Giacomo, Milano

Una piccola galleria d’arte veneziana fuori dai circuiti consueti promuove una mostra sui generis. Parla di bullismo e di come ‘uscire dagli angoli’ dove la vita, talvolta, ti mette. Se dell’artista – mezzo bancario e mezzo sarto, sicuramente 100% pittore – leggerete presto dalle nostre pagine, quella che segue è la storia del curatore, Giacomo Nicolella Maschietti. L’abbiamo raccolta in un piccolo angolo della galleria, seduti sul cordolo, a parlare fitto per 15 minuti filati – mentre vita, visitatori e commenti scorrevano sulle opere.

 

La tua storia

Ah, ma allora è veramente una cosa privata!
Di anni ne ho 34, quest’anno. Sono nato sul lago di Como ma ho viaggiato tanto perché ho seguito un po’ i divorzi di mia madre e sono stato a Torino, Roma. Le elementari le ho fatte a Milano, il liceo sul lago di Como e poi dopo sono tornato a Milano e ora direi che sono milanese a tutti gli effetti.

Ho studiato Filosofia con una tesi in filosofia della scienza (con un docente che ha fatto sempre parte della vita attiva della città, Giorello). Poi in realtà non mi interessava più di tanto la carriera accademica, ho fatto un bel mese in Tailandia appena laureato, come si conviene a quelli che non hanno le idee chiare. Quando sono tornato, incappo in una galleria d’arte che aveva un cartello con su scritto ‘cercasi assistente’. Ho iniziato prima da quella, era una piccola galleria a Como, poi sono andato a Milano da Cannaviello, da Stein, dai Curti (insomma delle gallerie importanti).

Ho fatto un po’ d’ufficio stampa e ho capito che non era per me. E a un certo punto mi sono licenziato e sono andato a fare uno stage da Class Editori, senza speranza di nessuna assunzione (era il 2006/2007), ma invece mi hanno tenuto. E’ una casa editrice finanziaria ma nessuno si occupava di arte e quindi io ho trovato il mio posticino – portando avanti parallelamente una serie di progetti.

Poi suono la chitarra – da sempre. Negli ultimi cinque anni – e penso sarà il gruppo che mi porterò avanti tutta la vita – con i Gran Riviera (fan page FB). Abbiamo fatto un disco e cerchiamo di coniugare uno straccio di attività live più o meno continuativa, in tutto il Nord Italia fino a Roma. Sotto facciamo fatica a spostarci, il mio cantante ha tre bambini, però…

 

Cantate in inglese o in italiano?

Cantavamo prima in italiano perché abbiamo fatto un disco con Universal. Ora abbiamo abbandonato le velleità di diventare famosi e incidiamo, con grande passione, con una bella etichetta indipendente di Genova dove c’è Beppe che ci da una mano e ci trova i concerti. Questo disco l’abbiamo fatto quindi in inglese, comunque è un prodotto veramente artistico, non abbiamo briglie e facciamo quello che ci piace (http://www.thisiscore.net/)

 

La passione per l’arte contemporanea ti è venuta per quel cartello visto a Como?

Mhh, sì. Prima lavoravo ai bookshop durante l’università, avevo trovato che era un modo per fare un po’ di soldi senza grande fatica – ad esempio la chitarra e l’amplificatore me li sono comprati con tre mesi di lavoro a una mostra di Picasso.

Sai i bookshop di quelle mostre grosse: facevo anche un sacco di ‘nero’ perché i cataloghi, non essendo contati, li vendevo senza ricevute, ogni tanto ne facevo sparire un po’…E mi ricordo che mi ero inventato di dire questa frase a quelli che chiedevano lo scontrino: ‘No, non si preoccupi guardi, l’iva è assolta dall’editore’. Questa frase convinceva tutti! Costavano un sacco di soldi, 25 euro (era appena arrivata la nuova moneta!). Quindi ero riuscito a farmi un po’ di soldi extra. Se mi sentissero le agenzie che facevano quel mestiere lì, produrre cataloghi,…ma devono essere anche fallite!

Forse lavorare con le gallerie è stato il momento più bello: conosci gli artisti, ci stai a contatto, capisci un pochino come gira il vento. Da un lato però è anche brutto: è come stare dal fruttivendolo, è molto commerciale. E tu la tua non te la aprirai mai, costa troppi soldi!

Ho trovato, infine, che fare il mestiere di giornalista sia stata la cosa più giusta per me. Nel 2007/2010, quando ho iniziato, erano altri anni, si viaggiava tanto. Io sono stato molto fortunato, ho fatto le principali fiere (Hong-Kong, Sudafrica, Brasile), insomma ho visto tante cose.

 

Sei in particolare esperto di mercato dell’arte e spesso te ne occupi nelle tue trasmissioni

Faccio solo quello, siamo in dieci in Italia che ci occupiamo di questo. E’ una cosa che ha molto poco di scientifico, è un mercato deregolamentato. Si va molto ad amici, sensazioni, conoscenze. Si può studiare ma secondo me bisogna proprio lavorarci se no non si capisce niente.

 

Cambieresti mestiere? Se sì cosa?

Io penso che gli unici mestieri che meritino di essere fatti per vivere siano il pittore, la rockstar e lo scrittore, l’astronauta: insomma, tutti quelli che sogni da bambino.

Mi sarebbe piaciuto fare il musicista a tempo pieno, mangiandoci. Questo purtroppo non è più possibile, se non per una manciata di artisti. E quindi l’ho messo da parte.

Una volta ho fatto un colloquio e mi hanno chiesto qual è il tuo sogno nella vita. Io ho risposto ‘vivere di affitti e coltivare la mia passione: suonare la chitarra‘. E loro: ‘ah, ah, ah – ridono. Dai qual ‘è la tua passione vera’. E io, di nuovo, scandendo: ‘vivere di affitti e coltivare la mia passione: suonare la chitarra‘.

Non mi hanno preso.

 

Spesso la tua passione giornalistica esonda, e ti occupi di questioni diverse dalle trasmissioni che curi in tv. Soprattutto di people e soprattutto dal profilo facebook. Parti da cose che ti riguardano e le fai diventare piuttosto universali, con un tocco sovente ironico e tagliente allo stesso tempo. Il social network diventa un po’ complementare alla tua produzione di contenuti.

I social non sono banali, se usati in una maniera ponderata secondo me possono essere molto utili. Sono stati utili a me per lavoro: raggiungere contatti, in generale fare cose (sia nella musica che nell’arte). Io ho scelto questa strada che è quella di ‘calare le braghe’ ed essere completamente onesto. E non so se sia tout court quella vincente. Forse per alcuni ambiti funziona, per altri meno: di sicuro però ti leggono. Io ho tanta gente che non mi ha mai fatto un I like, che però poi m’incontra per strada e mi chiede ‘ma poi la storia del cane come è finita…?’. Sei sicuro che comunque tutti sanno quello che stai facendo – se pubblichi dal tuo profilo personale e non da una fan page – devi stare attento. Io per esempio ho tra gli amici il mio direttore ed altri con cui collaboro: a me non frega niente, che ho scelto di essere molto vero. Forse con un po’ più di astuzia…

Ad ogni modo sono uno strumento potentissimo e fondamentale. Anche bellissimo, perché prima c’erano i blog (dal 2000 al 2005) e mi ricordo che avevo i miei due/tre blog di riferimento, ma erano due o tremila persone a seguirli. Io ho avuto un pezzo che faceva ridere e che avevo scritto su Facebook due anni fa con un milione e mezzo di visualizzazioni e 37.000 I Like. Questa è una platea più potente della televisione dove lavoro, delle riviste dove scrivo…

 

Se dovessi scegliere dove stai tra dieci anni, dove sei e cosa fai?

Io a Milano sto benissimo. La mia ragazza non è contenta perché ama molto la natura e le piacerebbe stare da qualche altra parte.

Io ho vissuto parecchio sul lago di Como e mi riempivo la bocca con ‘vivere fuori dai c. è meraviglioso’ ‘via dalla città, via da tutto’ per farmelo piacere.

Qui a Milano non esco tantissimo, ma il solo fatto di sapere che se voglio fare qualcosa posso farlo, perché c’è tutto, è una bella opzione mentale.

E’ una città ammalata da tanti punti di vista, uno su tutti avere gli stipendi della Grecia e i costi di Londra, però io ci sto bene. Io ci sto bene, però…certo…

Io credo che quando finirà il meccanismo editoriale che conosciamo ora non so se tra dieci anni scriverò ancora così come ora.

O il mio settore si salva in qualche maniera che non è stata ancora trovata, o credo che il mio prossimo mestiere sarà sempre quello di produrre contenuti non per un editore. Saranno le aziende che si faranno il proprio magazine, quelle che potranno permetterselo. Già succede…E sarà sempre più così. E presumo andrò a lavorare con qualcuno a cui piace quello che scrivo.

 

La musica con te (non tua) e il libro che stai leggendo?

Musica: non ascolto molto mainstream e quindi potrei iniziare con una fila di nomi che non conosce nessuno, o quasi. Vi consiglio di ascoltare i Delta Sleep, un gruppo inglese di ragazzi, che hanno appena suonato in Italia, veramente poco noti. Fanno un’evoluzione del mat rock: solo chitarre pulite, tante canzoni in una intrecciate con un gusto, con una grazia….sono straordinari. E molto giovani.

Libro: sono un po’ più banale, mi piacciono i romanzoni americani, mi leggo Jonathan Franzen, Philip Roth, quelli lì…

 

Siccome scrivi canzoni, leggi poesie?

Poesia non la leggo. O quantomeno non contemporanea. L’ho letta per studio, a scuola, ma non sono uno che la legge ancora oggi. Mi piaceva Dylan Thomas da ragazzino. Ah, aspetta, aspetta, non è vero: oggi leggo (e mi piace) Guido Catalano.

 

Un talento che hai e uno che ti manca?

Che ho, non lo so. Che mi manca, tanti: mi piacerebbe saper cantar meglio, suonare la chitarra meglio, mi piacerebbe correre i cento metri sotto i 9 secondi (senza doping, gli auguriamo). Ci sono tante cose che mi piacerebbero, non mi lamento. E’ un momento della mia vita che mi sento molto fortunato, comunque sia.

 

Cosa dai a Milano e cosa tu dai a lei. Mi hai già detto che la ami, ma io ti chiedo proprio di spiegarmi la vostra relazione in termini di do-ut-des

Io la onoro e soprattutto ne onoro gli anni, quegli anni della Milano che non c’è più. Quella di Renato Pozzetto, quella di Giorgio Gaber…Mi fa impazzire andare a prendere il caffè da Gattullo e vedere la foto di Pozzetto, di Cochi e Renato. Quei film non è che fanno proprio parte dei miei gusti, ma me li sono proprio per osmosi pippati tutti, quindi ti senti parte di tutto questo.

Milano, tuttavia, è cambiata tantissimo negli ultimi cinque anni. E’ diventata super tecnologica, molto moderna. Della moda mi frega poco, di uscire la sera (dei locali, il jet set, le feste) pure….Questi sono forse gli aspetti più banali ma poi c’è tutto un sottobosco di cose di Milano che…Per esempio io vado sempre a bere a Le Trottoir, dove trovi, sempre, uno scrittore, Andrea Pinketts, con cui ho fatto proprio amicizia…al bar. Con lui e con Giuseppe Veneziano, che peraltro espone sempre a Venezia perché lavora da Contini. Non mi piacevano particolarmente i suoi quadri ma abbiamo fatto una bella amicizia. Al bar. Infatti l’ultimo libro di Pinketts si chiama ‘ Mi piace il bar’, e ovviamente si riferisce a Le Trottoir. Quello è proprio il nostro posto, che è in Piazza XXIV Maggio, dove c’è la darsena.

 

Era più bello quello di prima secondo me…

Sì, però, adesso però è più di dieci anni che è lì…

Poi mi piace anche perché è vicino alla Trattoria da Giulio, che è in corso San Gottardo, ci andiamo tutti i venerdì sera, tutta la band. Io mangiò lì, suono, vado a bere a Le Trottoir. Questo il perimetro della mia mondanità.

 

Cibo per cui muori? E cosa bevi?

Le origini del nord m’impongono i pizzoccheri valtellinesi e il Sassella, il vino della Valtellina. 100% nebbiolo, ma siccome lì fa freddo le uve non maturano più di tanto, non sviluppano molto tannino e quindi non è violento come i vini toscani…buonissimo. Sassella o Inferno!

 

Cosa hai imparato fin qui dalla vita?

Che di cazzate ne ho fatte parecchie. Ad esempio ho divorziato dopo un anno e mezzo di matrimonio. Di errori ne ho commessi tanti.

Cosa ho imparato non lo so…forse ho imparato ad essere più sereno, un po’ più felice. Ecco, sì. Ho imparato ad essere felice.

 

 

 

 

 

Lascia un commento