Laura Bianchini, compositrice, Trevi

Liberamente ispirata alle poesie della raccolta Mediterraneo di Anna Maria Mazzoni, Luna Doppia è un brano breve ma intenso e assolutamente celestiale che raccoglie suoni antichi (e suoni mai uditi) in grado di ‘riprodurre acusticamente’ il brillare della Luna sull’acqua, sulle superfici. E molto altro ancora: ogni anima in ascolto risuonerà con quei nove minuti composti a computer. Ognuno secondo il proprio vissuto seguendo le sensazioni che suscita.

Più che riprodurre quel brillare di luna, Luna Doppia lo immagina e lo crea perché ovviamente ‘di suo’ questo fenomeno non ha suono: semmai ad avere una ‘marca’ sonora sono i paesaggi in cui ci capita di osservarlo.  Insomma è una composizione con spiccate doti ‘spaziali’ che permette alla mente di immaginare un viaggio in quella scia di luce. Che penso molti di noi abbiamo almeno una volta desiderato possedere.

E’ un’esperienza con doti taumaturgiche, che sfiora addirittura certi territori della cura che io considero affini allo sciamanesimo o comunque a una inconsueta – per le nostre tradizioni – esperienza di presa in carico profonda. Della mente, dei propri vissuti e di certe ossessioni.

Non potevo che incontrare chi quel pezzo l’ha composto, Laura Bianchini (compositrice nata a Trevi nel Lazio nel 1954), scoprire chi era e da dove veniva tutto questo.

 

 

Viene da una famiglia di musicisti…

No, per niente. Contadini di montagna, fino a quando ci siamo trasferiti a Roma all’inizio degli anni Sessanta.Molto determinati e provati dalla fatica  del lavoro.

 

 

Nessun fronzolo, nessuna indulgenza verso cose altre, nessun….

Niente, assolutamente niente.

 

 

Neanche la cultura?

La cultura sì. Devo moltissimo ai miei e soprattutto alla mia nonna paterna che è una persona che purtroppo non ha avuto modo di studiare visti gli anni in cui è vissuta. Le donne, specialmente, non avevano grandi possibilità ma lei ha imparato a leggere (e a scrivere) da sola. Nel tempo ha coltivato questa sua passione – certo, leggendo i Messali e quel poco che trovava.

Mi ha trasmesso una capacità di comunicazione attraverso il racconto perché lei era bravissima a raccontare storie ed io stavo ad ascoltarla per ore. Ho coltivato questa dimensione dell’ascolto a lungo. E devo tutto a lei.

 

 

La percussione del tamburo, forse il suono più ancestrale, è legata molto alla trasmissione del sapere. In molti paesi di cultura orale ‘la biblioteca vivente’ che racconta storie usa questi suoni per attirare l’attenzione all’ascolto. Dallo sciamanesimo a certi ritmi che possono accarezzare a tal punto il diaframma da operare coinvolgimenti ‘fisici’ del nostro corpo (specialmente per suoni bassi e prepotenti) fino al livello ‘onirico’ del nostro coinvolgimento….

Ho lavorato molto su questo, scrivendo altri pezzi per percussioni che partono proprio da questa idea dello sciamanesimo ma soprattutto da quella del suono ancestrale, del bisogno di esprimersi attraverso il ritmo, soprattutto il ritmo della percussione che in qualche modo si associa anche se in maniera diversa ai ritmi biologici. E che quindi riesce a risvegliare la coscienza e le ‘storie’ ancestrali. Si lavora sull’archetipo, su quelli che sono i fondamenti dell’esistenza umana e che ognuno di noi porta come bagaglio sia nel proprio DNA sia in quello ‘culturale’.

 

 

Da quella famiglia di background contadino come è arrivata alla musica?

Intanto attraverso la determinazione che è proprio tipica di queste persone: soprattutto i contadini di montagna faticano tantissimo per avere un minimo risultato. Anche quasi una sfida a superare il limite, la difficoltà. E poi, la musica mi ha sempre accompagnata. Ho partecipato a cori dalla prima classe fino alla maturità e l’ho sempre praticata anche se in forma amatoriale.

Non essendoci una cultura specifica sulla musica, la mia famiglia la considerava come un diletto non come un mestiere. E sono cresciuta con questa convinzione: ho iniziato, giovanissima, a lavorare presso una società multinazionale ma sin dal primo giorno mi sono detta che non ci sarei rimasta a lungo. 

Ho conosciuto delle persone che mi hanno avviata agli studi musicali e per fortuna ho recuperato in seguito velocemente.

Ho sin da subito orientato i miei studi verso la composizione perché avevo un’esigenza espressiva di fondo. Anche se non mi sono mai occupata di musica in maniera professionale nella mia gioventù, nel mio passato ho sempre attraversato un po’ tutte le arti (dalla letteratura alla pittura). Infine, tra le arti è la musica quella che mi ha ‘rapita’.

 

 

Ha sempre avuto una cifra avanguardistica? Ha sempre, per dire, avuto come ispirazione brani più alla Cage che alla Boulez?

No, non ho mai pensato di scrivere musica avendo come riferimento uno o l’altro compositore. Considero Cage e Boulez dei grandi ma ho sempre pensato di dover iniziare con “strumenti” nuovi non codificati.  Sono partita da una necessità creativa che rimettesse in discussione il linguaggio, per questo mi sono dedicata contemporaneamente allo studio della Composizione secondo la scuola sperimentale e alla Musica Elettronica.  E’ una sorta di tabula rasa che ti permette di non avere preconcetti ed idee o schemi formati. Parallelamente ho fatto gli studi classici di musica richiesti ad ogni compositore: Armonia, Pianoforte, Lettura della partitura, Storia della musica…

 

 

La sua musica è in grado di passare dall’ambient ad una miriadi di altri stili o definizioni in un solo ‘brano’ (che forse non è una parola adatta come non è la parola più usata, ‘composizione’). Potrei tentare ‘brano di vita’ perché lei precipita l’ascoltatore in qualcosa di ‘inaudito’ eppure prossimo. In uno stato molto profondo. Ciò detto, riesce ad avere e non avere nessun genere, pur rimanendo nell’elettronica. Può dirci di più?

Questo è molto vero. Parto da una necessità espressiva e i miei temi sono di carattere esistenziale ed inevitabilmente toccano tutti. Parto da un’idea o da un evento sonoro che stimola un’idea e cerco, attraverso l’approfondimento di delineare contenuti, forme e tecnologie da utilizzare. E’ un lavoro di ricerca che richiede non solo lo studio dei materiali  e degli strumenti più idonei ma dei modi di comunicazione artistica, del contesto, dello spazio di diffusione  perché le modalità di fruizione sono parte del processo di comunicazione artistica. La psico-acustica (disciplina che studia le modalità di percezione soggettive umane del suono), è di grande supporto e offre informazioni importanti che permettono al compositore di calibrare gli elementi musicali messi in gioco.  Tra i miei studi in passato c’è stato anche quello della psicologia che mi ha permesso un approccio semplice e naturale ad un certo tipo di comunicazione artistica, che per essere tale,  deve coinvolgere il piano emotivo. 

Per arrivare a suscitare l’emozione occorre un gran lavoro.

 

 

Però lei conosce l’alchimia, riesce a proiettare qualcuno dovunque lei voglia. E’ talmente potente l’effetto che riesce a dare che mi viene da dire che conosce qualcosa in più e non è solo un esercizio di stile (seppur magistrale), lei tocca delle corde con dei suoni. Fa parte della ‘psico-acustica’? Che penso a questo punto possa essere anche qualcosa di tremendamente pericoloso…

Il mio è un lavoro di ricerca, cerco di capire cosa e come comunicare un pensiero. Sì, la psico-acustica è importante, certo, dipende da come viene utilizzata ma non è  sufficiente.

Mi spingo un po’ oltre.

La necessità espressiva nasce anche da un’esigenza di uscire un po’ da sé e condividere un’esperienza di dolore esistenziale che per quello che mi riguarda è stata ed è tuttora forte.

Attraverso la musica riesco a sublimare quest’aspetto del dolore e ad aprirlo anche ad altre condizioni. I miei brani non sono drammatici, o almeno non tutti! Direi che ci sono anche molte composizioni molto divertenti, accattivanti e composte per i bambini: anche questi brani sono stati pensati per accogliere un coinvolgimento profondo sia dell’interprete in prima persona, sia del pubblico, ovviamente.

 

 

Nel momento in cui compone userà degli strumenti di scrittura molto diversi dagli altri compositori…Alla #BiennaleMusica2018 il suo interprete – Philippe Spiesser – ha suonato anche nel secondo pezzo con una miriade di oggetti ‘emettitori’ che sono stati sapientemente orchestrati (senza parlare del tamburo ‘aumentato’…). Lei ha creato una serie di momenti sonori del tutto inconsueti. Che segni usa per scriverli sulla partitura e come hai fatto a decidere che quel tipo di stoffa, tubo, perlina di vetro ….quel tipo di oggetti …andassero messi in quel modo?

E’ un’alchimia ma la cosa più importante è l’idea. 

Specialmente in Luna Doppia dopo aver letto il poema che mi ha ispirata ho avuto subito chiara la forma del lavoro e l’ho scritto in pochissimo tempo. L’ho scritto utilizzando suoni concreti ed elettronici. I materiali sono variegati e sono presi anche da piccoli suoni delle cose, piccoli oggetti (ampiamente trasformati) e suoni puri elettronici che creano ovviamente il collante.

 

 

Che software usa?

Nella prima fase, quando io e Michelangelo Lupone abbiamo fondato il CRM, i sistemi che avevamo realizzato, il Fly 10 e il Fly 30 erano in grado di lavorare in tempo reale generando suoni ma anche utilizzando controlli molto sofisticati. Nel caso del Fly 30 anche di elaborarli perché in grado di garantire una precisione numerica molto elevata che consentiva l’uso di algoritmi complessi come il filtraggio digitale in tempo reale.

Ad esempio, in una mia composizione del 1991, Universi aperti, ho utilizzato filtri del 13° ordine e superiori per l’elaborazione del pianoforte, che consentivano ai suoni ‘percussivi’ tipici dello strumento di estendere le risonanze e di modularle, grazie proprio a questa tecnica di elaborazione. E’ stata un’esperienza molto importante.
Ora utilizzo sistemi vari che il mercato mette a disposizione, non ha molta importanza cosa si usa ma la consapevolezza del mezzo che si sta usando per poter ottenere il risultato desiderato.

 

 

I tamburi ‘aumentati’ che avete appena portato in scena sono una specie di ‘bestia controllata’ come dice Michelangelo. Io li immagino suonati nella loro pienezza. Avete mai provato a dare alla potenza di questi oggetti da voi creati un fine di ‘cura’ o una sensazione fisica?

Come no! Abbiamo sviluppato un programma che si chiama ‘Musica-Emozioni’ con l’Università Tor Vergata (specificamente con l’Unità Psichiatrica del Policlinico) che lavora con pazienti con disabilità psichiatrica. Abbiamo organizzato degli incontri e degli stage per vedere se le forme d’arte innovative scultoreo-musicali adattive e l’uso di uno strumento interattivo come il Feed-Drum® realizzati al CRM potessero stimolare i pazienti psichiatrici, soprattutto schizofrenici, per i quali il problema maggiore è la relazione e la comunicazione con l’altro.

Attraverso questi stage abbiamo cercato di stimolare una reazione in queste persone.

La sperimentazione continua da sette anni. Il programma è tuttora svolto in forma di ‘stage’ perché la ricerca non ha fondi, occorre un’équipe importante che lavori con continuità per portare avanti questo progetto.

I risultati sono stati ottimi. Venivano pazienti che prima di entrare in ‘stage’ non parlavano. Uno in particolare emetteva solo un fischietto, non parlava e non rispondeva – qualsiasi cosa tu gli dicessi.  Dopo un anno questo paziente era un altro: ci parlavi, ti rispondeva su tutto, ci faceva domande. Ci diceva anche perché gli era piaciuto lo strumento. Una cosa pazzesca! Questo grazie anche al tipo di lavoro svolto dai tecnici di Tor Vergata che quotidianamente trattano i pazienti non solo con farmaci ma attraverso attività artistiche (musica, teatro e altro).  

 

 

Quando ascolta musica che non è sua, cosa ascolta?

Di tutto. Intanto c’è una deformazione professionale: non si può non ascoltare quindi chiaramente entra in gioco anche questo aspetto.

Però se non scatta un coinvolgimento e una partecipazione all’ascolto allora significa (per me, naturalmente) che manca qualcosa e smetto di ascoltare, dopo un po’ m’annoio.

 

 

E quando è in treno cosa si porta?

Niente musica, preferisco leggere.  

 

 

Ultimo libro che ha tra le mani?

C’entra poco con la musica: è un libro che si occupa del benessere delle persone – autore un medico italiano che ha sviluppato una sua teoria sull’alimentazione e sulla dieta. Una cosa che mi ha preso molto. 

Sono eclettica, spazio da una cosa all’altra senza soluzione di continuità, leggo di tutto, quando posso. La poesia l’ho scoperta tardi ed è stata una folgorazione, ho scritto anche qualcosa ma non le ritengo ‘poesie’. Sono considerazioni scritte in forma aforistica.

 

 

La Rai ha pubblicato un disco delle vostre composizioni insieme a scrittori….

La Rai ha lanciato l’iniziativa. Si trattava di sedici radio-film realizzati da compositori in collaborazione con scrittori che sono stati trasmessi alla radio. Michelangelo ha lavorato con Enrico Palandri ed io con Susanna Tamaro (prima che diventasse famosa) su un testo straordinario che si chiama Per voce sola che lei ha riscritto dopo che ognuna l’ha riletto per conto proprio annotando passi significativi. Io poi l’ho messo in musica dopo aver lavorato alla sceneggiatura. I nostri lavori sono stati pubblicati su CD, assieme a quelli di altri tre compositori, dalla casa editrice Edi-Pan di Roma e anche portati in teatro in forma scenica.

 

 

La psico-acustica ha fondi di ricerca?

Non molti, in Italia per niente. Abbiamo avuto modo di affrontare uno studio approfondito sulla psico-acustica in occasione di una commissione a parte di un’industria automobilistica nell’ambito di due progetti europei triennali di ricerca (si trattava di studiare la qualità e il controllo del rumore nelle auto) che ci ha permesso di acquisire delle conoscenze utili per le nostre sperimentazioni. Di recente abbiamo avuto altri progetti ma non c’è continuità.

 

 

Mecenati, supporter? Chi sono i committenti che vi chiedono composizioni? 

Senza ombra di fraintendimento, i committenti sono essenzialmente esteri. Nel mio caso soprattutto francesi, i più attivi e sensibili alla musica contemporanea.

 

 

Dove si possono comprare le sue esecuzioni, ad esempio Luna Doppia è inedita…

Attraverso il CRM, dove è possibile crearsi la propria raccolta. Non abbiamo un editore. Con i radio film l’abbiamo ma non si è mai preoccupato di pubblicizzare e promuovere questo lavoro….

Abbiamo pertanto deciso, io in particolare, di non avere un editore. Chi è interessato al nostro lavoro ci può contattare direttamente.

 

 

Cosa ha imparato sin qui dalla vita

Un sacco di cose. Crescendo si impara tantissimo. 

Sicuramente ho imparato ad avere più fiducia in me. Un lavoro importante che è durato molti anni.

 

 

– – –

Laura Bianchini ha collaborato alla realizzazione di sistemi elettronici per la musica, tra questi il Fly10 nel 1983, uno dei primi sistemi digitali italiani per la sintesi del suono in tempo reale progettato da Michelangelo Lupone (suo partner in CRM, Centro Ricerche Musicali). 

La sua produzione musicale include lavori strumentali, elettronici e opere per la radio. 

Per diversi anni ha lavorato alle relazioni tra testo e musica e sulla fiaba musicale collaborando con scrittori e registi (Susanna Tamaro, Giorgio Pressburger, Gustavo Frigerio, Ida Bassignano, Luca Ronconi). 

Dal 2003 il suo interesse si è sempre più focalizzato su nuove forme d’espressione musicale, come le installazioni sonore d’arte, opere che integrano lo spazio scenico e d’ascolto alla musica e agli strumenti di diffusione del suono, utilizzando tecnologie progettate al CRM. 

Vincitrice del bando “Arte sui Cammini” indetto dalla Regione Lazio, realizzerà assieme all’artista Licia Galizia nel 2018 il progetto “Via dei Canti”, tre opere scultoreo-musicali permanenti lungo il Cammino di San Benedetto a Trevi nel Lazio. 

Luna Doppia è stato il brano di apertura – in prima assoluta – di un concerto con altre tre composizioni del CRM alla Biennale Musica 2018 intitolato Le chant de la matière.

 

Per saperne di più: http://www.crm-music.it

 

#CrossingTheAtlantic

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