Jota Castro, artista

 

La tua storia in 10 righe

Jota, sono io!, il figlio di una donna figlia di un figlio di puttana e gentiluomo del Terzo Mondo, ho sofferto d’abbandono quando ero piccolo e ho smesso di parlare per un anno quando ne avevo cinque, sono stato un soldato, ho giocato a vari sport, ho studiato, ho viaggiato tantissimo, ho scritto un libro – non buono – ho incontrato mia moglie a Madrid, l’ho sposata a Belfast, l’ho quasi persa, ho quasi perso me stesso, sono tornato indietro verso i miei sogni, mi ha fatto molto ridere scoprire che Freud amasse la cocaina quanto me, ho avuto problemi di reni ma mi sto prendendo cura di me, ho sognato un destino mentre invece ne avevo già uno, mi piace il sesso quanto la vita, sono stato torturato e ancora mi sento in colpa, sono stato ricco e non mi è piaciuto, sono stato povero e non mi è piaciuto, non so dove morirò, non ho figli, non ho più una lingua madre, mi sono imbarcato nell’arte perché ne avevo abbastanza di mentire, mi sarebbe sempre piaciuto scrivere poesie, ho perso una donna che amavo, mio padre è morto senza volermi più vedere, non ho più visto mia madre per 20 anni, mi sento solo qualche volta, vado pazzo per il calcio, quando ero piccolo il mio motto era muori piuttosto che peccare, a volte alcuni amici mi chiamano el hijo del sol (il figlio del sole), ho viaggiato più della mia immaginazione, ero a Berlino quando il Muro cadde, ero a Mosca durante la Perestroika, la matematica mi tranquillizza, una volta ho sognato una stella che camminava, leggo il giornale sportivo Equipe tutti i giorni, mi piace la pioggia quando sono a casa, ho un fratello più giovane ritardato che si chiama Fidel, adoro Cy Twombly, mi sento perfettamente a casa in Scozia, mi sento perfettamente a casa in Italia, ho visto Pelè e Maradona giocare, ho dipinto d’arancione le scale di casa, sono affascinato dalla sedia Low Pad di Morrison (Jasper), non sono bianco, mi sento in colpa. Sono nato in Amazzonia.

 

p.s.: Sono ancora vivo e ora ho due figlie

 

 

Come fai a combinare la lentezza di alcune città italiane con la scala globale di città più grandi che attraversi quotidianamente dato che sei un globetrotter e hai diverse professioni (artista, curatore, ed in precedenza eri un diplomatico)?

Semplicemente vivo. Lo faccio a modo mio, non cambio perché mi trovo in una città piccola od in una grande. Sono me stesso.

Nella tua domanda si potrebbe intendere anche che nelle piccole città italiane c’è una qualità della vita che non troveresti altrove. Non sono d’accordo. Puoi trovare qualità della vita ovunque, non solo nelle piccole città italiane!

La lentezza è ovunque le persone cerchino di vivere meglio.

 

 

Forse Slow Future – il movimento di consumo ed insieme approccio teorico in economia che stai diffondendo – è l’altra faccia della medaglia di alcune tue mostre come Pabellon de la Urgencia (che hai curato) o, finalmente svelata, la teoria che era dietro a molte azioni ed opere che hai firmato come artista (ad esempio qui prenderei Treppenwittz, una scala dove gli scalini erano fatti di baguette)?

 

Tutti questi lavori sono basati sul fatto che viviamo in una società della Paura. Molti sono spaventati dalla sicurezza alimentare, altri dall’immigrazione e sono fragili sui confini aperti. Tutto questo mi serve come materiale di base per il mio lavoro.

Hai ragione quando dici che i miei lavori hanno tutti la stessa matrice.

 

 

Quale è il maggiore risultato raggiunto nel lavoro d’artista e quale, invece, in quello di docente e teorico?

Sono una sola persona, io l’insegnante l’artista ed il teorico….Sono una centrale elettrica. Riguardo al raggiungimento di risultati, non credo di essere in grado di parlarne, non è importante per me. Cosa veramente voglio è fare quello che mi piace. E soprattutto non voglio tradire me stesso.

 

 

Chi sarebbe l’artista Jota Castro se non fosse nato a Lima? Credi che i luoghi abbiano il potere di plasmare noi e la nostra identità?

Non sono nato a Lima! Sono nato in un posto piccolo e lento che si chiama Yurimaguas, nella regione Amazzonica. Certo che penso che i luoghi abbiano il potere di formarci – i luoghi dove nasciamo e quelli dove viviamo. Quel che m’importa veramente: l’immaginazione, il desidero e l’empatia.

 

 

Che incontri fai nella tua routine?

A volte non incontro nessuno, posso passare giorni senza parlare, da solo. E poi ho bisogno di vedere gente, esco, passeggio, parlo, rido.

Sono una persona normale. Devo confessare che non amo la mondanità.

 

 

Che cosa ti da la tua città – adesso Bruxelles – e viceversa?

La mia famiglia e la mia vita personale.

Mi piace Bruxelles perché non è una città seria e soprattutto mi piacciono i Belgi: hanno un grande senso dello humor, buon cibo, donne fantastiche e pessimi politici.

 

 

Ci descrivi qualcosa di bello che ti è capitato di recente?

Mi meraviglia ancora essere vivo. Mi fa sorridere tutte le mattine.

 

 

Le tue passioni culinarie?

Ultimamente preparo dei buoni piatti al curry, e sono veramente buoni.

Adoro sia il cibo italiano che quello cinese.

 

 

Vino o bevanda preferiti?

Conosci la Chicha Morada? E’ una bevanda peruviana fatta di mais viola. Deliziosa.

Un buon whisky irlandese di tanto in tanto ed una salutare pinta di Guinness.

 

 

 

La musica ed il libro (od i libri) con te ora (e su quale tavolino sono poggiati)?

Sto leggendo l’ultimo libro di Houllebecq (Sottomissione), appoggiato su un tavolino blu di Kostantin Grcic. Ora ascolto un sacco di Black Messiah di D’Angelo.

 

 

In quale posto di questo mondo sei stato in grado di vivere lentamente, se questo è mai accaduto?

Posso vivere con lentezza ovunque io sia, se voglio.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

Spero di avere qualche talento, sono sicuro di non saper cantare!!!

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Non ci ho mai pensato molto, non penso sia necessario, è meglio vivere all’impronta.

 

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