Aluk, Ghazni

Nasco in un piccolissimo paesino in mezzo alle montagne dell’Afghanistan di cui ho dei ricordi bellissimi: fa parte della provincia di Ghazni (nella zona centro-orientale del paese, con un’altitudine di oltre 2200 metri) la stessa del Re Mahmud Ghaznavie dell’omonima dinastia Ghaznavide, ci sarebbero tante cose da sapere su questo posto!

 

Il mio distretto conta forse anche 170.000 persone. Sta diventando molto più denso anche se si compone di piccoli villaggi sparsi in un territorio ampio. Dal ’90 in poi e fino ad ora c’è stata una grande emigrazione di giovani che poi sono tornati anche dieci anni dopo, ma solo per portare via le loro famiglie.

 

L’etnia di questa parte di terra, che è quella da cui provengo io, è Hazara. La nostra madrelingua è il Dari, noi parliamo il dialetto Hazaragi, un miscuglio tra il dari (derivato dal persiano) e molte parole che sono connesse con la lingua mongola.

 

La tua minoranza è perseguitata

 

Gli hazari hanno una storia molto lunga. La persecuzione nasce nel 1889, con re Abdur Rahman Khan. Circa il 63% della popolazione hazara è stato ucciso, il restante è scappato abbandonando il paese. Una parte molto importante è in Pakistan, a Quetta (la capitale della provincia del Balocistan) dove si parla un miscuglio di dari, hazaragi, urdu e anche inglese.

Gli hazari che rimangono in Afghanistan abitano le catene montuose centrali perché fu il re che li perseguitò a spingerli via dalle terre fertili che abitavano. Ad esempio, Bamyian è una delle città hazare più importanti, è proprio dove sono state distrutte le statue di Buddha dai talebani.

 

 

Quando nasci?

 

Nasco nel 1990 tra quelle cime. La mia famiglia ed i miei parenti sono in giro per il mondo: Emirati Arabi, Inghilterra poi Australia, Germania, Canada…Riusciamo a tenere i contatti, è difficile ma la tecnologia qualcosa oggi permette. Però siamo entrati in un mondo a noi sconosciuto. Un conto è essere nati in Occidente e cambiare paese, un conto è essere nati in un mondo che ti viene negato e che non esiste forse più. Comunque trovi il tempo per parlare anche con notevoli distanze, se è questo vuoi sapere.

 

 

Sei l’unico che ha studiato cinema della tua famiglia?

 

Si

 

Sono andato via quando avevo solo 12 anni perché volevo conoscere il mondo. Sono andato in Pakistan da mia nonna, a Quetta, poi sono scappato anche da lì, volevo andare in Iran. Con i miei amici ci siamo messi in viaggio ma la polizia di frontiera ci ha beccato. Io peraltro mi sono ammalato in viaggio.

 

 

Eravate anche minorenni?

 

Sì, certo. Siccome mi ero ammalato, mi hanno chiesto dove fosse la mia famiglia. Il cuoco di questi poliziotti si era tanto dispiaciuto per la mia malattia, fu tanto gentile con me. Ha detto al comandante di lasciarmi andare proprio perché ero malato (parlavano urdu ma un po’ lo capivo).

Siamo stati rilasciati. I miei amici sono ripartiti, io sono tornato a Quetta. Ho preso un autobus gigante, semi vuoto, pieno di grano. Ero così provato dalla malattia che mi sono letteralmente tuffato su quei sacchi e ho dormito tutto il tempo. Le pochissime persone a bordo mi raccontarono la loro esperienza in Iran e mi dissero ‘è brutto, non andare’. Ci sono qualcosa come 3 milioni di hazari lì.

 

 

Potete stare lì?

 

Diciamo di sì, non proprio ma gli iraniani sono molto razzisti nei nostri confronti, ci sono tante storie che non vengono raccontate. Su internet si trovano alcune di queste. Gli Hazari vengono presi dal governo iraniano e forzatamente, sotto minaccia, ricattati per combattere in Siria.

Prendono le persone più deboli dal punto di vista politico e sociale, oltre che economico.

 

 

Tu quando arrivi in Europa? Da solo?

 

Nel 2006, sì. Con un viaggio abbastanza tosto. Dopo essere tornato in Pakistan, mia nonna mi vuole mandare indietro a casa mia, era molto arrabbiata con me. Mio zio ha interceduto e così son rimasto. Sono andato un po’ a scuola, ho studiato l’inglese…

 

 

La tua famiglia è molto religiosa?

 

Lì son tutti religiosi, e ci sono vari credo. Per me ormai non ha interesse, ci ho messo una pietra sopra. Sin da piccolo non mi interessava la religione, sentire i mullah ed i religiosi che dicevano che al di là di quelle montagne c’era il male assoluto, mi ha spinto a voler conoscere proprio quel male assoluto e partire.

Questa è sempre stata la mia priorità, partire e distruggere un muro che mi avevano creato. Ero molto ribelle da piccolo, mi svegliavano e mi dicevano di pregare, io allora facevo finta. Anche alla moschea non volevo mai andare. Andavamo a prendere le patate dai contadini insieme ad altri amici e le arrostivamo al fuoco!

 

 

Quindi volevi partire già allora per venire in Europa?

 

No, volevo solo partire da quelle montagne. Poi una volta in Pakistan con una scusa – nonna, nonna vado a trovare altri cugini in una città vicina – ed un complice (un cugino, appunto) sono scappato anche da lì. Ho ancora il senso di colpa del fatto che mi hanno cercato ovunque. Quel senso di colpa mi ha fatto ammalare e sono dovuto poi di fatto tornare indietro. Infatti la seconda volta, quando sono partito, ho preferito parlare seriamente con mio padre (ero ad Herat) e dare tutte le mie motivazioni, dicendo tutta la verità. Lì sono partito nuovamente per l’Iran dove ho lavorato un anno e mezzo in una fabbrica di marmi. E poi, un giorno, quando sono arrivati i miei amici siamo ripartiti. Mi sono ammalato anche quella volta.

 

Ho avvisato mio zio quando ho intrapreso il viaggio per l’Europa, mio zio mi ha dato la parte dei soldi che non avevo. Viaggio in autobus clandestino e cammino tanto, tanto: Turchia, Grecia, Italia. Mi sono nascosto: non sotto il camion come fanno in molti, avevo trovato una tecnica molto più interessante ma non posso dirla altrimenti la brucio per gli altri.

 

Sono arrivato a Meolo, paesino di provincia. Era il 31 luglio del 2006, nel bel mezzo del caldo anzi dell’afa della pianura padana. Con i miei amici ci siamo separati dalla Turchia, dove il primo traghettatore ci ha portato, il resto del viaggio devi arrangiartelo da lì – e sono arrivato da solo.

 

 

Saresti venuto in Italia comunque o è stato un caso?

 

In Iran, alla fabbrica, mi prendevano in giro perché ero il più piccolo di statura oltre che di età. Oltre a lavorare col marmo, cucinavo per loro. E sin da allora dicevo che volevo andare in Italia. Loro mi dicevano sempre: che vai a fare lì, in Inghilterra devi andare! Veramente dicevano Londra, (Landan, Landan! ride e pronuncia forte). Per loro l’Inghilterra era soltanto Londra.

 

 

Erano gli anni ruggenti della Lega e tu eri in bocca al leone quando sei arrivato qui…Che effetto ti ha fatto al tuo arrivo?

 

Nulla, allora non parlavo italiano, parlavo solo inglese, e non capivo bene. Poi l’ho imparato (a leggere e scrivere) e allora ho capito di più.

 

Scrivo poesie, io, in Italiano. Non le ho mai pubblicate. Una l’ho trasformata in video arte. Forse quello è stato il primo lavoro personale che ho fatto.

 

Il primo film che ho visto è stato indiano. Quello che mi ha fatto impazzire di questo mondo è la forza dell’immagine, la potenza. Più di qualsiasi altro media, puoi utilizzarlo come cavolo ti pare! Ero piccolo quando guardai questo film. Mi ha cambiato la vita, da allora mi piaceva cantare come protagonista, cantavo canzoncine ai miei compagni. Prima dei talebani guardavamo i film. Poi basta, tutto è finito.

 

Quando sono arrivato in Italia sono arrivati anche degli altri ragazzi afghani, che furono invitati al festival di Venezia (da Michele Serra, del Premio Città di Venezia).

Hanno iniziato a collaborare con il Comune per un cortometraggio sui migranti che arrivano in Italia. Li conosco proprio alla proiezione del loro film al Centro Culturale Candiani. Parlo di Hamed che ha messo su qui in città l’Orient Experience (due take away etnici, uno a Cannaregio e l’altro a Dorsoduro, mentre l’ultimo nato è un ristorante nello stesso quartiere che si chiama Africa Experience ed è esclusivamente gestito da rifugiati politici).

 

Loro hanno chiesto asilo e l’hanno ottenuto, quindi sono rimasti come vedi, io mai chiesto l’asilo ne’ lo status di rifugiato. E’ stato un periodo molto bello, anche loro sono di etnia hazara e ci siamo conosciuti qui, pensa un po’! Io li ho conosciuti grazie ad un ragazzo curdo, appassionato di cinema, che ora è un documentarista: lui mi ha invitato ad andare alla proiezione al Candiani dove poi li conosco. Un mese dopo sono il protagonista del loro lavoro. Quindi sono si può dire che sono entrato nel mondo del cinema da attore, non da regista. Il film non è mai uscito, purtroppo.

 

Ho fatto tutte le scuole qui, in Italia. E ne ho cambiate tante. Un periodo ho vissuto anche al Don Orione di Mestre, dove ho avuto un’esperienza straordinaria con un prete, mai conosciuto un uomo così umano al di là della religione. Lui è forse la persona che mi ha più segnato. Il suo modo di essere è fantastico. Mi ha supportato, aiutato. A lui piaceva la mia energia e nello stesso tempo mi dava energia. A suo tempo aveva 40/45 anni, era il direttore della scuola. Ho studiato da loro la scuola tecnica. Ho persino incontrato il Patriarca dell’epoca, Scola. Il secondo anno ho frequentato un festival itinerante nel Sud Italia dove ho fatto diversi cortometraggi.

 

Un caro amico giudecchino (sono soprannominati così i Veneziani dell’Isola della Giudecca), Gianluca, mi ha incoraggiato, del pari, molto: ‘con quattro pezzi di legno si può fare una cadrega’ (sedia in dialetto veneto) guardando i miei scritti e incoraggiandomi a fare un video più che un’animazione (che era la mia prima idea) delle mie poesie.

 

 

Ti piace più girare?

 

Non mi lancio su qualsiasi cosa, cerco storie molto rare, particolari. Che hanno un senso filosofico, logico, culturale. Ho un’empatia che crea connessioni con diversi argomenti.

 

 

45 giorni di viaggio in Sud Italia: Basilicata, Calabria, Sicilia….durante quel tuo primo festival di cinema. Una volta al nord…

 

…Non avevo più voglia di studiare materie tecniche. Il professore ci è rimasto male e mi ha bocciato.

Allora mi sono iscritto, con i ragazzini, al liceo artistico per fare cinque anni in 2. Dopo aver provato, con tutti questi tredicenni, ho mollato il colpo.

 

Mi sono allora iscritto a Ragioneria, scuola serale, per ottenere un diploma. La mattina lavoravo come interprete e mediatore per il Ministero dell’Interno, la Commissione di Gorizia per i migranti. Ho lavorato tre anni per questa cooperativa. Di giorno lavoravo e la sera tornavo a studiare. Volevo tanto fare una scuola a Bolzano ma non ho avuto alcun sostegno economico.

Ho aspettato cinque anni e mi sono messo a studiare un sacco di corsi a Ca’ Foscari: antropologia, letteratura….Senza mai prendere la laurea, volevo solo arricchire la mia cultura.

 

Sono stato contattato poi dall’Archivio della Migrazione per una serie sui migranti, in cinque puntate, ognuna di un regista diverso.

 

Ora sto facendo un master di cinema a Torino e sto lavorando su un progetto in Afghanistan e su uno a Torino. Ho anche partecipato alla mostra del cinema di Venezia, come socio di una casa di produzione di documentari afghana. Abbiamo partecipato nell’area ‘industry’ per conoscere altri del market. E poi per affinare la parte di finanziamento, co-produzione, marketing.

 

 

Qual è la tua città ora? Pensi possa essere Venezia?

 

Ho scritto una poesia a riguardo, la cerco. Ero seduto nella mia camerina con la mia ex ragazza che è una bellissima persona, ero un pazzo in quel periodo…Ecco, forse l’ho trovata….(continua a cercare ma non la trova, mi manderà due poesie, Neve e Albero che abbiamo pubblicato e tradotto in inglese – Snow and Tree )

 

Mi sono affezionato alle poesie di Montale, Ungaretti, Pascoli. Mi sento familiare con l’ermetismo e di Ungaretti adoro la poesia I Fiumi, dove descrive i quattro fiumi dove ha vissuto, uno a Lucca (lui è cresciuto ad Alessandria D’Egitto), poi da giovane si è spostato dove si riconosceva, a Parigi. Nella prima grande guerra è sull’Isonzo. E’ bellissima la sensazione con cui descrive tutta la storia della sua vita attraverso i quattro fiumi. E come si sente, un sasso, quando l’acqua scorre sopra di lui e finalmente è in armonia con l’universo (mi legge, appassionato, la poesia di Ungaretti: una famiglia francese che era alle sue spalle si ferma incantata dalla sua energia e dalla sua lettura, ascoltando fino alla fine, ma lui non può vederli). Quella poesia mi assomiglia un po’, diciamo.

 

Oh my God! In questi casi bisognerebbe avere le cose sottomano, non trovo la mia!

 

Mi chiedevi della città che sento mia. L’unico posto forse è proprio Venezia, ho cercato tantissime volte di abbandonarla, ma alla fine sono tornato. Qui mi sento a casa, posso dirlo. Questa è casa.

 

 

Non è una casa matrigna, Venezia, non è cattiva per certi versi?

 

Ha le sue contraddizioni, ma io ho imparato ad addomesticarla, per una ragione un po’ particolare: è il primo luogo al mondo dove esiste una vera connessione tra l’Oriente e l’Occidente.

Io non dovrei dirlo qui pubblicamente, ma in una calle ho trovato un vecchio mattone ed è come se si fosse messo a parlare con me. A me interessava tanto questo mattone, l’ho coccolato e l’ho avvolto in un giornale. Lo tengo a casa, mi dà tantissimo anche se non mi dà da mangiare. E’ un mattone, fatto da un’altra persona che ha vissuto prima di me, che è immanente. Che resta, che è come un rapporto di amicizia, un fiore. Se non lo coccoli, però, non nutre la città stessa.

 

 

Cosa hai imparato dalla vita, anche se sei giovane. Ti faccio questa domanda perché ne hai vissute tante già…

 

L’umiltà. Ho dovuto, anzi ho voluto con molto piacere, imparare l’umiltà che è la più grande virtù dell’uomo.

 

 

E tra dieci anni?

 

E’ dura, penso che non sarò qui, ma questa sarà sempre la mia casa. Adesso sto creando qualcosa a Torino.

 

 

E adesso, contrariamente alla scaletta che di solito ripetiamo sempre, ti faccio le domande stupide che ci servono a definire tanto dello stile di vita che ti circonda. Cibo, bevanda preferita?

 

Ecco (indica il bicchiere che sta bevendo, siamo in un campo molto bello e poco battuto della città, vicino all’Anzolo Rafael), l’acqua. Quella sempre. Ho sofferto per l’acqua. Soffriamo noi tantissimo la sete. Tutta l’umanità.

Nel mondo dell’Occidente ho appreso dell’alcol. La prima volta che ho cominciato a bere è stato, buffo!, al pranzo di natale con i preti. Anche la grappa. Io sono andato subito a dormire perché dopo il vino ho assaggiato anche la grappa e sono crollato, hanno dovuto svegliarmi per la cena….

Poi, bevendo, ho detto uauhh! Mi è poi piaciuto subito. Non sono alcolizzato ma mi piace bere.

 

Il cibo: mangiavo e mangio tantissimo, sin da piccolo. Mia madre si spaventava sempre di questo, anche se ho un corpo asciutto.

Il cibo è una delle cose più importanti per tenere i legami con il proprio luogo di nascita. E questo mi piace di Orient Experience. Tessere reti sociali attraverso il cibo. Prima di fare Orient Experience, facevamo cene nelle nostre case. E così incontravamo gli altri. Siamo stati sempre bravi a cucinare, perché essendo da subito in giro per il mondo dovevamo badare a noi… Per me il cibo è amore puro. Poi ho le mani pesanti, faccio sempre per dieci quindi devo invitare altra gente. E cucinare mi rilassa tantissimo.

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