Alberto, pediatra

Incontro Alberto, sempre, ai giri di boa dei miei anni, nelle città abitate od attraversate, con levità e dolcezza. Lui – i suoi racconti, la sua moto e le incredibili selezioni di vino alle cene, che fanno da sfondo alle riflessioni a tutto tondo. Ci siamo incontrati allo stesso premio di poesia a cui, in fondo, dovete anche la nascita della rivista che state leggendo. Il poeta ora cura, mirabilmente. Ed ha creato con un’altra poetessa di quella stagione, Licia, una splendida famiglia.

 

La tua storia in 10 righe

Nato a Genova terzo di quattro figli. I miei genitori originano da altre parti di Italia, ma ben presto sviluppo un grande attaccamento per la mia città di origine e ovviamente per la squadra di calcio del Genoa, che è poi una di quelle cose che ti resta sempre addosso. Alle scuole superiori svolgo attività di volontariato con i bambini di un quartiere povero della città. Inizio l’università a Genova per poi finirla a Trieste. A 25 anni, in un incantevole paesino della provincia toscana, partecipai ad un concorso di poesia il cui premio (riservato a tutti!) consisteva in una settimana di ospitalità (erano due! ndr) e stage culturali. Lì conobbi quella che poi sarebbe stata mia moglie, e altre persone cui sono rimasto molto legato. Mia moglie l’ho sposata quando non avevo più abbastanza forza per andare da lei in bicicletta, e allora si è trasferita a Trieste e abbiamo messo su famiglia. Prima di finire l’università ho svolto il servizio civile presso l’ospizio più grande della città: un anno che mi porto sempre dietro, per il dialetto istrio-veneto-triestino che ho imparato, per gli anziani che ho conosciuto, per i compagni obiettori con cui abbiamo passato momenti indimenticabili. Qui ho messo radici, dal mare al Carso, dalla bicicletta alla moto, dai miei familiari agli animali che ci accompagnano.

 

Difficoltà di lavorare come medico pediatra in un grande ospedale?

Difficoltà ce ne sono tante. E’ difficile, in generale, cercare di fare bene il proprio mestiere, bilanciando conoscenze teoriche e decisioni pratiche, complessità e sintesi. Già, perché la medicina di un centro di riferimento pediatrico oggi è fatta soprattutto di malattie rare o complesse. Questo significa che bisogna confrontarsi continuamente con altri specialisti e con conoscenze in via di cambiamento. Noi stessi, in una rete globale di medici, siamo responsabili per mezzo dei nostri studi e delle nostre osservazioni di questo cambiamento continuo. Dall’altro lato, la cura del singolo paziente richiede spesso di estrarre dalla complessità singoli problemi, di bilanciare le novità con le sicurezze, di trovare la lettura semplice delle cose. Questo è difficile, ma enormemente stimolante soprattutto per chi come me ha sempre qualche maestro davanti a cui guadare e qualche giovane dietro che ti spinge con il suo entusiasmo. Poi ci sono le difficoltà che potrebbero non esserci, quelle burocratiche, che consumano tempo e risorse che sarebbe meglio impiegare diversamente. Alludo ad esempio alla proliferazione d’impenetrabili moduli ipocritamente prodotti per tutelare la privacy dei pazienti. Ma questo mi sembra che sia un mal comune.

 

Cosa fa la società per te?

Quale che sia il concetto di società, posso dire che fa molto. In realtà non mi sembra di avere particolari richieste verso la società. Credo che quello che uno si aspetta dalla società sia di trovare un ruolo, un senso di se stessi in mezzo agli altri e, certamente, delle opportunità per lavorare, per essere famiglia, per guardare al giorno seguente con serenità. Dalla società, o forse anche dalla mia incoscienza, ho una ragionevole percezione di sicurezza, libertà e civiltà. Credo che sia la gente che ci sta in torno in qualche modo ad alimentare questa percezione, e in misura minore le istituzioni. Nel senso che tutto dipende da una particolare combinazione di fattori che include il livello medio di benessere, di soddisfazione personale, di funzionamento amministrativo, di cultura. Certo, ci sono momenti di difficoltà in cui la società può apparire più egoista, pericolosa e addirittura priva di prospettive. Tuttavia è di solito la voglia di reazione a prevalere e poi ciascuno decide da quali forze e sentimenti lasciarsi influenzare. Ad esempio, non posso non citare le varie associazioni volontaristiche con cui collaboriamo nel mio lavoro e che ci sostengono con impegno e sincerità da tanti anni.

 

Cosa fai tu per la tua società?

Faccio il mio lavoro, con passione, dedizione e onestà. Cerco di insegnare le cose che imparo appena queste mi sono abbastanza chiare: questo fa bene a me e, spero, contribuisca a guadagnarmi la stima degli altri, che per me è sempre importante. E poi, cerco di avere una famiglia normale, e credo che questo sia anche importante per la società. Ancora, frequento amici, quando posso e pure questo, credo, sia qualcosa di buono per la società: stare insieme di fronte a valori normali, senza la pretesa di cambiare il mondo, ma anche senza l’istinto di distruggerlo.

 

Una cosa bella che ti è capitata di recente?

Aver ricevuto una bellissima chitarra al mio compleanno da mia moglie e dalle mie figlie. E’ una cosa bella perché loro sanno che non me la sarei mai comprata da solo, perché sono un pessimo suonatore. Ma in realtà mi piace suonare e il loro pensiero mi ha commosso.

 

Una passione culinaria?

Ce ne sono tante. Quando posso mi piace cucinare. Per carità, non mi considero un buon cuoco, ma mi piace lasciare che il gusto della stagione e del momento influenzi la mia cucina. Quando le mie figlie erano più piccole mi piaceva cucinare in squadra: era un modo per fare insieme e anche per gustarsi di più quanto preparato. Se devo dire una singola passione, scelgo la focaccia genovese, anche se e forse soprattutto perché non riuscirò mai a fare quella che mangiavo da bambino.

 

Le tue bevande preferite?

Non c’è dubbio, il vino. Meglio se preso direttamente dal produttore, conservando le immagini, le luci e gli odori della terra da cui proviene, ma anche la parlata degli uomini, l’odore delle cantine e il gusto delle ricette locali. Credo che quando parliamo di patrimonio enogastronomico del nostro paese ancora non riusciamo a metterci dentro tutta questa diversità e soprattutto quella parte di tutto ciò che resta individuale e legata alle esperienze di ciascuno di noi.

 

La musica o un libro che ti accompagna

La musica è importante, cerco di godermela nei rari momenti di relax. Ho gusti molto vari, dalla classica alla melodica al rock. Tuttavia la musica più radicata dentro di me è forse quella con le parole, con la poesia dentro, come quella di Fabrizio De Andrè e di altri cantautori. Mi dispiace di non avere immediatezza nella comprensione della lingua inglese cantata, perché mi rendo conto che questo non mi permette di apprezzare a pieno tanta musica che pure ascolto. Libri ormai ne leggo solo in treno, l’ultimo bellissimo, Una stella incoronata di buio, di Benedetta Tobagi.

 

Un talento che hai, uno che ti manca

Non credo di avere veri talenti, e anche se ne avessi non lo potrei sapere perché non ho mai messo sufficiente tenacia e costanza nelle cose che ho fatto. Se devo scegliere, direi la fotografia, perché credo di esprimere qualcosa che a volte riesce ad essere significativo. Intendiamoci bene, non credo di essere un fotografo, mi rendo conto che la professione e l’arte fotografica sono ben altra cosa, ma mi accontento e mi piace. Un talento che mi manca è quello della musica. Certo, se l’avessi studiata seriamente ora potrei allietarmi con la voce e uno strumento, invece di strimpellare la chitarra con ritmi anarchici e improbabili. Avere talento è un’altra cosa, vuol dire avere una dote naturale su cui diventa un piacere lavorare.

 

Cosa hai imparato dalla vita? 

Ad andare avanti. A non piangermi addosso. A vivere, insomma. Che altro si può imparare dalla vita?

 

 

Lascia un commento