David Gryn, Londra

  La tua storia – l’infanzia, la famiglia, sin da dove sei nato   Bene, sono nato a New York negli anni ’60 e subito dopo la mia famiglia si trasferì a Londra dove ho sempre vissuto, in centro città – in qualche maniera anche il centro della mia vita. Mio padre era il rabbino senior della più grande sinagoga riformata della Gran Bretagna, la West London Synagogue. Mia madre era la sua sostenitrice numero uno e la madre di quattro figli. Io andavo a concerti, in giro in bici, e avevo fidanzate. Era una vita assai semplice.   Immagino, nel profondo della mia mente, di aver sempre provato la sensazione di non dover battagliare abbastanza come toccò a mio padre. Lui era stato un sopravvissuto ad Auschwitz. Quando ero adolescente ero roso da una certa dose di conflitto, avendo questa vita facile nel centro di Londra mentre lui alla mia età lottava per restare vivo quando tutta la sua famiglia moriva. Intorno a quegli anni, iniziai a fare dei lavori d’arte che erano intimamente connessi con la sua esperienza e quel che di essa comprendevo.   Mio padre era una figura molto pubblica, non era tanto a casa perché aveva sempre tanto da fare. Ho anche tre sorelle più grandi di me e mio padre era davvero femminista, considerava sempre uomini e donne uguali. In qualche modo non avevo abbastanza attenzioni, che va bene, ed ho sempre cercato un modo di uscirne e uno di essi era grazie a mio nonno, che era solito portarmi allo stadio, per tifare Arsenal (che ancora seguo molto spesso).   Come artista, i miei lavori erano spesso relativi al mio pensiero rispetto a mio padre, e a come posizionarmi nei suoi confronti e con l’esperienza dell’Olocausto; ho fatto un sacco di lavori su questo, su Auschwitz e sull’umano nel bel mezzo dell’atrocità, basati sul suo ruolo come rabbino. Dopo un certo tempo speso a fare arte e a studiarla (frequentavo la Saint Martins, in Central London), il mio lavoro si è evoluto nei successivi dieci anni da icone molto figurative, che giocavano con l’idea della bellezza, della religione e della figura del musicista, verso l’astrazione – iniziando con dipinti neri, vuoti e cupi che ruotavano attorno alle camera a gas. In effetti, tutti quei lavori erano attorno all’idea di quel mondo che mi ero fatto.   Ad un tratto, i dipinti neri divennero bianchi. Nello stesso periodo incontrai quella che è diventata mia moglie, l’artista Jane Bustin, anche lei una pittrice: fu una vera combinazione che io fossi più interessato a vedere lei fare arte che non a farla io stesso (avevamo entrambi lo studio a East London a quei tempi). E lei era molto più interessata a fare opere d’arte che a vedere me! Quindi dovevo essere io la persona che avrebbe trovato un’altra strada per fare sì che la storia tra noi funzionasse, e per avere uno stipendio più regolare, proprio per considerare l’idea di una famiglia. Essere soli a creare in uno studio d’artista è duro solitario; è molto difficile sapere come andrai a creare, come lo andrai a mostrare, chi guarderà, chi comprerà il lavoro…in una parola sapere come ti sosterrai!!! Tutte queste domande erano sempre in cima ai miei pensieri, sono state queste domande a farmi capire cosa diventare.   Inoltre, sono sempre stato più un essere sociale, molto interessato al pubblico e a coinvolgere persone e vedere lavori d’arte. Devo supporre quei dieci anni di attività artistica furono chiusi dal ciclo dei quadri bianchi, quando non ero più sicuro di cosa fare con loro.   Non mi sostenevano abbastanza. Come fare ad avere una famiglia? Come andare avanti nel mio futuro? Immagino arrivai al punto che volevo farmi una famiglia e che spesso, in altri tempi, era la donna che si sentiva costretta (o lo era) a non lavorare per averla…Io pensai che invece era il mio compito e ho continuamente incoraggiato Jane a non smettere di fare l’artista.   Tornando alla mia vita, trovai un lavoro in una galleria di Cork Street, a quell tempo era la strada principale delle migliori gallerie cittadine. Non c’era ancora a quei tempi la grande scena dell’East End.   Subito dopo, iniziai a lavorare in una nuova start up digitale nella distribuzione delle informazioni economiche e nella produzione di contenuti. Velocemente acquisii un ruolo manageriale e tutto si muoveva veloce in quegli anni: da correttore di bozze a direttore dei contenuti europei.   Era una sorta di corsa all’oro, dal computer con i floppy disk si passava al contenuto digitale su internet e iniziavano a materializzarsi le email..C’era una proliferazione di investitori ed emergeva una nuova economia relativa alla creazione di nuovi affari: come artista guadagnavo un salario decisamente molto decente per iniziare a formare una famiglia. E dopo che quel lavoro finì, ne trovai un altro come direttore marketing dei contenuti per una società online che lavorava con club del calcio, televisioni e musicisti. E’ stato un lavoro stano, ancora una volta un anno passato a lavorare per una società per cui non avevo alcuna formazione specifica. E facevo queste cose ad un livello abbastanza alto, guadagnando assai bene se rapportato ad un artista…   Le società son bestie davvero difficili, piene di burocrazia e di giochi di potere politico: le persone si calpestano in testa cercando di guadagnare sempre di più, cercando con ogni mezzo di fare bella figura con i capi…di solito questi ultimi hanno sempre una visione più saggia del business, ma i loro sottoposti cercano sempre di apparire più importanti di quello che sono… Non si tratta necessariamente di lavorare per il puro gusto del lavoro – e non sono critico nei confronti delle persone, ma del fatto che li si trattava piuttosto di come attrarre più soldi dagli investitori, si trattava solo di creare più ricchezza. Anche oggi, vedo questo trend comune.   Quel lavoro finì grazie al suggerimento combinato di mia moglie, del mio figlio più giovane e della mia stessa testa circa il tipo di professione che faceva per me. Lei spesso mi diceva che non ero fatto per queste cose, dato che ero troppo sensibile e avevo bisogno di qualcosa per cui fossi veramente appassionato. In tutto quel periodo della mia vita, comunque, lavorai costantemente per progetti d’arte non profit (nel senso che regalavo gratis il mio tempo), cercando di consigliare come mettersi sul mercato o come incrementare il pubblico o i benefattori. Andavo anche sempre a visitare mostre, incontravo persone del settore. Quindi misi sù Artprojx che si occupava di creare nuovi filantropi, nuovi collezionisti, nuovi individui magari in grado di usare le proprie ricchezze per sostenere l’arte che ne aveva bisogno. Questi filantropi sostenevano il settore sia con acquisti che con il supporto ai luoghi d’arte, diventando benefattori di gallerie. Allora sembrava inusuale, ma io ero sempre stato interessato a come le persone danarose pensassero di avere un ruolo nel mondo dell’arte, anche se non erano artisti. Io stavo creando un altro modello, non necessariamente il migliore ma uno nuovo, che voleva portare gente, diciamo, alla Tate, all’ICA, al Camden Art Centre e dire: ecco, c’è un nuovo pubblico, fate quel che volete perché vi supportino. Questo era prima di Frieze, circa 15-16 anni fa.   Quando la società si chiuse, e io ho iniziato a fare quello che faccio ora, mi imbattei in un amico, il proprietario del Princes Charles Cinema a Londra (è nel West End ed è il miglior cinema indipendente, con un approccio radicalmente differente dagli altri). Volevano sviluppare il loro pubblico e io iniziai a mostrare immagini in movimento firmate da artisti nel contesto del cinema. Ci furono parecchi eventi di successo del genere – e tanta attenzione dalla stampa, dal pubblico e quindi dalle gallerie, dalle istituzioni: gli artisti vennero da me e mi chiesero di aiutarli a mostrare il loro lavoro. Da allora, ho sempre lavorato per migliorare il posizionamento delle opere di moving image, spesso nel contesto dei cinema ma anche in gallerie, musei, istituzioni, fiere – facendo davvero dei gran passi avanti per essere sicuri che questa fosse considerata ciò che è: una vera e propria forma d’arte.     Abbastanza spesso le gallerie trattano le opere di immagini in movimento con meno importanza di altre forme, e spesso regalano queste opera ai collezionisti che comprano altri lavori. E’ abbastanza difficile sviluppare un qualche tipo di miglioramento in questo campo…   Io sono principalmente interessato a sviluppare il pubblico – e non solo il pubblico dei collezionisti. Il pubblico è fondamentale per un artista (ricordi, io ho iniziato facendo l’artista) e poi dopo c’è il valore aggiunto della produzione del pezzo. Un buon artista è probabilmente più interessato a fare arte che a fare profitti.   Il bisogno ed il desiderio di fare soldi per vivere spesso è opposto al bisogno ed al desiderio di fare arte, gli artisti sono confusi. Quel che sto cercando di fare, è rendere un evento il migliore possibile, poi i risultati sono lì per la galleria che deve massimizzarne il potenziale vero. Non c’è certo la fila al botteghino per questo tipo d’arte – come c’è per cose tipo opera, balletto, teatro musicale, musica pop. Il mondo dell’arte è ancora e sempre una piccola nicchia soprattutto quando si arriva al momento di guardare un lavoro. Ora tutti vanno alle fiere d’arte dove in pochi giorni 50.000/60.000 persone si trovano in uno stesso edificio, guardandosi l’un l’altro. Sono lì per essere visti, invece di essere lì per guardare le opere. E’ veramente un momento di confusione per il mondo dell’arte, così come per altri mondi è tutto incredibilmente sociale.     Perché Daata?   Mi piace la parola Daata e suona come una naturale fusione delle parole Arte e Dato. Quando l’ho scelto eravamo alla fine di un lungo periodo di decisione, ne avevamo oltre 100 da considerare e ne abbiamo scelto uno giusto per iniziare la società. E’ come lo usi che è importante e se facciamo bene, il nome sarà sinonimo di grandezza. Suona anche un po’ finlandese e ci sono connessioni finlandesi nella nostra compagnia, poi mi sono sempre piaciute due a una accanto all’altra.     Chiunque può collezionare i lavori su Daata, è anche una community (puoi scambiare opere con altri collezionisti)…Ma come lavora esattamente?   Non proprio, i collezionisti spesso comprano lavori d’arte per fare un regalo a qualcuno più che per scambiarli con altri collezionisti su Daata (in ogni caso, non prendiamo commissioni per gli scambi). Come funzioniamo? Prima di tutto commissioniamo (e paghiamo) gli artisti per creare delle opere per la piattaforma (ad oggi, circa 60 sono gli artisti ospitati). Spesso su internet senti storie del tipo ‘mi dai il tuo lavoro che lo metto su un sito…’. Io non lavoro con fornitori di contenuti ma con artisti. Noi pensiamo che debbano essere i più rispettati, ci rivolgiamo a quelli di loro che già apprezziamo altrimenti non lo faremmo. Il nostro marketplace è ancora in evoluzione. Ci piace quando i media si interessano a noi perché potenzialmente ci aprono una fetta di audience più ampia ma l’arte non è intrattenimento, e non è qualcosa che può andare facilmente su Amazon. La rarefazione e l’unicità di questo mercato sono veramente importanti. Un prezzo base di $100 dollari è tale perché chiunque può comprare (questo non significa che tutti possono comprare). Vogliamo trattare l’arte meglio di 1$. A volte compro musica online per 0.99 cent ma noi sviluppiamo il nostro modello di business e la nostra politica di prezzo proprio per pagare gli artisti.   C’è un modello di business nell’industria della musica che prevede migliaia o milioni di acquisti. Non possiamo anticipare migliaia di acquisti quindi dobbiamo avere un prezzo che rifletta il mondo dell’arte: spero cambi in qualche maniera ma non necessariamente del tutto.   I lavori che vendiamo non sono da mettere su una mensola e non necessariamente da appendere al muro. Si possono avere sempre con noi, sul nostro monitor, sull’Ipad, sul telefono e mostrarli quando e dove ci va. Offriamo anche collezioni alle istituzioni, abbiamo avuto negoziazioni e anche proiezioni in molte di esse, specialmente in America perché lì il mercato è più maturo e lo è anche il pubblico, in termini di apprezzamento di arte in video ed opere digitali. 108 lavori della nostra Season One sono stati regalati all’Hammer Museum. I mondi della tecnologia e del digitale non sono ‘emergenti’ – sono già ‘emersi’ da un pezzo ma per i musei d’arte è ancora un mondo nuovo.   Molte istituzioni non sono ancora a proprio agio con file digitali, non sanno cosa farci, diventano nervosi…Cerchiamo di render loro tutto semplice e diretto.   Abbiamo sia artisti freschi di laurea che altri molto conosciuti. Collezionisti molto preparati comprano le nostre edizioni dalla piattaforma, come ad esempio la Julia Stoschek Collection, Germania; il KIASMA, Finlandia; la Zabludowicz Collection (Gran Bretagna) ed altri come Robert e Renee Drake, Paesi Bassi. Anche gallerie, come Elizabeth Dee, New York, e Marc Foxx, Los Angeles. In questo modo, le opere hanno anche una vita fuori dalla piattaforma.   Lo scopo per noi, sin dall’inizio, è sempre stato rendere tutto facile con il download – e in fare questo abbiamo amministrato tutti gli ‘incubi’ legali: dai contratti con gli artisti, alla distribuzione (la distribuzione online è differente e molto più complicata di quella offline, quella dei negozi fisici)   Daata Editions produce, promuove (e vende) opere d’arte pensate per il web – e anche poesia con la prossima edizione (la Season Two) che comprende oltre 40 nuovi lavori. Come ti è venuta l’idea e che tipo di poesia un collezionista appassionato può comprare via Daata? Già in verità con la Season One ci eravamo resi conto che molti artisti ci davano lavori con forte orientamento testuale, sembravano molto poetici nell’uso del linguaggio e nella loro concezione. Ma quello che facciamo, essenzialmente, è mostrare video d’artista e suono: no abbiamo ‘poetry art’ ma solo poesia d’artista. E’ sempre fatta da artisti. Molti degli artisti con cui lavoriamo usa mezzi differenti – dalla pittura alla scultura e anche ovviamente mezzi digitali. Quindi un’opera poetica ci deve essere consegnata come un file audio o video, perché attualmente è così che mostriamo i pezzi. Magari ci saranno altre forme ancora da creare (e da mostrare, di cui però non sono ancora sicuro). Magari un sito web.   Il primo artista in questo ciclo di commissioni è stata Tracey Emin che ha creato poesie molto brevi con lei stessa a leggerle. L’immagine sul sito è di lei che regge delle note e le legge. Sono stato profondamente emozionato da questo lavoro quando mi è arrivato: le sue liriche sono brevi e molto potenti. Talvolta riconosci un grande artista da come è semplice il processo della commissione di un lavoro. Certo, comprare un lavoro di Emin per poche centinaia di dollari non è comune. Ho saputo di diversi collezionisti che lo hanno fatto.   Tutti gli artisti hanno lo stesso prezzo quando iniziano un’edizione con noi nelle differenti sezioni. Un artista appena uscito dalla scuola ha lo stesso prezzo e viene pagato allo stesso modo di uno più famoso. Tenere il prezzo livellato non è relativo a quanti soldi pensiamo di fare. E’ per rendere conveniente il pagare un artista per il giro successivo di commissioni. Gli artisti vengono pagati perché noi abbiamo le vendite, e noi possiamo crescere. Quando fai enormi profitti, hai bisogno di uno staff enorme e quindi tutto diventa come una società e non la piattaforma di artisti che siamo. La tristezza nel mondo dell’arte è che le società di maggior successo hanno meno da mostrare per loro stessi, potrebbero impiegare persone creative ma generalmente non pagano gli artisti abbastanza. 50, 100 persone impiegate in giro per il mondo da pagare, gli investitori che iniettano soldi, e gli artisti vengono chiamati a fare mostre gratis e produrre gratis. E’ un crimine di cui tutti siamo parte. Online soprattutto, dove siccome siamo abituati a leggere le news gratis pensiamo anche che l’arte debba essere disponibile gratis.   Quando ci siamo incontrati a Venezia mi hai parlato di come ritieni fondamentale cambiare l’attitudine degli insegnanti delle scuole dell’arte verso i loro studenti. Puoi farmi un esempio di insegnamento virtuoso o di comportamento virtuoso dei docenti per promuovere meglio gli skill dei loro studenti? Spesso insegno in grandi scuole, ma anche in quelle regionali. Da poco abbiamo lavorato con il Royal College of Art, con la Royal Academy of Arts, il Goldsmiths, la Saint Martins. Ho feedback continui dagli studenti: gli manca un’esposizione con il mondo reale dell’arte. Molti insegnanti sono bravi a insegnare arte e abilità manuale e sono lì per questo. Ma a volte sono lì anche perché il loro successo come artisti non è così forte e hanno bisogno di un salario, è reale ed è anche molto salutare oltre che comprensibile. Occorre però una maggiore esposizione e non solo capire le forze di mercato ma anche come le persone possono comunicare e come incoraggiarle, come allevarle. Questo è il mio lavoro: lavorare con le persone e non con la pittura ad olio o i mega pixel. L’interazione umana è tutto, non quanto io sia brillante ma quanto loro lo siano. Di solto quando insegno agli studenti, spesso mi informo prima su chi sono, prima di incontrarli. Penso sia importante, anzi cruciale. Quello che hai bisogno per sopravvivere al mondo dell’arte è conoscere chi è l’altro, come andare d’accordo. Talvolta la chimica e la collaborazione sono lì e mi appassionano molto. Inoltre, essere uno studente d’arte è forse la scelta più costosa: paghi rette altissime per diventare questa cosa dove potrebbe non esserci un guadagno. Spesso insegno a studenti molto giovani – quelli dei corsi base – e dico loro: dovete fermarvi ora se capite che non sarete davvero i migliori. Non c’è storia.   Il tuo traguardo professionale più importante e quello, su un piano più intimo, quello personale? Di essere stato onesto con me stesso in tutta la mia vita lavorativa. Io lavoro molto da solo e sono un salvatore. Quindi penso che il mio traguardo è che consegno quel che prometto di fare. Ambisco sempre ad essere una brava persona quando lavoro con altri. Non è sempre possibile se basato soltanto sulla chimica. Il mio traguardo personale è aver creato la mia famiglia ed essere insieme, e sposato, con mia moglie da oltre ventidue anni e insieme da oltre venticinque. Mantenere una relazione, allevare i figli, in qualche maniera tenere un tetto sopra le loro teste no so come ho fatto…Sì questo è il mio traguardo più interiore.   Il cibo e la bevanda preferiti? Ho in mente un sacco di cibi esotici ma mi sveglio ogni mattina preparando il miglior porridge di sempre con frutta fresca per me e per mia moglie. E’ molto buono. Ho il diabete e sono molto attento a quel che mangio. Non so se definiresti il gazpacho una bevanda, ma è la mia preferita! La musica ed il cibo con te ora (e su quale tipo di tavolo sono?) Ho diversi libri sul mio comodino ma non li leggo veramente. Leggo di più online ed un sacco di news. La mia lettura tipica sono di solito articoli da The Guardian o da altri siti di informazione. Mi piacerebbe leggere libri che parlano di esperienze intimamente umane (e vedo molti film su questo, anche altri tipo i thriller per i miei momenti di testosterone!) Quindi, direi, mi piace una storia con due persone, sull’intimità: di un uomo e di una donna. Due teste che parlano di qualcosa, anche due donne che s’incontrano a colazione e parlano dei loro giorni o dei giorni a venire… Leggo e rileggo questi due libri, li ho sul mio comodino da molto tempo ormai (mostra le copertine: quest’intervista è in video da Londra a Venezia): The Best Intentions di Ingmar Bergman (anceh un film di Bille August, scritto dallo stesso Bergman). Ed un’altra bibbia, The Random House Best XX Century French Poetry. La ho da così tanti anni e ancora penso sia una bibbia. Quando corteggiavo mia moglie, spesso compravo questi libri perché mi piaceva l’esterno mentre lei leggeva l’interno e li trovava stimolanti. Ho un’intera serie di libri visti e non letti…Sembra strano, ma mi addormento quando leggo i libri e anche a teatro. Ho poche cose che mi tengono sveglio quando mi ci concentro, ascolto o guardo. Di solito si tratta di arte, danza e musica. Tornando a quel libro, ci sono alcune poesie che mi piacciono specialmente una sul paesaggio rurale di Alain Delahaye. Per andare subito ad una delle domande che so che mi farai, dove mi vedo tra dieci anni, mi sono sempre immaginato alle isole scozzesi a pascere capre. Non penso mi sarà mai possibile perché sarebbe dura mantenersi lì e lavorare da lì, ma mi piace fantasticare in questo senso… Vivo a un isolato dal paradiso, un vecchio bosco romano/sassone che si chiama Highgate Wood: ogni mattina ci vado col cane. In mezzo a quel blocco c’è la Northern Line Underground che ti porta a Central London. Quindi hai sia la metro più urbana che una specie di paradiso, una foresta verde lussureggiante. Penso che questo rappresenti il conflitto dei mondi in cui sto vivendo. La Londra del centro e l’idea di vivere in mezzo al niente.   Musica: ho due pezzi che sono due lati dello stesso gusto. Uno è Philip Glass, qualcosa che ho in testa sin da quando stavo iniziando le Daata Editions, comprai un brano suonato al piano dalla sua Orphee Suite due anni prima di partire, costava 0.99 cent. Quell’acquisto mi ha portato davvero in un nuovo mondo. L’idea di comprare qualcosa online e possederlo mi ha fatto capire cosa volevo fare con il mio sito. L’altra cosa che mi fa andare avanti è un po’ indietro ai miei anni dell’adolescenza, quindi un sacco di tempo fa, a metà anni Settanta: Baby I love you so di Jacob Miller e la versione dub di King Tubbys Meets Rockers Uptown di Augustus Pablo. Certa musica mi fa l’amore.   Un talento che hai uno che ti manca Mi piace prendermi cura. Questo va dalla mia famiglia ai miei studenti. Non che io abbia qualche potere, è qualcosa che voglio fare. Forse risale alla volontà di essere madre, di dare la vita. In un momento di crisi o di emergenza la capacità più grande è sapere cosa fare e come trovare la forza, sono abbastanza bravo. Se devo trovare qualcosa in me che ricordi la storia di mio padre forse è questa virtù, immagino lui abbia dovuto fare altrettanto. Dammi un grande incidente d’auto e correrò verso di esso invece di correre lontano.   Scrivi anche poesie? Quando ero nel momento di innamoramento…Scrivevo sempre poesie a mia moglie. Se ora lo faccio non è per giocare con le parole ma per comunicare a qualcuno quanto desideri di stare con lei. Quanto la ami. Quanto incredibile e brillante essa sia. Forse non lo faccio più tanto come in passato, ma cerco altre vie. Per esempio il mio porridge è una versione di quei versi. Quando s’invecchia è importante venerarsi, intendo amare le rughe e i capelli grigi. Le parole ed i pensieri che condividi hanno fasi differenti nella vita. Le poesie che scrissi a mia moglie quando le ho chiesto la mano…le ha ora nell’interno della fede nuziale. Le parole per noi sono fondamentali. Nell’anello di Jane c’è un verso che io ho fatto incidere, è di un poeta italiano e scrittore, Italo Calvino, preso da un libretto di un’opera di Luciano Berio, Un Re in Ascolto: ‘nascosta nel ricordo, c’è la memoria silente del nostro futuro.’ Ero ancora uno studente quando assistetti a quell’opera e scrissi questo verso sul muro del mio studio. Racchiude tutto quello che ti ho raccontato della mia infanzia e fino ad ora. Mia moglie l’ha amato nell’interno dell’anello. Indossandolo ogni giorno. Dentro l’anello credo ci siano delle parole che sono molto più importanti di ogni gioiello che avrei potuto mettere all’esterno.   Cosa hai imparato sin qui dalla vita? Che la coesistenza umana e la chimica sono il massimo, non l’innovazione tecnologica delle cose, anche se è molto importante fare sì che succeda.     Una mostra di Daata Editions dedicata alle architetture per il divertimento LGBT è in mostra fino al 24 agosto al BBar, Bauer, ad ingresso libero su Campo San Moisè (Venezia)   Per scoprire la creatura di David Gryn, Daata Editions: https://daata-editions.com/

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