Mark Cousins, Edinburgo

 

La tua biografia in poche righe, con magari qualche accenno in più sui tempi dell’infanzia

Sono un nord-irlandese che vive ad Edimburgo, sono un lettore lento e cerebrale, felice e brizzolato, sono in cerca di meraviglia e sono irrequieto.

Sono un filmmaker vano, gentile – e sono uno scrittore che è cresciuto nella Belfast durante ‘i problemi’, che ha studiato cinema, arte e filosofia, che è stato con la stessa donna per trent’anni, i miei film trattano temi come il camminare, i bambini, il recupero e l’innovazione. Due miei libri tra poco escono anche in Italia (La Storia del Film, La Storia del Guardare), sto per completare un film su Orson Welles, ho scalato la famosa insegna Hollywood nudo, il mio artista preferito è Tintoretto, sono un professore onorario di cinema, sono influenzato dal surrealismo, mi annoio facilmente, il mio scrittore preferito è James Joyce, il mio regista preferito è Imamura Shohei.

 

Meglio che te lo dica subito e all’inizio di questa chiacchierata. Io ho fatto la strada di ‘A Pilgrimage’ – un festival di cinema peripatetico nel puro senso del termine che hai organizzato e prodotto con Tilda Swinton nelle più remote aree della Scozia nord-occidentale. Non ho fatto ‘la strada’ durante il festival purtroppo, ma solo dopo solo per scoprire i posti che avevate scelto.

Cosa c’era dietro questa idea straordinaria e ci sarebbe magari l’opportunità di rivederlo in scena?

Sono stato educato in un ambiente cattolico e quindi noi siamo usi ai pellegrinaggi. Siccome sia io sia Tilda pensavamo e pensiamo che il cinema sia la nostra religione, abbiamo deciso di mostrare quanto fossimo devoti ad esso in un modo speciale, facendo girare un cinema mobile che pesava 37 tonnellate intorno a piccole città e villaggi dove prima un cinema non era mai arrivato. L’idea era quella di fare qualcosa di potentemente visivo, divertente, accessibile, assai devoto, memorabile ed innovativo. Nessuno l’aveva mai fatto, ecco perché abbiamo voluto farlo noi.

 

E la scintilla dietro la tua ultima fatica da regista?

Il mio ultimo film, Stockholm My Love, parla della grande musicista Neneh Cherry. E’ un film sulla città e racconta la storia di un architetto (interpretato da Neneh) che si ripiglia da un incidente che rappresenta quasi un elettroshock nella sua vita. E’ in un certo senso un musical – uno triste però – e parla di come ci riprendiamo da momenti duri e difficili. E’ stato girato insieme al grande direttore della fotografia Christopher Doyle.

 

Hai appena terminato un bell’impegno: sei stato tra i giurati della 74ma Mostra del Cinema di Venezia (sezione Orizzonti), dove ci siamo conosciuti durante le meravigliose proiezioni selezionate nella sezione di cui ti occupavi.

Sei d’accordo anche tu, come Annette Bening, sulla qualità eccezionale delle sceneggiature e degli script in questa edizione ed in tutte le sue sezioni?

Non sono mai stato convinto che lo script sia il cuore del film o, anche, un punto di partenza. Abbiamo visti sicuramente film dalle grandi storie – per esempio quello islandese Under the Tree, l’iraniano No Date No Signature, il cileno Oblivion Verses, Nico, l’algerino Les Bienheureux, etc, ma il più innovativo che abbia visto, ad esempio, è Caniba e non aveva lo script.

 

Più in generale, qual è la magia che ti rende impaziente di fare un film, quando si tratta di parole e di storie, documentassimo oppure un misto tra finzione e realtà? Qual è secondo te il portato della cultura ‘nazionale’ nel leggere le storie e la vita reale quando adatti (o scrivi) una sceneggiatura?

L’attrazione del cinema è quella che è: il mito e la magia. E’ una vita surrogata ed un viaggio nel tempo. Io ho fatto un film interamente di finzione e molti altri che potresti definire di ‘realtà poetica’. Creare è un istinto fortemente umano. Creare qualcosa che ci assomigli ma che sia, in un certo senso, astratto o spiritualizzato o adornato. Guarda alle meraviglie scoperte a Knossos (Creta) o in Africa o nell’America centrale. Lo stato più prossimo al naturale credo sia un ibrido tra reale e immaginato.

Se esaminiamo il modo di fare cinema nei differenti paesi del pianeta, possiamo sicuramente vedere delle specifiche nazionali – le disquisizioni morali in Iran, la nudità in Scandinavia, il laissez-faire romantico in Francia, il pessimismo in Russia, etc. Ma oltre queste caratteristiche nazionali, c’è qualcosa di universale nel linguaggio del cinema ed è nell’estasi, nel rapimento che provoca nel pubblico. E’ più grande della vita, sublime: ti sopraffà ed è luminoso come l’estate, straboccante come una spiaggia.

 

Tu come lettore: che luoghi, che bisogni, che storie

Leggo molta storia e molta filosofia. Raramente leggo fiction, ad essere onesto, a meno che non sia densamente letteraria..!

 

Ed il libro e la musica con te ora?

Hope in the Dark di Rebecca Solnit; il nuovo album di Mogwai Every Country’s Sun.

 

Cibo e bevanda preferiti?

Adoro lenticchie, menta, cumino, chiodi di garofano, limone. Molto mediorientale.

 

Dove ti vedi da qui a dieci anni?

Tanto felice ed appagato che non ho quasi nulla da cambiare. Continuo ad essere creativo e salutista (mio padre morì a 56 anni)

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

A puntare in alto. A ballare. Ad essere onesto. A lavorare duro. Ad andare ai funerali. A non prendere i taxi. A non essere un testa di cazzo.

 

 

Mark Cousins (1965) è un regista, sceneggiatore, scrittore, critico di film ed il precedente direttore dell’Edinburgh International Film Festival.

Per saperne di più sui suoi film e libri:

https://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Cousins_(film_critic)

https://about.me/markcousins

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