Kristiane, Berlino

 

La tua storia con due precisi accenni: l’infanzia e l’età attuale

 

Sono una food designer, vivo a Berlino ma sono nata e cresciuta nel sud della Germania, a Monaco. La mia famiglia ha sempre messo in cima alla lista la salute ed uno stile di vita sostenibile. Sono stata allevata con valori comuni e ho imparato, sin dalla mia infanzia, molto a riguardo del cibo e delle sue differenze. Davvero, sai, il cibo può cambiare assai la tua salute, il benessere e la concentrazione. Io lo sento subito non appena mangio qualcosa che mi rallenta.

Questa, quindi, è stata la prima ed importante sezione: conoscere il mio corpo e imparare tutto sul cibo. Mi accompagna ancora, sin da allora, Durante il lavoro e le mie sperimentazioni. Ho quasi (il 12 novembre!) 26 anni e gli ultimi sono stati molto intensi: ho imparato moltissimo su di me, sul cibo e sul design.

Per l’inizio di ogni progetto cerco di avere un’impressione dell’evento o del cliente. Di cosa potrebbe sapere? E come si sentiranno le persone che mangeranno? Certo, dovrò farli felici ma a parte questo è anche assai interessante condurli a farsi delle domande. Cosa c’è qui dentro? E perché non me ne sono accorto? Sono domande che accadono quando giochi con ingredient che non sono tradizionalmente usati per i dolci e quindi non te ne accorgi a prima vista. Per esempio le melenzane, i cetrioli, il finocchio, le zucchine…

Le persone si fondono con i pezzi che mangiano.

Dopo aver trovato il gusto preciso e perfetto del progetto, mi metto a progettare e disegnare. Ogni layout significa una sfida nuova. Lavoro anche con la statica e le costruzioni architettoniche, con semplici disegni e cercando di indovinare le combinazioni di colori e le strutture delle superfici. E’ sempre molto bello vedere le persone che prima vedono il mio cibo e pensano non sia edibile e poi, se edibile, pensano che di sicuro non sia saporito. L’unico punto di attrazione è sicuramente l’odore delle mie sculture. E l’odore è di solito molto forte e gustoso. Quindi, ogni volta per chi mangia il mio cibo è una sorpresa doppia sia per gli occhi sia per i sensi.

Tutto questo stupor fa sì che si ricordino di esso..

 

 

La tua idea di ‘progetto da mangiare’ o di ‘arte da mangiare’ sembra venire dal futuro perché applichi concetti e anche previsioni insieme senza dimenticare di dare un’esperienza fisica totale, a cominciare dall’istinto dell’appetito.

Mi sembra che metti una serie di cose insieme per chi mangia le tue torte: la scultura, i pezzi di arredo o il particolare set che disegni per esse, altri pezzi d’ambiente che sono esperienze coese a quella del mangiare, la forma dei dolci come se fossero dei preziosi.

Fai tutto questo perché secondo te l’atto del mangiare crea (e aumenta) gli spazi sociali e le geografie non viceversa?

 

Penso che possa essere entrambi. Certo, di sicuro gli spazi di relazione e le geografie creano cibi. Ad esempio gli gnocchi dall’Italia, il Ramen dal Giappone e la salsiccia dalla Germania. Queste sono, possiamo dire, le strutture originarie. Ma in questi giorni ogni cuoco e ogni cucina in ogni paese gioca su queste ‘barriere. Cerca di fonderle. Ad esempio sperimentando con l’intera gamma di ingredient da ogni parte del mondo ma mischiandli con determinati aroma locali, insomma fusion di tutti i tipi di ricette. Od, ancora, usando solo ingredienti regionali e di stagione ma cucinando con tecniche usate dall’altra parte del mondo. Direi che la riflessione e l’elaborazione sono le parti più importanti della crescita professionale e della creazione di qualcosa di meglio.

 

Col mio lavoro voglio, come giustamente dici, creare uno spazio sociale, creare qualcosa; le persone – che hanno aspettative sul cibo, sul piacere e sulle estetiche – possono star bene e fare esperienza e nel contempo essere parte del processo. Io creo installazioni mutevoli, che cambiano anche quando ho finito di lavorare sulla scultura e sull’installazione.

E cambiano attraverso chi le mangia. Dobbiamo, ad esempio, consumare oggetti edibili tutti nello stesso modo? Devono, questi oggetti, essere tutti uno uguale all’altro?

Le installazioni di cibo comprendono anche gli ospiti per cui sono fatte.

E’ solo per poco tempo, poi spariscono, ma allo stesso tempo anche restano nei pensieri delle persone. Per me è sempre una cosa nuova. Talvolta gli arredi che mostrano il cibo sono importanti, talvolta lavoro senza. Quello che non cambia è il modo in cui le persone mangiano, sempre con le mani. Questo rende l’atto del cibarsi più primigenio e puro, torna indietro a quando per mangiare occorreva guardare cosa si metteva in bocca e quindi lo si faceva con le mani.

 

Ogni volta che creo un nuovo concept, lascio evolvere l’intera cornice dell’installazione e per questo faccio qualsiasi cosa possibile. Talvolta uso del cement, qualche altra volta effetti di luce, oppure metallo o composizioni di materiali sospesi.

Una cosa è certa, immutevole. Uso solo cibo ed ingredienti freschi, naturali e di altissima qualità. Conosco bene il nutrimento e non potrei servire nulla che io stessa non dovrei mangiare.

 

 

Quale è stata la scintilla interiore che ti ha portata a lavorare in questo ambito e con questo approccio ‘architetturale’ e ‘sculturale? Hai dei maestri che ti hanno illuminata?

 

Hmmm nessun maestro, direi. Vengo dal settore della pasticceria, ho visto ed imparato tantissimo lì. E quando ho archiviato il fatto di essere in grado di fare tutto e bene, ho capito che non faceva per me nel lungo termine. Quindi sono andata per la mia strada e ho cominciato a fare il mio lavoro. Lavoravo in una famosissima pasticceria Viennese, e alla fine dirigevo una sezione di essa. Si trattava di progettare torte, occuparsi dei clienti, fare i conti, dirigere un gruppo di colleghi. Il mio supervisor, ed amica, era Anika e mi ha insegnato così tanto.

Quando iniziai ero così timida, prima ho imparato ad avere più fiducia in me stessa – è importante sia per te che per i colleghi (oltre che per i clienti). Ho poi imparato da lei come lavorare perfettamente con decorazioni eccezionali – e molto oltre.

 

Ed eccoci qui, il mio nuovo atelier in Prenzlauer Berg (Berlino) sarà pronto all’inizio del 2017 e sarà uno spazio bellissimo, rifletterà il mio stile

Dovresti venire a trovarmi quando è pronto.

Ho alcuni modelli di persone che hanno vissuto e lavorato in un modo che ammiro profondamente. Ma nessuna di loro è una persona famosa!

 

Per me lavorare duro è importante e lo è anche non allontanarmi dai miei valori sia nei progetti che nella mia professione. Voglio tenermi genuina e non voglio dimenticare l’altro lato, quello degli impiegati che lavorano per me. Penso questo accada finance troppo spesso. E non voglio neanche smettere di riflettere e di crescere.

 

 

Che relazione hai con i limiti nel progettare il cibo, ad esempio le intolleranze?

Oltre alle torte, hai anche progettato ‘arte da mangiare’ con gusto salato?

 

Dopo l’essermi scoperta allergica, conosco quella terribile sensazione quando sei davvero dispiaciuta di non poter mangiare qualcosa oppure quella che, quando puoi mangiare certo cibo che non ti causa intolleranza, sa di un biscotto vecchio e secco, che non ti va proprio di ingoiare. Non solo non è gustoso, ma ti costa anche il triplo di un cibo per non intolleranti!

Grazie alle mie ricerche, posso creare farciture e sapori che non dimenticano l’importante ricompensa del gusto! Certo, per ogni progetto occorre esaminare quale intolleranza si affronta e spesso le opzioni sono limitate ma anche in un range molto stretto puoi sempre creare, credimi, qualcosa di straordinario.

Lavoro anche con ingredienti salati, ma per ora solo nelle installazioni di pasticceria….Tuttavia chi sa questo dove mi porterà…

 

 

Il traguardo più importante come food designer e quello più private?

 

Penso che il più importante sia quello di aver visto che chi mangia ha capito il pensiero che c’è dietro. Lavoro senza compromessi sia sulla qualità che sul design e vedere come questo arrivi alle persone alle mostre o agli eventi è fantastico, dato che per certe cose non c’è mai abbastanza comprensione ed accoglimento in genrale. Certo, il mio lavoro non è per tutti ma è per qualcuno e questo qualcuno trova sia le domande che le risposte.

 

 

 

Cosa ti da la tua attuale città e cosa dai in cambio?

 

Berlino mi da molti podii ed eventi per il mio lavoro, l’opportunità per conversare con persone giovani e creative, qui anche quasi tutti i manager importanti sono in un certo modo rilassati ed interessati. Qui raggiungere le persone giuste è più facile, perché sono cadute da un tempo le barriere tra le classi.

Oltre a tutto ciò, l’industria del cibo è super interessante in città. Ci sono un sacco di cuochi creativi ed ambiziosi e tanti buoni ristoranti dove anche i giovani si sentono subito a proprio agio (almeno in molti di essi), perché sono sempre più quelli rilassati che quelli legnosi. Questo è molto importante perché la comunità appassionata di cibo qui è molto stretta.

Hmmm, cosa do io a Berlino? Immagino che io sia una parte che costruisce un ponte tra cibo e design. Entrambi sono importanti per me ed immagino per molte altre persone che vivono qui.

 

 

Una cosa bella capitata di recente?

 

Sono così tante al momento! Il mio nuovo atelier, le mostre e i progetti, dovrei dire. Ed anche una collettiva in cui sono stata invitata alla Berlin Art Week, un sacco di visitatori hanno apprezzato la mia installazione! Questo delle mostre è uno dei modi che uso per aprire il mio lavoro a chiunque, non solo a chi me lo commissiona. Di solito i miei clienti sono agenzie, società, coppie che si spostano o chi fa party privati e quindi quel che faccio è sempre riservato ad un ristretto numero di invitati.

E’ sempre molto carino per me quindi riuscire a servire le mie creazioni anche per chi non si sente di pagare per una installazione stravagante e lussuosa: possono venire a vederla, a gustarla e a farne esperienza con le mostre!

 

 

Quando non cucini per lavoro, cosa ti piace?

 

A casa mi piacciono ingredienti freschi ma non sono ricordata tra gli amici per un piatto in particolare. Mi piace cucinare con e per gli amici e sono sicura che anche loro impazziranno per il mio nuovo atelier così come me: lì avrò molto più spazio e atmosfera per cene con chi amo. Mi piace sia il cibo salato che quello dolce. Deve essere ben stagionato e per i dolci (così come accade al lavoro) preferisco quelli poco dolci fatti con ottimi ingredient per creare il gusto più eccezionale possibile.

Il cibo può essere preparato sia in modo sempliche che complicato, per me fa lo stesso: alle volte ti piace in unmodo e alle volte lo vuoi in un altro. Bere vino e ascoltare buona musica completa il quadro perfetto per me.

 

 

E cosa ti piace bere?

Vino rosso, e anche scotch.

Se un cocktail, mi piace un fantastic Gimlet (raro trovarlo) o un Old Fashioned. Ma quando devo lavorare tanto, bevo solo tè e un bicchiere di rosso la sera.

 

 

La musica ed il libro con te ora e dove è poggiato?

 

Mi piace la musica classica (Chopin, Beethoven), il Rock’n’Roll e cose tipo Ray Charles, Otis Redding, Robert Palmer, ma anche ottima elettronica (Darkside, Stimmig, Group Rhoda, Moderat, Nicolas Jaar) così come cose lente e malinconiche come Tindersticks, Douglas Dare, Marc Hollis e James Blake.

Libri, al momento (leggendolo lentamente perché non ho molto tempo) ho sul comodino Die Welt von gester di Stefan Zweig.

 

 

Il posto dove sei riuscita a vivere lentamente se è mai accaduto sinora?

 

Ho vissuto in Australia con un ex fidanzato qualche anno fa. Lì lo stile di vita è lento. Tutti si godono la vita, non si stressano poi mica tanto e tu impari ad adattarti a questo e a rilassarti.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

 

Penso quello di restare calma anche nei momenti di maggiore stress. Ho bisogno di tempo per far evolvere una nuova creazione e poi mi sento tranquilla, non importa quello che succede durante, riesco a restare professionale. Del pari, devo avere qualche talento anche nel mettere assieme colori, forme e combinazioni di gusti J

 

Mi manca usare bene il computer. I miei genitori lavorano nell’IT ma io non ho preso molto da loro. Certo, imparo mentre ci lavoro ma sono disadattata!

 

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

 

Che è sdolcinata ma è vera. E che quando senti (e segui) i tuoi istinti, di solito non sbagli. Se ti pieghi per qualcosa, non funziona per molto. E’ importante restare interessati a qualcosa, lavorarci sù e intersecare tutto questo ad una reale conoscenza ed ai sentimenti, al duro lavoro cercando di seguire degli obiettivi. Potrebbero cambiare nel tempo ma non importa, il processo è del pari importante. In questo modo non sbaglierai più di tanto.

 

 

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