Encore Heureux, Francia

Oggi vi guidiamo in dieci luoghi che devono essere scoperti: luoghi fatti per abitare, per passarci una serata, per farci un workshop, per dormirci e basta, per andare a teatro, per imparare qualcosa di nuovo in termini di vicinato e di città sostenibili, da affittare per un breve o un lungo periodo, per provare a fare una residenza d’arte o per condividere, o per (molte) altre ragioni. Siamo sicuri che posti così al mondo ce ne siano altri, portati avanti e difesi da comunità assai resilienti – ma quelli dove vi guidiamo oggi sono tutti in Francia, Europa.

Un’università abbandonata a Rennes (oggi è l’hotel Pasteur), un obitorio abbandonato a Parigi (oggi è il 104-Centquatre), un vecchio centro di smistamento postale ad Avignone (oggi è il Tri Postal), un reparto maternità in disuso in un grande ospedale (di nuovo a Parigi, oggi è il Les Grands Voisins), un vecchio spazio per uffici di un’azienda, un’architettura di stampo brutalista a Saint Denis (oggi è il 6B), un convento abbandonato e assai impervio anche se nel mezzo di una città (oggi è La Convention ad Auch), una vecchia fabbrica dismessa di tabacchi a Marsiglia (oggi è La Friche La Belle de Mai), un’area sottosviluppata ed odiata da due cittadine confinanti (oggi è Les Atelier Médicis a Clichy-Sous-Bois e Montfermeil), un nuovo sistema agricolo vicino al campus di Parigi X (Le Ferme du Bonheur a Nanterre), un sito metallurgico abbandonato (La Grande Halle a Colombelles): questi luoghi infiniti hanno lasciato lo stato di ‘edifici’ e stanno diventando, appunto, luoghi grazie ad un’interpretazione dell’architettura e del processo di partecipazione nella progettazione che conduce tutti – cittadini, proprietà, enti pubblici – ad ‘un infinito di possibilità, qui ed ora’. ‘Segnali deboli che aprono a pratiche multiformi, sovversive, che traslano gli spazi’ per far rinascere, riutilizzare e non solo rientrare nella logica costruire ex novo-vendere-affittare.

Per fare questo viaggio, abbiamo incontrato delle guide eccezionali, gli architetti francesi Encore Heureux (Nicola Delon, Julien Choppin, Sébastien Eymard) – anche perché tre di questi luoghi sono stati ‘traslati’ grazie al loro studio, come ad esempio l’Hotel Pasteur, Les Atelier Médicis, La Grande Halle.

Fino al 25 Novembre 2018, Les Lieux Infinis è anche una mostra a Venezia e lo spazio espositivo sarà teatro di tante attività ma soprattutto sarà in grado di farvi vedere come si vive e si lavora lì, per saggiare un po’ la vita nei dieci ‘luoghi’ dove le ‘persone di qualsiasi mondo’ possono incontrare storie di progettazione incredibilmente buona dove spesso c’è solo una semplice chiave d’accesso (e nessuno la perde mai anche se a frequentare il posto ci sono migliaia di persone al giorno). Che continua a replicare un modello vincente sia abitativo sia del tempo libero, che è in grado di dare gioia. Di far nascere vita o di rimetterci in vita, contro le logiche dominanti del mercato.

 

 

E’ proprio il caso di dirlo: quando si è talmente entusiasti del proprio lavoro e lo si scrive nel nome del proprio studio, è molto più di un manifesto (quando i manifesti ormai sono pericolosamente di moda…). Che c’è dietro alla scelta del nome del vostro studio (in italiano suona come ‘Ancora Felici’)?

Julien Choppin: Il name Encore Heureux nasce da un’intuizione. Non ci piaceva tanto chiamare lo studio con i nostri cognomi uno accanto all’altro, come spesso accade tra architetti o professionisti. Stavamo quindi cercando qualcosa che potesse tradurre il carattere collettivo dei progetti che portavamo avanti. L’espressione Encore Heureux ci ha interessato su due livelli: il requisito minimo per prendere in carico situazioni esistenti, un ottimismo combattente. Questo nome inoltre ci ricorda l’ambizione di benessere che tutti cerchiamo ma anche il desiderio di coltivare una lucidità costante. Riflette un’attitudine a lavorare serenamente nella complessità che ci circonda.

 

 

Quest’anno siete i curatori del più interessante Padiglione Francese alla Biennale di Architettura di Venezia dopo Metavilla proprio per descrivere lo stato dell’arte di certe idee sulla professione di architetti e più in generale sull’inclusione nell’attuale Francia che ci sembra veramente scossa da una nuova interpretazione del vostro Presidente della Repubblica su temi cruciali in cui sfortunatamente inclusione e promozione sociale, immigrazione sono inclusi. 

Quanti mesi avete avuto per preparare la mostra? Siete partiti sin dall’inizio da questa idea oppure era una tra le molte possibili?

Abbiamo risposto a una call a presentare progetti come curatori che è stata diramata dal Ministero della Cultura francese insieme all’Istituto Francese nell’estate del 2017 e lì il progetto era stato già chiamato ‘Luoghi Infiniti’, quindi lo abbiamo lasciato. Volevamo rispondere molto seriamente al tema generale Freespace (la Biennale di Architettura 2018 – il padiglione Francese si trova ai Giardini – è ancorata ad un tema generale che è stato lanciato attraverso un manifesto ideato dalle curatrici, gli architetti irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara di Grafton Architects), mettendolo in discussione dal nostro punto di vista. Come parlare di libertà in architettura? Abbiamo quindi scelto di parlare di luoghi e non di edifici enfatizzando le loro condizioni costruttive, i modelli di governance che si erano instaurati, le possibili evoluzioni. Abbiamo quindi selezionato dieci luoghi perché era questa la condizione per essere in grado di parlare di questo e dell’energia di questi posti. Li vediamo come un messaggio di speranza, perché sono luoghi che rappresentano una forma di solidarietà e di fiducia nella ricchezza della società civile. Non sono solo ‘esempi’ ma ‘campioni’ e per questo invitiamo il pubblico della biennale ad aiutarci ad incrementare la nostra collezione di ‘luoghi infiniti’ identificando nel mondo iniziative simili che riflettono una volontà di investire nel possibile per inventare dei futuri accessibili.

 

 

La vostra valigia degli attrezzi per la professione tutti i giorni: gioie e dolori di essere architetti nel vostro paese…

Gli architetti sono quel genere di professionisti che hanno davvero una solida presa sul mondo reale. E’ una grande responsabilità. La nostra disciplina, un tipo di arte applicata, può davvero migliorare le condizioni di vita collettive in questo periodo storico così complicato e dobbiamo partecipare, insieme ad altri, per incantare nuovamente il futuro oggi adombrato da molte nuvole – crisi ecologiche, economiche e sociali. Nella nostra professione, ci dividiamo spesso in sentimenti opposti: gioia quando riusciamo ad avere le condizioni per sperimentare, provare e realizzare visioni comuni. E tristezza, quando le abitudini o l’obbedienza cieca ci impediscono di immaginare alternative. 

Un pezzetto di Venezia entra alla Biennale di Architettura grazie al vostro Padiglione: è un ex caserma che avete attivato per tutto il periodo della mostra con collaborazioni locali. E’ troppo presto per chiedervi la vostra visione sul suo futuro? Avete avuto contezza di come è difficile avere a che fare con le autorità locali qui? Abbiamo provato per anni ma senza successo…

Mentre lavoravamo sul contenuto della mostra abbiamo sentito parlare del lavoro dell’associazione Biennale Urbana in questa caserma abbandonata sull’isola del Lido. Era esattamente il momento quando pensavamo al programma del padiglione in connessione con gli attori dei dieci posti che avevamo invitato. Abbiamo rapidamente investigato sull’interesse di fare qualcosa nel tessuto reale su ciò che spieghiamo nella mostra. Allora fu ovvio che dovevamo correre il rischio di iniziare un’avventura e accompagnare con un nuovo impeto quello che gli Italiani avevano già fatto sulla caserma, ottenendo una convenzione di utilizzo per un anno. Le cose sono state un po’ dure ma come in ogni progetto occorre costruire la fiducia reciproca in tempo e non è facile quando un progetto mette in moto così tante persone. Ma anche qui, è forse soprattutto importante la forza e la magia del luogo, che trascina tutto il team e ci aiuta a superare gli ostacoli di un’avventura così grande. 

 

 

I tuoi pezzi indimenticabili di letteratura e il pezzo dance che non deve mai mancare nella playlist perfetta?

Leggere Walden di Thoreau (Henry David).

Ballare con Get Lucky dei Daft Punk.

 

 

Un posto segreto dove rallentare nella tua città natale?

Le rive del fiume Lot, nel sud-ovest della Francia, in un tardo pomeriggio di fine estate.

 

 

Dove vi vedete da qui a dieci anni?

Sereni, a lavorare con altri per inventare mondi migliori dove vivere meglio.

 

 

Cosa avete, singolarmente ciascun di voi tre, imparato dalla vita sin qui?

Da soli andiamo veloci, insieme andiamo più lontano.

 

 

#BiennaleArchitettura2018  #Freespace #leslieuxinfinis

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