Antonio, poeta e diplomatico

La tua storia in dieci righe

 

Sono nato in Cile e sono andato via dal mio paese all’età di sedici anni.

Sono stato rifugiato nell’ambasciata italiana a Santiago, dove sono rimasto per tre mesi insieme a tanta altra gente. C’erano anche famiglie con bambini, che erano lì già da molti mesi.

Arrivato in Italia, dovevo proseguire per Mosca per studiare, ma una volta in Italia qualcuno mi disse: “Il Cile e l’Italia in questo momento sono molto vicini, perché il compromesso storico è una politica comune – da un lato c’era Moro e Berlinguer, dall’altra Allende – e gli occhi dell’Italia puntati sul Cile.” Mi convinsi, quindi a rimanere in Italia. Sono cresciuto qui e non sono andato più via.

Ho cercato di ricomporre questo specchio della mia identità, che era comunque fatto di Cile: ho militato infatti per un po’ di tempo con gli esiliati cileni, poi ho cominciato a scrivere poesie. Infatti e’ attraverso la poesia che riesco a auto-formulare una mia identita’.

A vent’anni mi credevo Rimbaud. Mi dicevo, in fondo se non ti credi adesso Rimbaud, quando mai potrai?

Con questo atteggiamento ho cominciato a conoscere quello che era il mio specchio rotto, per cui mi avvicinai a Roberto Sebastián Matta, il surrealista cileno che abitava a Tarquinia, allo spagnolo Rafael Alberti (noi eravamo molto segnati dalla poesia spagnola del dopoguerra civile), all’artista cubano Wilfredo Lam; tutti maestri dell’arte moderna.

Ebbi anche l’opportunità di conoscere il pittore Francisco Smythe, che mi raccontò com’era la vita in Cile durante la dittatura, la Escuela de Avanzada.

Ho cominciato a scrivere sull’arte, sulle mostre, sugli artisti, ma non dalla parte del critico d’arte, bensì come un compagno di strada.

Finivano gli anni Ottanta e cominciavano gli anni Novanta. La guerra del golfo scompagina questo humus. La crisi economica sentita anche nel mondo dell’arte crea un muro nelle relazioni fra le istituzioni pubbliche e quelle private nel promuovere la cultura e la galleria smette di essere la protagonista, facendosi da parte e modificando il proprio status nel sistema.

A Roma bisognava ricominciare tutto da capo e il mio atteggiamento era quello di sentirmi responsabile di quello che non accadeva, con la volontà di farlo accadere.

 

Ho capito che, durante tutto il periodo dell’oscurantismo della dittatura di Pinochet in Cile, l’arte era sopravissuta giocando un ruolo di vitale importanza, nonostante il clima repressivo. Lo specifico cileno, la memoria di un presente/passato di assenza, di esilio, è affiorato in termini di estrema concretezza, disseminando il discorso di cose che lo fanno più simile a una mappa sulla quale sono incisi i percorsi di una sofferta condizione collettiva che a un solitario cammino di una soggettività esasperata: ho sentito che avevo fame di collettività. E’ stato come riempire un vuoto ed è stato in quel momento che ho deciso di fare il curatore.

 

Ho organizzato in un supermercato Supermercarte, affermando che l’arte era come i pelati, come l’olio: un bene di prima necessità. Ne parlarono per un minuto tutti i tg nazionali, era il 1993. Da allora ho deciso di occuparmi di arte contemporanea in maniera più sistematica – scrivere, fare mostre – anche se il mio non è un vero e proprio approccio museale. Si tratta di mostre che corrispondono a una poetica, hanno a che vedere con una storia: faccio le mostre solo perché le ritengo fondamentali, non perché mi pagano o quant’altro. Non scrivo più poesia in una stanza con un tavolo e un lume da solo, ma creo poesia pubblica e collettiva.

 

Come ti dicevo prima, fare poesia per me è stato prima di tutto un atto di autoaffermazione. Un modo cioè, di affermare una presenza, un esserci per diritto proprio, indipendentemente da ogni licenza e convalida altrui. Ma è qui che interviene l’inevitabile atto di affermazione, il disegno della propria identità. Ed è allora che lo specifico cileno – la memoria di un presente/passato di assenza, di esilio – affiora in termini di estrema concretezza, disseminando il discorso di cose che lo rendono più simile a una mappa sulla quale sono incisi i percorsi di una sofferta condizione collettiva, che a un solitario cammino di soggettività esasperata: sentivo, avevo fame di collettività.

 

Da pochi mesi il Presidente del Cile Michelle Bachelet mi ha nominato Addetto Culturale del Cile in Italia. Sono rientrato a casa questa volta non dalla porta di servizio e ora ho un grande compito e una grossa responsabilità nei confronti del mio Paese d’origine.

Sono stato, inoltre, nominato commissario del Padiglione Cileno alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte, la Biennale di Venezia (Prima di essere commissario, Arévalo ha curato il Padiglione del Cile nel 2001, 2009, 2011, e prossimamente guiderà la realizzazione del progetto della curatrice e saggista Nelly Richard che è invitata ad esporre, da maggio a novembre 2015, le artiste Paz Errázuriz e Lotty Rosenfeld – rispettivamente nate nel 1944 e nel 1943 a Santiago del Cile).

 

 

La tua famiglia? Vi siete mai ricongiunti?

 

No, io dopo essere uscito dal Paese nel 1975, ho avuto il divieto assoluto di rientrare in Cile. Sono riuscito a tornare solo nel 1987, dopo che avevo pubblicato tre libri di poesie. Volevo fare causa al governo cileno, ma poi sono riuscito a trovare un compromesso. Sono rientrato per presentare un libro – sette poeti della mia generazione espatriati (Roberto Bolaño, Mauricio Eletorad, Felipe Tupper ed altri) – e ho trovato sette interlocutori, sette poeti che abitavano in Cile: ho trovato la congiunzione giusta con la mia generazione, passando per l’arte (ero già uscito dalla politica).

Mio padre non l’ho più visto perché è morto in clandestinità. È morto proprio l’anno del mio ritorno. L’ho cercato, ma non siamo riusciti a rivederci. Mia madre vive da sola in Cile.

 

 

Oltre a quelle italiane, cilene e spagnole, c’è qualche altra scena brillante, fervente di poesia contemporanea che oggi hai attraversato e che è importante conoscere?

 

In questo momento i luoghi più pulsanti sono quelli di conflitto, specialmente in Centro America: Guatemala, El Salvador. Ci sono infatti artisti straordinari, come Regina Josè Galindo, che non si occupano solo di poesia visiva ma anche di quella letteraria!

Attualmente la scena interessante è quella.

Noi stiamo riscoprendo quella che si chiama poetica della dissidenza (infatti al Padiglione del Cile alla prossima Biennale parleremo proprio di questo periodo oscurantista, che noi abbiamo vissuto tanto tempo fa).

Non è a Città del Messico che bisogna andare per trovare ottima poesia oggi, ma a Ciudad Juárez! A Ciudad de Guatemala!

 

 

Che cosa ti dà Roma adesso e cosa tu dai a lei?

 

Roma è una città in cui puoi vivere da straniero mantenendo l’internazionalità. Ho vissuto un periodo bellissimo in cui la gente ti fermava e ti domandava di dove eri, voleva sapere tutto di te. Oggi non è più così. Ho visto i primi eritrei e i primi filippini qui da noi, quando già a Parigi vedevo il metrò carico di stranieri. Ho visto arrivare l’immigrazione e ho visto il cambiamento.

La mia città è il paesaggio: Roma con il ponentino che la rende una città fantastica. Tutto il resto non funziona, soprattutto le infrastrutture. Purtroppo.

 

 

Un talento che hai e uno che ti manca?

 

Ho il dono della sintesi, ma mi manca saper suonare.

 

 

Cosa ti piace bere e mangiare?

 

Mi piace molto il vino bianco e freddo e le zuppe, soprattutto con i legumi.

 

 

Un libro con te in questo momento e la musica che ami?

 

Siccome sto vivendo a Bomarzo (nel nord del Lazio, in provincia di Viterbo) in questo momento, ti consiglio un libro che mi accompagna in realtà da sempre, in ogni momento: Bomarzo di Mujica Láinez – scrittore e saggista argentino – molto amico di Borges. Visitò il Parco dei Mostri che ti consiglio di vedere. Il parco era di un principe deforme e gobbo della famiglia degli Orsini, del ‘500, che viveva ai margini della società per via del suo aspetto fisico. Tuttavia è stato un filosofo e un grande poeta. La famiglia doveva farlo sposare per forza e ci riuscì. La donna prescelta, che inizialmente non lo amava per via del suo corpo imperfetto, finì con l’innamorarsi perdutamente di lui per la finezza del suo spirito (era un grande poeta).

 

Secondo me anche Lewis Carroll ha scritto Alice nel Paese delle Meraviglie dopo averlo visto! E tanti altri ne hanno tratto ispirazione! Come ad esempio José Donoso nel suo “L’osceno uccello della notte”, Salvador Dali nelle “Tentazioni di Sant’Antonio”. All’inizio del parco c’è la bocca grande di un mostro, intagliata nella pietra, dove appare un’incisione che recita “Qui ogni pensiero vola”. La villa e’ vero poema all’amore.

 

Adoro tutta la musica brasiliana, ad esempio Vinicio de Moraes.

 

 

Cosa fai per vivere lentamente?

 

Non guido e non voglio imparare, così rallento molto il mio ritmo. Ad esempio a Venezia mi sento a casa, non so se arriverò mai ad un appuntamento e se c’è acqua alta oppure no … Mi piacciono molto anche le Eolie, come ad esempio Ginostra. Anche lì non sai mai se potrai uscire il giorno dopo o se la natura ha deciso di no; se potrai partire o meno. Mi piace molto Sipiciano (VT), dove attualmente abito.

 

 

Credi ancora nella poesia come genere narrativo, intendo da scaffale per le librerie, o pensi sia un genere più adatto ai social network, a luoghi di condivisione più istintuali e veloci?

 

Io penso che la carta stampata e i libri facciano parte della nostra formazione, eliminarli creerebbe un vuoto educativo.

Nulla riempie una persona come l’odore delle pagine e la forma vissuta che assume un libro usato. Mi piacciono molto le librerie che vendono solo usato, hanno una storia.

La poesia è un genere che ancora che stimola le altre arti e che la gente compra. E’ stala lei ad insegnarci a parlare nell’America Latina. Siamo identita`attraverso i nostri scrittori.

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La poesia fa parte della formazione. Scriverla oggi? Se pensi che puoi farci altro oltre a scrivere un libro forse diventa più contemporanea. Altro nel senso di irrompere sui social o su un manifesto che dice “io sono un artista” o che si interroga pubblicamente su cosa è la cultura…Quindi la poesia vista come stimolo, come ha fatto l’artista cileno, Alfredo Jaar, a Milano: ha creato una serie di manifesti con messaggi in giro per la città in occasione di due sue grandi mostre. Questa strategia è sicuramente poesia.

Anche un graffito con una frase può ancora sconvolgerti la giornata. Fin quando la parola sarà fondamentale, la poesia può continuare ad esistere.

 

 

Cosa hai imparato fin qui dalla vita?

 

Che esiste l’altro. Non posso far nulla senza l’altro. Se non vai avanti con gli altri, non si arriva da nessuna parte.

 

 

Qualche giovane poeta sudamericano da tenere d’occhio?

 

Non leggo più l’attualità latinoamericana, le ultime cose che ho letto sono di Regina Jose’ Galindo, meno conosciuta come poetessa e più conosciuta come artista visiva. Lei è una delle persone più belle che abbia conosciuto. In una delle sue performance lanciava poesie al vento, appesa a una gru.

Ci sono poeti che hanno rivoluzionato il linguaggio in modo coraggioso come ad esempio Giuliano Mesa (1957-2011). E’ come scoprire un Sanguineti negli anni 60!

 

 

Siamo alla ricerca anche di poeti contemporanei, tu chi suggeriresti?

 

Ne ho conosciuto uno da poco, ma sono di parte. Mi ha contattato perché voleva pubblicare una raccolta di poesie con alcuni miei testi, che non avevo nessuna intenzione di pubblicare.

Poi ad un certo punto mi è arrivata la pubblicazione: Le Terre di Nessuno. Quando ho visto la selezione, mi è piaciuta tantissimo. Ora cureranno un mio libro. L’editore è un ragazzo molto giovane Oscar Saavedra Villarroel che ha letto tempo fa una miscellanea in cui c’erano anche miei pezzi e ha deciso di contattarmi. E’ uno scrittore ed un poeta. Fa anche laboratori di poesie con le scuole. Ha un atteggiamento bello e utile. Incoraggia i bambini, regala loro una possibilità in più per sviluppare la loro personalità.

Tu hai mai letto Claudio Naranjo? Molto simile a Jodorowsky, Ignazio Matte Blanco e a Matta, i grandi personaggi del Cile. Sono di qualche maniera i pilastri fondanti della nostra contemporaneità.

Una risposta a “Antonio, poeta e diplomatico”

  1. antonio sagredo

    Gentile Antonio Sagredo,

    mentre il Suo è il Suo vero nome, il mio è soltanto uno pseudonimo,e come Lei mi dicono che sono un grande poeta:nbontà loro.

    Bene, se voleste rispondere conoscete già il mio email.
    Grazie

    Antonio Sagredo

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