Bustheater, San Giovanni a Teduccio

Un giorno pigro, annebbiato e desolato nel profondo nord leghista dove è difficile trovare qualsiasi cosa che assomigli a buon teatro, sfoglio la mia dieta quotidiana di notizie e in un giornale napoletano, mia città natale, scopro la storia di Bustheater

Mi cattura, mi strazia e decido di sapere tutto il non detto. 

Tre giovani amici che non si sono mai persi di vista nonostante vite lontane impiantano un bus di dodici metri trasformato in teatro (ed occasionalmente in cinema) in una fabbrica abbandonata di San Giovanni a Teduccio, profondo Est di Napoli una volta fitto di avveniristiche fabbriche internazionali, poco distante la prima ferrovia italiana.

Con il sacco dei Savoia quelle aziende che macinavano scoperte e ricchezza furono ‘trasferite’ al Nord del paese dando così inizio alla mai estinta questione meridionale proprio, tragica ricorrenza!, quando l’Italia fu unificata.

Molti storici parleranno – e dopo di loro scienziati sociali, senza che nessuno politico la sanasse – di un’annessione di fatto di un paese composito da parte di un regno.

Di sicuro dalla fine del 1800 inizia il divario incommensurabile dell’indice di ricchezza, di aspettativa di vita, adesso anche di nascite… Quello della felicità e quello dell’istruzione non sono riusciti a divaricarlo…

Raggiungo Ilaria con una video intervista che non vedrete ma che voglio immaginiate dalle parole che ho voluto trascrivere così come sono venute.


Un Bustheater, tre menti: la vostra vita in poche righe proprio da dove inizia

Solo io, Ilaria Cecere, 34 anni, converso con te mentre smontiamo le luci per un setting che ci vedrà ospiti in una rassegna speciale in un teatro di Aversa … Ma parlo portando idealmente per mano gli altri due amici e menti di Bustheater, compagni di avventura e comproprietari del Bus: Roberta Ferraro e Alessio Ferrara.

Roberta è una sociologa, viene da tutto un altro mondo e lavora in cooperative sociali dove si occupa di migranti di seconda generazione. Io e lei siamo amiche da quando avevamo 15 anni, forse anche prima! Ci siamo conosciute perché eravamo parte di un gruppo di boy-scout laici – quelli verdi per intenderci non quelli azzurri!

Alessio e io siamo legati dai tempi del liceo dove ci siamo conosciuti tramite amici fraterni in comune e abbiamo un percorso di formazione simile essendo entrambi diplomati a Napoli alla scuola di mimo corporeo di Antonio Monetta (tecnica Decroux, ndr). 

Ci siamo anche sperimentati imparando l’arte dei trampoli alla scuola di Peppe Zinno: hanno ancora una realtà teatrale longeva e resistente che ha portato nella periferia est di Napoli in venti anni tanta arte in un piccolo spazio a San Giovanni a Teduccio. 

Lo abbiamo conosciuto, siamo andati da lui per farci istruire e farci costruire trampoli, siamo quindi diventati trampolieri e saltimbanchi.

Io ho iniziato a fare teatro a 12 anni, Alessio quando era un po’ più grande. E poi è andato a Berlino a specializzarsi in un percorso più circense.

Io sono rimasta qui. Tenevo duro il convincimento di restare a San Giovanni a Teduccio, vicino a Napoli e vicino al mare. 

Ho provato, lavorando nel teatro contemporaneo di ricerca, a restare qui come attrice ed autrice, debuttando con uno spettacolo più tradizionale a 24 anni come Malamore, parla di donne di camorra. Alessio mi ha sempre seguita attraverso i premi più importanti (Riccione, Sant’Arcangelo, Scenario…) e con la compagnia con cui stavo prima, Teatro di Legno.

Con il tempo mi sono avvicinata di più alla nostra prima passione, il teatro di strada ed il circo. 

Ho collaborato con dei circhi contemporanei e delle realtà molto belle come CiRcO PaNiKo (collettivo nomade composto da più di 25 artisti, munito di 1 tendone da circo giallo a spicchi blu, attivo dal 2009 in tutta Europa come compagnia di circo contemporaneo). 

Ho inseguito il primo teatro viaggiante che ho incontrato nella mia vita e che mi ha davvero illuminata, l’ex Capra Grassa, l’attuale compagnia di Brunette Bros. Hanno un piccolo camion di trasporto cavalli degli anni 70 che acchittavano per dei vaudeville improbabili e surreali, anche loro avevano una provenienza teatrale e circense ed uno dei proprietari è un bravissimo scenografo oltre che attore. 

E’ importante abbandonare l’idea settoriale dei ruoli per un progetto del genere – l’attrice, il regista…Per fare il circo devi sapere fare tutto. Non che noi lo siamo, ma aspiriamo ad essere dei circensi che sappiano montare un tendone, fare le luci, scrivere uno spettacolo e andare in scena. 


Quanta burocrazia e soprattutto quante delusioni o sorprese vi ha riservato la vostra attività sino ad oggi, dalla fondazione alla ricerca di bandi e finanziamenti?

Abbiamo avuto tutte le delusioni possibili da questo punto di vista. 

Se ti dico quello che abbiamo passato per cercare di farci categorizzare secondo la burocrazia vigente…Eventi annullati e ogni cosa che tu puoi facilmente immaginare. 

Prendere l’articolo 69 al Sud Italia è impossibile, dopo tre anni che giravamo abbiamo scoperto che è impossibile, veramente impossibile ottenerlo.

Solo il primo anno siamo riusciti a stare in piazza a Napoli, la meravigliosa piazza del Gesù Nuovo. Sarà stata fortuna, sarà stato che Luigi de Magistris (l’attuale sindaco di Napoli, venuto da una formazione meteora nel partitismo italiano ed ex magistrato) era ancora nel pieno delle sue forze politiche, comunque siamo entrati trionfalmente in piazza e per cinque giorni abbiamo fatto un festival bellissimo. Eravamo spaventati come poche altre volte, era la nostra prima uscita, era un Natale, avevamo appena comprato il Bus ad ottobre (era il 2015). 


Raccontami dove l’avete trovato….

Anche questa è una bellissima storia da raccontare (e da leggere, speriamo!).

Io l’anno prima avevo preso un camper anche per seguire in maniera più autonoma le mie precedenti collaborazioni di teatro circense anche perché senza un camper è impossibile. 

L’anno dopo decido che era importante anche a Napoli tentare di mettere insieme forze del genere. 

Io e Roberta avevamo già sperimentato una collaborazione a quattro mani creando un reading su una donna vittima di tratta. Decidiamo di fare un brainstorming per partecipare a un bando Invitalia (una società pubblica, l’Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo sviluppo d’impresa) ognuno porta la sua idea e scopriamo di …aver portato la stessa idea! Prendere un mezzo di trasporto e trasformarlo per fare teatro e altre attività.

A quel punto, con gli occhi luccicanti, le mostro un video di una compagnia tempo fa sovvenzionata dall’ETI, il Teatro dei Sassi di Materia. Dopo trent’anni di fantastica carriera, negli ultimi anni comprarono un bus con un bando regionale vinto per lo scopo e destinato a sole donne. Poco dopo chiusero. 

Entrambe con i lucciconi davanti a youtube ci innamoriamo da subito del Bus. Ma sai chi mi ha mandato quel video? Il mio fidanzato di allora – ora viviamo insieme ma all’epoca non eravamo una coppia stabile: era figlio di una regista che collaborava all’epoca con quel teatro…


Quasi un destino…

E che ti devo dire, io mi sono sentita investita da questa cosa…Il Bando Invitalia continua per noi fino alla fase finale quando, in romanaccio spinto e a muso duro, ci dicono  ‘come pensate di farli tutti sti’ soldi?’ e ovviamente ci negano il finanziamento. 

Avevamo presentato un progetto abbastanza incredibile con giardino pensile e motore ad idrogeno…Ci dicono proprio di no!

Ce ne torniamo a casa con un magone…

Ne parlo frattanto con Alessio che mi aveva accompagnata a vederlo a Montalbano Ionico, nei pressi di Matera, parcheggiato sotto una tettoia. Lui non ha mai creduto ai bandi, si fida più di fondi privati. Stava lavorando alla scuola dove si era diplomato, la Die Etage di Berlino, come insegnante di circo-teatro. E mi dice ‘perché non ce lo compriamo noi?’ 

Il bus costava 36.000 euro e i fondi li abbiamo trovati dall’ammortizzatore sociale d’Italia, il miglior bando per cose del genere (dato che per un’app o una tecnologia trovi i fondi a occhi chiusi): i genitori!

Il crowdfunding ci ha portato altri 2000 euro. Abbiano combattuto contro il tempo, da una parte c’era Equitalia (la società di recupero coatto dei debiti con lo Stato) che stava prendendosi il bene dalla compagnia, dall’altra un tedesco che voleva comprarlo.

In giro di tre giorni lo abbiamo comprato. E lo abbiamo portato ad Agerola, dove il Sindaco ci ha ospitati. Lì avevo fatto uno spettacolo in un festival, Sul Sentiero degli Dei e avevamo un ottimo rapporto (sono agerolese di madre, non la frequento tanto ma la amo). Lo abbiamo messo in un Centro Polifunzionale non utilizzato e abbiamo iniziato una lunga residenza artistica. Ricordo che mi disse qualcosa di molto bello: ’fai come se fossi a casa tua’. Ci ha ospitato quasi due anni, Luca Mascolo, un uomo (al di là del fatto che fosse sindaco) che ci ha davvero aiutati. 

Abbiamo trovato altre persone che ci hanno aiutato lungo la strada, lì ad Agerola. Un proprietario di bus ci ha regalato le ruote nuove…


Avete imparato a guidare un bus?

No, abbiamo imparato milioni di cose ma questa non era la più importante.

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare delle persone belle come il nostro attuale autista Giacomo che ci ama e ci segue. Per guidare un mezzo del genere con tre assi ti occorre un grande esperto. Devi imparare ad ascoltare i rumori e sapere cosa significa, come imparare a cambiare il filtro del gasolio quando si ferma in mezzo alla strada (e siamo rimasti anche senza benzina!), quando si brucia la frizione in mezzo alla neve…Devi pensare a tante cose per fare gli spettacoli, ci vuole quindi una persona lucida e capace alla guida di un mezzo mastodontico…


Mentori o maestri visti altrove che, come meteore hanno attraversato i vostri cieli e convintamente ‘contaminati’?

Io ho dei maestri nel cuore, ma c’è qualcosa nel teatro contemporaneo che mi ha convinta a dire no ed imbarcarmi nel Bustheater. C’è qualcosa che non va nei suoi metodi di diffusione, nel come approccia l’audience, qualcosa nel circuito dei teatri stabili e nei teatri di ricerca che si intoppa, che è lontana dalla gente. 

L’esperienza di teatro viaggiante che mi ha più profondamente illuminata è il cileno Teatro Mastodonte. Ciò che mi ha spinta a passare dall’altra parte della produzione, distribuzione e collocazione nel teatro oltre l’Ex Capra Grassa e CiRcO PaNiKo, sono stati anche l’Aviera e Camillo. 

Vedevo una possibilità di sussistenza che il teatro classico non ha. 

Gli attori sono lontani dalla possibilità di auto-diffusione reale: al di là se mi prende uno, se mi prende l’altro, se riesco a vincere il premio importante che se tutto mi va bene mi posiziona in due teatri.. Non è solo la circuitazione, è anche il pubblico del teatro tradizionale ad avermi allontanata. O aspiranti teatranti, o addetti ai lavori o operatori. Mi mancava la gente, le persone. 


Molto autoreferenziale il teatro contemporaneo, mi trovi d’accordo

Non volevo fare teatro per stare solo io….(lo dice in napoletano, ndr) o con chi fa già teatro. Al circo vengono le famiglie intere. L’altro giorno una famiglia si è trasferita con il suo camper e sono venuti a fare le vacanze dove eravamo montati noi.

Una famiglia composta da un padre livornese doc, da una madre di origini brasiliane e da tanto tempo in Toscana, dalla loro figlia. Dopo la decima replica a cui assisteva, l’abbiamo vestita e le abbiamo fatto fare un pezzo in scena con la trapezista, se l’era meritato!


Spesso usate il cibo (e non solo i popcorn quando il vostro Bus si trasforma in cinema) o comunque il gusto, compreso un bar, per rendere la vostra proposta a tutto tondo utile per la socialità sana. Quanto vi ha influenzati il posto dove lavorate (e dove siete nati) a assumere questa configurazione?

Questa è una prassi di tutti i teatri viaggianti. Tra i primi teatri viaggianti d’Italia veri e propri, il Teatro di Girovago e Rondella, una family theatre che si occupa prevalentemente di teatro di figura. Hanno due mezzi più piccoli molto diversi dal nostro ma anche loro avevano un punto ristoro. La Capra Grassa faceva dei dolci (in roulotte) di una bontà incredibile.

Si passano tante ore al teatro di questo tipo, che è la vita stessa. Il cibo fa parte della vita. Anche bere qualcosa insieme prima e dopo è importante anche perché ai nostri ‘teatri’ gli spettatori vogliono restare anche quando la piece è finita. 

Il Casabar, il nostro bar annesso al teatro e ubicato dentro una roulotte, è nato nell’ultimo anno. 

Riuscire a dare qualcosa durante lo spettacolo è sempre stato importante e di solito offrivamo un’infusione o, da ultimo, del cioccolato. Ma prima del Casabar mancava un momento di condivisione – quando il pubblico vuole chiedere una spiegazione, farsi una foto all’interno delle scene….


Libri e musica sul tuo desk ora 

Ti dico quelli più legati alla storia del Bustheater, mi risulta più facile.

Libri: Moby Dick di Melville e Linea d’Ombra di Joseph Conrad.

Quando ho preso il bus, mi hanno accompagnata per il primo viaggio di trenta giorni e al Napoli Teatro Festival Italia.

Le canzoni: It’s a Long Way di Caetano Veloso dall’album Transa del 1972 (la canta alla nostra videochat) e There Is a Light That Never Goes Out degli Smiths.


Dove vi vedete tra 10 anni (e perché avete scelto l’inglese americano – theater e non theatre – per il vostro titolo)?

Non ti voglio rispondere con una battuta! (ride)

Quando avevo 20 anni recitavo un personaggio che si chiamava Wendy, con Alessio facevamo questo piccolo spettacolo per il Teatro Stabile per l’Innovazione Ragazzi Le Nuvole. Era per bambini dai 3 ai 6 anni, era sul circo americano…

Quando è arrivato Mamozione che era della Compagnia delle Gru, loro l’avevano chiamato Grubus Theatre. 

Noi ci siamo guardati tanto il nostro bus e abbiamo capito che il nome era già lì, semplice: Bustheater…Era talmente chiaro, semplice, sintetico e perfetto che ci è sembrata una velleità inutile cercare un altro nome.

Questa domanda è tosta perché dobbiamo stare attenti a non chiudere l’anno prossimo! 

Dopo varie peregrinazioni siamo approdati in un’ex area industriale abbandonata a San Giovanni a Teduccio perché non potevamo essere più ospiti (dopo Agerola ci ha ospitato il Comune di San Potito) spostandoci di continuo e non potendo impiantare una relazione univoca con un posto. Avevamo inoltre necessità di un posto al coperto per far durare il bus (e anche noi)! 

San Giovanni ci raccoglie e ci raduna, è il luogo della nostra giovinezza, è vicino al mare.

Perché il Bus continui abbiamo bisogno di lavorare ancora di più ma anche di un mecenate o di un bando che accolga la nostra specialità….Anche il nostro teatro è teatro, anche se all’interno di un bus!


Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Che la sfida è rimanere insieme nelle difficoltà e nel fare. Trovare la sinergia giusta, non perdere la fede. E’ importante mettersi insieme a chi ha una visione comune, cercare di camminare insieme può cambiare il mondo attorno. 

Ad esempio noi tre abbiamo aggregato una compagnia di dieci persone, queste persone sono diventate altre ancora dopo l’arrivo al capannone. Solo con la forza del lavoro di squadra, che vuole un luogo diverso a San Giovanni, abbiamo già cambiato in qualche modo l’intorno. L’aspetto di questa urbanità.

C’è un fabbro che lavora a fianco a noi: prima era tristissimo ed era solo, ora è felice. I ragazzi del quartiere vengono ora tutti i sabati da noi. 

Questo è un insegnamento che ho appreso sacrificando tutta la mia vita. 

Ho anche imparato che senza i soldi anche le migliori intenzioni muoiono.

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