Fabio Condemi, regista, Roma

Jakob von Gunthen (2018, 70’) di cui vedete alcune foto su queste pagine è una prima assoluta del giovane regista Fabio Condemi che porta in scena alcune pagine centrali dell’omonimo romanzo di formazione del famoso autore autodidatta e auto-recluso per la maggior parte della sua vita: Robert Walser (con la direzione visiva di un amico e di un collega, del pari avido lettore di Walser, Fabio Cherstich).

Fabio Condemi è stato finalista (menzione speciale) per un concorso dedicato ai registi under 30 alla Biennale Teatro di Venezia (diretta da Antonio Latella) che ogni anno porta sul palco un giovane regista ed il suo gruppo di lavoro con una creazione al 100% inedita. E Jakob von Gunthen ha un legame straordinario con la letteratura e con l’atto della lettura.

 

Iniziamo dagli applausi: infiniti per un’opera primissima.

 

Due studenti di una scuola per maggiordomi si confrontano in estrema e grottesca ironia con l’assenza di formazione vera tra i loro banchi e si attrezzano per aderire alla forse più cospicua idea di Walser: diventare uno zero – scomparire, una controtendenza rispetto alle sempre maggiori dosi di potere e di rivalsa che sembrano animare le società contemporanee, la nostra e quella dello scrittore.

 

Accanto alla trasposizione ‘letterale’ delle pagine del romanzo (ai presenti alla prima, tutti nessuno escluso, è venuta subito voglia di leggere il libro), si affianca una lettura sofisticatissima fatta di scene curate in ogni dettaglio in cui l’arte da Capri-Batteria di Beuys fino alla femmina/terra di Abramovic ed oltre è citata con grandi amplificazioni personali di temi e correnti  – ed in cui i tempi, le luci, gli straordinari e duttili costumi fanno supporre un’esperienza professionale di almeno dieci anni in più – e una coreografia perfetta: tutti e tre gli attori (in particolare Lavinia Carpentieri, ma anche il grandissimo Gabriele Portoghese e Xhulio Petushi altrettanto straordinario) oltre a cospicui pezzi recitati sono chiamati ad una prova fisica non comune e alla tenuta di posizioni che non possiamo definire tersicoree in senso stretto ma che hanno richiesto una grande dose di allenamento posturale.

 

Una piccola nota in conclusione di questo prologo – perché l’ultima cosa che farei è svelare la trama o alcune trovate sceniche (mai come per questo spettacolo raccontarlo prima ne diminuirebbe grandemente l’effetto): molti nelle arti e nel teatro hanno usato l’acquario con i pesci rossi come forma scenica, come elemento di racconto o come parte scultorea prepotente soprattutto in cambi di passo della narrazione. In questo caso, invece, ne vedrete un uso veramente nuovo, che ricorderete per molto tempo (e che forse, molto alla lontana, guarda alle Pissing Series, meglio conosciute come Immersions, di Andres Serrano).

 

Ho voluto approfondire il percorso personale e professionale di Fabio.

 

 

La tua vita sin qui, fuori dalle biografie ufficiali e con qualche riga di quello che c’era prima del teatro e delle aspirazioni alla tua giovanissima età

Sono nato nel 1988 a Ferrara. Con i miei genitori mi sono poi trasferito nelle Marche, prima a Sassocorvaro poi a Pesaro. Da bambino ho cominciato a leggere libri di poesia (Rimbaud e Mario Luzi per primi) e ad ascoltare musica. Al teatro mi sono avvicinato molto tardi e con grande diffidenza. Finito il liceo sono andato a Roma per frequentare la facoltà di lettere alla Sapienza ma dopo due anni (di cui uno passato a Genova alla scuola del teatro stabile) sono stato ammesso all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’ nella classe di regia. Ho lasciato l’università che già frequentavo saltuariamente e senza particolare interesse e mi sono interamente dedicato al teatro.

L’ultimo anno d’Accademia ho avuto come insegnante di regia Giorgio Barberio Corsetti che mi ha fatto scoprire il teatro di Pier Paolo Pasolini. Da questo incontro (con Corsetti e con la scrittura pasoliniana) è nato, prima come studio e poi in una forma più definita, il mio saggio di diploma in regia: Bestia da stile di Pier Paolo Pasolini. Appena uscito dall’Accademia ho cominciato a lavorare con Barberio Corsetti del quale sono attualmente aiuto regista per allestimenti teatrali, operistici e progetti didattici.

 

 

Il tuo (giovanissimo eppur assai maturo) teatro è magma, che mischia ironia e dramma, grande recitazione e strenuo lavoro sul corpo dell’attore. 

L’adattamento dei testi si affianca perfettamente ad un’incredibile traduzione visiva come se fossero due anime della stessa storia. 

Ti ispiri alla letteratura, esplorando fedelmente autori e amandone la creatività, facendo risaltare il loro linguaggio così come avrebbero voluto. 

Perché hai scelto sin qui la strada della trasposizione di testi letterari in questo particolare modo? 

C’entra qualcosa il tuo smodato amore per la lettura? 

Oppure sei uno strenuo sostenitore del potere della letteratura?

Intanto ti ringrazio per queste belle parole. Non sono molto d’accordo, però, quando tu dici che il ‘’mio’ teatro è un magma che mischia ironia e dramma (ecc..). Non sono d’accordo perché questo vorrebbe dire che io ho uno ‘stile’ nel trattare i materiali con cui lavoro. Per me, invece, è quasi il contrario: il testo al quale scelgo di lavorare (sia esso letterario o teatrale) guida la messa in scena. Questo non vuol dire essere didascalici ma dialogare con il testo e la scrittura e cercare di volta in volta il modo di organizzare e restituire in scena la particolare struttura del romanzo o dell’opera teatrale che sto affrontando. Nel caso di Walser e del suo Jakob Von Gunten è proprio la scrittura a passare in modo continuo dalla chiacchiera al monologo all’allucinazione fino a pagine nelle quali si spalancano improvvisamente davanti ai nostri occhi paesaggi sconfinati e inquietanti (le guerre napoleoniche o il deserto come ultimo luogo di fuga per l’uomo) per poi tornare immediatamente e con leggerezza alla chiacchiera. Questo stile crea quella che Roberto Calasso nel suo saggio Il sonno del calligrafo chiama ‘l’ironia ininterrotta di Walser’. Proprio con questo tipo di scrittura, per alcuni aspetti ‘irrappresentabile’, mi sono confrontato nello studio della messa in scena e nelle prove con gli attori per arrivare a trovare qualcosa che avesse a che fare con Robert Walser e col suo romanzo. Quando ho lavorato su Bestia da stile di Pasolini avevo davanti un testo molto diverso e il lavoro che ne è venuto fuori aveva poco in comune con questo Jakob Von Gunten.

Scelgo i testi letterari perché pongono in continuazione al regista una domanda fondamentale: cosa significa ‘rappresentare’ qualcosa? Quando ci si confronta con un testo scritto per il teatro spesso non ci si pone questa domanda. Per me (che in fondo continuo ad avere nei confronti del teatro quell’atteggiamento di profonda diffidenza che avevo da ragazzino) è vitale questo continuo colloquio con un materiale che sfugge per sua natura ad essere rappresentato (ad esempio il romanzo-diario di Walser o la frammentaria e profetica autobiografia pasoliniana di Bestia da stile).

 

 

Cosa significa fare teatro oggi a 30 anni per questo paese ed in questo paese? Hai modo di raccontarci esperienze di tuoi colleghi all’estero? Cosa cambieresti e cosa terresti?

Mi sembra un momento artisticamente molto vivo, in contrasto con la volgarità e la violenza dilaganti in tutto il paese. Ci sono tantissimi artisti autentici  (gli Anagoor, che hanno vinto il Leone D’argento alla Biennale Teatro di quest’anno, ad esempio. Il loro Virgilio brucia è folgorante). Anche l’iniziativa del direttore della biennale Antonio Latella di dare un premio di produzione a registi sotto i trent’anni è stata un motivo di incontro e di confronto importantissimo per molti registi della mia età, al di là della competizione.

Non conosco abbastanza bene le esperienze di altri artisti all’estero per poterle raccontare.

 

 

Prossimi progetti?

Da qualche tempo penso a Simenon e ai suoi romanzi nei quali non c’è l’ispettore Maigret. Mi piacerebbe molto lavorare su uno di questi bellissimi libri (ad esempio La camera azzurra). Ora, però, quello che vorrei è far girare in diversi teatri questo Jakob Von Gunten al quale tengo moltissimo. Poi ci sono anche i lavori come assistente di Giorgio Barberio Corsetti nei quali mi diverto sempre tanto e che vivo come occasione di crescita artistica.

 

 

Il libro con te ora e la musica che stai ascoltando. Dove sta il libro e dove sei tu in questo momento?

Sto leggendo Lettori selvaggi di Giuseppe Montesano (Giunti). In questo periodo ascolto spesso gli ultimi album di Edda. Il libro lo sto usando come base del computer mentre ti scrivo, cara Diana!

 

 

Dove ti vedi tra dieci anni?

Amo molto la solitudine e la lettura e spero di poter continuare a coltivare queste mie passioni anche tra molto tempo, indipendentemente da quello che farò.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Fortunatamente niente.

 

 

Grazie infinite. un caro saluto

Diana

 

 

Un caro saluto a te Diana e grazie

Fabio Condemi

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