezza e fantasticare di un futuro insieme sereno ed educato, senza però percepire nei loro gesti la minima traccia di eccitazione o desiderio. La verità è che, vicino a te, né Betty né Marina si sentono in pericolo. Ai loro occhi la tua bellezza deve apparire tanto innocua quanto inservibile, simile a quella dei principi delle favole, biondi e con gli occhi azzurri, ma piatti all’altezza dell’inguine.

E quando infine ti decidi a spingere le mani dove non hai mai osato, le vedi ritrarsi deluse più che spaventate, come se avessi mancato a una promessa.

«Cosa c’è di male?» provi a convincerle. «Tanti lo fanno alla nostra età.»

Sai però con certezza che a frenarle non è il pudore, ma il tuo corpo sbagliato, e che altre mani − più abili delle tue  − riuscirebbero a vincere con facilità la loro ritrosia.

Ma tu quelle mani non sei in grado di imitarle, allora costretto in un fisico incapace di esprimerla, lasci la tua voglia deragliare in solitudine. Non hai idea di come possa allearsi con l’intimità altrui, né, in fondo, se abbia senso provarci.

 

Emidio Clementi (Italia, 1967 -)

 

primo capitolo de L’Amante Imperfetto (Fandango editore, 2017, ISBN: 978-88-99452-12-4): per saperne di più o acquistare il romanzo: https://www.fandangoeditore.it/shop/autori/lamante-imperfetto/

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