Leopoldo Caggiano, regista

Leopoldo Caggiano è un giovane regista che vive a Milano.

 

Stili di vita, fantasie, vita reale: li sommi tutti, ma ci aggiungi anche ottimi ‘sogni’. E, peraltro, oltre a definirti un regista ti definisci un sognatore. La tua ricetta segreta per tenere insieme sogni e realtà in uno stesso film?

 

Ce ne son parecchi di modi in cui puoi – e dipendono da quale genere di storyteller sei: ad esempio l’illustrazione, l’animazione, gli effetti speciali. Io tengo sogni e realtà insieme nei miei film dimenticando i sogni e facendo sì che la realtà vi abbia accesso. La realtà è più forte dei sogni, per quanto mi riguarda. Scolpisco la realtà attorno ai sogni e non viceversa. Non faccio niente che sia fuori dal mondo così come lo conosciamo oggi, esattamente qui ed esattamente adesso. Cerco di restare ancorato alla realtà delle cose e di parlare di sogni attraverso i comportamenti dei miei personaggi.

 

Mi piace molto quando qualcuno riesce a fare qualcosa di astratto molto tangibile ed esperibile nel mondo reale, senza l’aggiunta di elementi estranei alla realtà stessa.

 

 

Il Leopoldo regista scolpisce il mondo a partire dalla sua vita, dalle difficoltà e dalle esperienze oppure la biografia dell’uomo è tenuta da parte ogni volta che crei una storia?

 

Non è certo una domanda facile per un narratore perché penso un po’ tutti scriviamo la storia che vorremmo leggere, tanto per cominciare – immagino. In questo senso, esiste sempre una piccola parte di te che non puoi ignorare. Considerando la mia esperienza di scrittore e filmmaker, ho sempre cercato di evitare di scrivere qualcosa che mi è accaduto veramente in modo letterale. Scrivendo film faccio l’opposto: scrivo liberamente della vita reale di altri, o di quello che immagino accadrebbe al personaggio. Solo quando termino la fase di scrittura, ne trovo la ricchezza con l’analisi di ciò che ho scritto attraverso la mia stessa vita: cerco di capire cosa ha veramente significato quando l’ho scritto e cosa comporta. In questo senso, quindi, applico la tattica in modo opposto. Prima il personaggio, poi io.

 

 

Come abbiamo visto nel tuo Dear Susie all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, oggi il mondo delle relazioni interpersonali è talvolta inscatolato in puri nonsense e non è facile esprimerlo.

Ci sembra tu scelga un mezzo ormai dimenticato, le lettere scritte su carta, per cercare di comunicare con una ragazza che ti piace. Forse la ‘corrispondenza’ è qualcosa che usi come una metafora oppure la usi ancora tutti i giorni?

 

Scrivo sempre i miei appunti su carta perché amo quel particolare segno della parola che non rintraccio nei byte o nei pixel dello schermo. La carta ha qualcosa che i telefoni stanno perdendo, che è la ‘tempistica’.

Uso la corrispondenza cartacea per comunicare con la mia fidanzata, o con altre persone, con l’intento di far loro sapere che il messaggio scritto sulla carta si riferisce ad un singolo momento della nostra vita, e quando lo leggono è cruciale nella sua veicolazione. Un messaggio sul telefono può essere letto e riletto ovunque, miliardi di volte. Un messaggio scritto su carta ha bisogno che la carta sia in un luogo, che tu sia lì nello stesso posto e occorre che tu lo trovi. Non viene da te, tu vai da esso la maggior parte delle volte. O se viene da te, significa che c’è qualcuno che lo porta. Ecco perché ho usato la forma della lettera in Dear Susie, ho pensato che fosse divertente ed al contempo molto profonda. Leo vuole veramente consegnare la lettera alla ragazza, è chiaro che non vuole semplicemente aggiungerla agli amici di Facebook. Anche il telefono è sulla scena, potrebbe inviarle un messaggio di testo, ma non vuole. Vuole trovare il momento perfetto per raggiungerla con una lettera.

 

Mi piace giocare con l’idea del ‘Tempo’, per aggiungere questa qualità a ciò che potrebbe essere fatto con un telefono o con un computer.

 

 

Che posto ha nella tua vita la scrittura, e specialmente la scrittura creativa?

 

Scrivo molto, tutti i giorni. Messaggi, piccole annotazioni, raramente qualcosa di lungo o complesso. La complessità di ciò che mi piace scrivere in un messaggio creativo è sempre la somma di tutti i piccoli momenti che colleziono ogni giorno. Mi piace interagire con le persone e la raccolta di questi momenti, l’unione di tutte le cose che sono accadute diventa il mio pezzo, il mio corto, il mio film.

Mi piace che le persone si divertano con quel che scrivo perciò tendo ad usare la scrittura creativa ogni giorno; non uso tante emoticon, non uso tante abbreviazioni, cerco sempre qualcosa un po’ più piena di immaginazione anche in un messaggio di testo o in una chat.

 

Tutto ciò talvolta è assai stancante, ma la mia ricompensa consiste nell’essere in grado di comunicare sentimenti e non solo cose.

 

 

E gli incontri che fai abitualmente quando lavori?

 

Una delle ragioni più importanti per cui ho scelto il mio lavoro è perché adoro lavorare con gli altri. Non potrei lavorare da solo a casa o in ufficio per creare. Preferisco avere amici attorno quando scrivo o monto i miei film. Ma, di solito, sono molto complesso e non è molto facile accettarlo per me. Uno degli incontri recenti è stato con un elettricista che voleva diventare un direttore della fotografia, calvo e senza peli. Era così bravo nel suo lavoro che per me è stato davvero un grande dono parlargli, lui, così appassionato.

 

Questi incontri facilitano la vita, soprattutto nelle sue asperità, e mi fanno pensare subito a come vado con le mie cose.

 

 

E tu da lettore? Il libro con te adesso qual è e dove sta?

 

Zen and the Art of Archery (una storia breve scritta da Eugen Herrigel). E’ stato un consiglio dal mio primo, ed unico, maestro di tiro con l’arco. Parla della filosofia di questa disciplina. La maggior parte dei libri che leggo sono consigli di altri, in questo modo riesco ad aggiungere altri punti di vista al mio. Il libro che sto leggendo è sul mio divano, l’unico posto della casa dove mi fermo e mi dimentico del mondo fuori. E’ semplicemente il posto in cui sto.

 

 

E la musica con te ora?

 

La colonna sonora di un film dei fratelli Cohen, Inside Lewis Davis, un misto tra folk e country in un film che parla di tristezza. Ogni canzone è semplice, umana, spesso consiste soltanto di uno strumento e voce. Questa musica mi ricorda che anche nella tristezza c’è qualcosa che deve essere perseguito.

 

 

Una cosa bella capitata di recente, come persona?

 

Io sono felice della vita ogni singolo giorno, quindi mi è difficile scegliere. Mi spiace che tutte le notizie che posso condividere ora con te siano in qualche modo legate sempre al mio lavoro. Se dovessi scegliere un momento in particolare, quella sensazione straordinaria con la mia famiglia a Venezia quando presentavo Dear Susie, circondato da loro, dalla mia donna, dai miei amici, dalla crew. Sono momenti come questi che mi fanno sentire davvero creduto, quando il lavoro non sembra lavoro.

 

 

Cosa ti da la tua città e cosa tu le dai?

 

Sono appena tornato a Milano. Per avere i miei amici attorno e la vita vicina. Vivere qui è stressante, una sfida, ma è anche una grande ricompensa. Non so esattamente cosa sto dando a questa città, mi ha dato amicizia e sento di darle lo stesso in cambio. Penso di solito più a livello ‘globale’ che ‘locale’. Ho vissuto a Milano sin dall’inizio della mia carriera, lavoro per crescere nel mio lavoro e per nutrire la sua cultura, cerco di essere connesso con persone dello stesso tipo e cerco di restituire loro un sacco di energia positiva.

 

 

La tua passione culinaria preferita?

 

Adoro parecchio cucinare. La mia passione è la preparazione, il processo precedente alla cottura. Mi piace scegliere gli ingredienti, prepararli al meglio prima di cucinarli. Mi piace anche sperimentare, prima imparando la ricetta e poi seguendo l’istinto

 

 

E la tua bevanda preferita?

 

E’ molto da ragazze, il Moscow Mule.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

 

Penso di essere bravo a raccontare storie ed intrattenere mentre lo faccio. Ho scelto il cinema come mezzo, ma mi piace considerarmi uno che potrebbe scegliere qualsiasi mezzo per raccontare una storia. Riguardo i talenti che mi mancano…ahhh ne ho così tanti che mica so da dove cominciare! Forse l’essere veramente ben organizzato è uno di questi.

 

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

 

Noi umani siamo la specie più interessante, ed imprevedibile, del pianeta. Ho imparato che non puoi tracciare un solo percorso per gli umani, perché ognuno di noi, prima o poi, improvvisa la propria vita a suo modo. Forse il destino esiste, forse no, ma la cosa principale è che dobbiamo averci a che fare.

 

 

Per saperne di più sui film di Leopoldo: https://vimeo.com/leopoldocaggiano

 

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