Nacéra Belaza, Parigi

La tua storia in poche righe

E’ piuttosto lunga ma la faccio breve. Sono nata in Algeria e quando i miei parenti vennero in Francia avevo 4/5 anni; da allora sono cresciuta lì, in una città vicino Parigi. Ho studiato letteratura francese e allo stesso tempo ho iniziato a danzare. Non ho mai preso lezioni perché prima di tutto non potevo quando ero giovane e poi, dopo, non era più possibile perché avevo bisogno di trovare la mia strada – da algerina che vive in Francia tra due culture, avevo il mio modo di sentire il corpo. Ogni coreografo ha la sua filosofia e la sua visione del corpo – è molto importante restare fedeli ad essa e non fare cose a caso. Ho fondato la mia compagnia e allo stesso tempo ho finito i miei studi perché amavo la letteratura e la poesia e questo modo di pensare e di scrivere scene di vita aveva un grosso impatto sul mio lavoro. Non penso di lavorare tipicamente da coreografa, sono molto sensibile sul palco, a come gli elementi della scena si combinano insieme, come interagiscono: ho davvero bisogno di sentire una drammaturgia forte in tutti i pezzi. Dopo gli studi mi trasferii a Parigi.  

 

 

La tua danza assomiglia alle poesie. Agisci come un compositore, accompagnando il pubblico e aiutandolo a completare delle sensazioni e, meglio, a capire cosa sta provando e ad agire nella sua stessa magia.

Questo è molto importante per me, mi sono resa conto molto presto e proprio all’inizio della mia pratica che non voglio condividere idee sul palco, non voglio dire loro cosa pensare e come farlo. Voglio stabilire con il pubblico una connessione differente da tutto questo. Quel che voglio creare è un certo tipo di spazio vuoto – non è completamente vuoto – e usare questo spazio per collegare i danzatori, lo spazio, tutti gli elementi ed il pubblico. E quando accade, il pubblico inizia a connettersi con il suo spazio interiore e la sua immaginazione ed inizia a lavorare. E’ questo quello che cerco: usare la sua immaginazione, vedere cose in questo vuoto. Per questo i danzatori devono lavorare assai duro per non farsi limitare da quest’immaginazione o dalla percezione di questo pubblico. Quando poi riusciamo a creare questo spazio comune – e quindi quando permettiamo all’immaginazione del danzatore e del pubblico di sbocciare e anche di quella del momento – allora significa che ho raggiunto il mio obiettivo di creare un pezzo.  

 

 

La tua danza sembra utilizzi le tecniche della metrica (quella della poesia) anche se non ti interessa quella pomposa e barocca: preferisci invece la minimale, quella più genuina. Che valore ha la poesia nel tuo lavoro e quando inizi a comporre la tua coreografia? Per caso condividi un libro o alcuni versi con i tuoi danzatori?

Non lavoro con nessun supporto del genere, poesie e racconti, penso invece che la mia scrittura coreografica sia molto istintiva e accada sul palco, usando tutti gli elementi: la luce, il suono ed il vuoto, il corpo. La cosa più difficile da connettere, sai, è il corpo perché tutti gli altri elementi possono essere facilmente rilavorati fintanto che pensi ti stiano portando da qualche parte. Quando leggo un libro, guardo un film o vedo un pezzo a teatro, ho bisogno di pensare che sto andando da qualche parte e non solo che sono lì, a leggere o guardare. E far sì che il danzatore sia connesso con questo elemento è qualcosa che talvolta è mistico per qualcuno di loro, ma per me è assolutamente concreto. I danzatori si lasciano pervadere soltanto dal suono, dalla luce dallo spazio vuoto in maniera certamente conscia. Il suono ha la sua drammaturgia, la luce anche, e devono lavorare insieme. La struttura posa su una partizione musicale. L’altro problema con cui termino le mie composizioni è ‘come le teniamo vive?’  

 

 

Questo è molto possibile perché tu progetti sempre e firmi anche la musica e le luci per ogni tua pièce…

Lavoro solo con due dei miei tecnici che rendono tutto possibile ma sì, scrivo tutto: la drammaturgia, il suono, la luce e il corpo. Perché sono una cosa sola, non perché voglio controllare tutto. E’ come un libro: come sarebbe se io scrivessi una pagina e tu la seguente?  

 

 

Il tuo traguardo professionale più importante da quando c’è la compagnia (1989) e invece quello più importante dal lato personale?

Sai, i miei genitori non mi permettevano di danzare all’inizio. Era un percorso molto difficile. Come ogni genitore, pensavano fosse una perdita di tempo come professione, quindi il mio momento più importante forse è stato hanno capito quanto serio ed importate fosse avere questo tipo di sguardo e di riflessione sulla vita. L’anno scorso ho ricevuto un premio molto importante dal ministro (Chevalier des Arts and des Lettres). Il fatto di portarli lì, in modo che sapessero quale fosse la mia strada ed il fatto che fossero orgogliosi di me: questo è stato un traguardo molto importante raggiunto – sul piano personale. Ero orgogliosa che vedessero quanto la danza fosse una reale necessità per me.   Dal punto di vista professionale, direi, quando sei un autodidatta, ti costruisci le tue regole e hai le tue personali aspettative e bisogni. Checché il pubblico o i professionisti della danza ne dicano, io ho i miei obiettivi e proprio in quanto autodidatta mi sono resa conto che li ho spinti parecchio lontano…quasi che cerchi di raggiungere qualcosa a cui non sarò mai in grado di arrivare. Sono orgogliosa, e sono felice, di aver raggiunto un obiettivo con le cose con cui avevo un’intuizione all’inizio – l’invisibile che può essere così forte e l’immaginazione che può attraversare il corpo e sia il corpo sia l’invisibile possano essere connessi. Ora posso dire di avere abbastanza esperienza e che quindi posso condividere la dimensione che ho raggiunto. Sono felice di essere stata in grado di materializzare ciò di cui ero animata. Il fatto di aver incarnato tutto questo mi rende profondamente soddisfatta: non sono arrivata all’obiettivo ma finalmente vedo le cose incarnate.    

 

 

Cosa dai alla tua città – Parigi – e viceversa?

Cosa mi da Parigi? Non penso ci sia sempre una risposta ad ogni domanda… Non vivo così tanto a Parigi perché viaggio parecchio per lavoro. Parigi è solo un sinonimo della mia famiglia e non di più. Quel sentimento certo di essere ‘a casa’ (a parte il fatto di essere nel mio appartamento) è qualcosa di molto complesso quando sei nato in un paese, vivi in un altro e viaggi così tanto in giro per il mondo. Devi realizzare che ‘casa’ è dove sei. Mi sento di certo più a mio agio quando torno a Parigi, ma è molto strano. Cosa mi da Parigi? Energia, sicuramente. E’ sempre di più e sempre oltre. E’ una città intelligente, io sono cresciuta a Reims e la ragione per cui l’ho lasciata per Parigi era di tipo professionale: Reims era il genere di città molto quieta, dove le persone hanno una vita regolare. Sarei potuta restare lì e trovare dei sussidi per il mio lavoro. Ma avevo bisogno di essere stimolata e di essere in un posto dove è difficile. Quindi, ecco Parigi: ho sempre creato situazioni difficili dove trovare la mia libertà. E Parigi mi ha dato tutto questo.  

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca

Sono molto istintiva ma questo si accompagna al fatto che ascolto molto, meglio dire che osservo molto. Questo l’ho preso da mio padre. Ho una maniera molto istintiva di lavorare e talvolta è difficile perché è veloce. Certo non sono paziente per nulla, al lavoro mi piacerebbe lavorare meno in emergenza perché è molto faticoso. Quando sei istintiva, lavori sempre in quel modo….  

 

 

Il libro e la musica con te ora (questa conversazione accade in un bar veneziano durante una pausa delle sue performance alla Biennale Danza)?

Non ho libri con me ora, viaggio low-cost e non ci ammettono molti bagagli. No leggo più tanto da qualche anno perché ho iniziato a leggere quando ero molto giovane e ho letto così tanto da aver raggiunto un punto (che in realtà fa il pari con quello che ti dicevo all’inizio di questa chiacchierata) in cui sono stanca di sentirmi raccontare storie. Per storie intendo romanzi, letteratura. Voglio sentirmi più connessa con la vita, la vita vera. Quindi le uniche cose che leggo ora sono biografie e poesia. Quando si tratta di finzione, non c’è più spazio per essa. Musica: ho bisogno di ascoltare qualsiasi genere allo stesso tempo. Perché la musica condiziona la tua energia, il tuo stato mentale, i sentimenti…se continui ad ascoltare sempre lo stesso genere, produrrà degli effetti. Io vado da una musica all’altra per ampliare il mio spazio interiore e le mie percezioni. La musica classica ti fa sentire in un certo modo, mentre il gospel in un altro: ho sempre bisogno di fare una certa ginnastica con il suono. Se guardi cosa ho nel mio Ipod…  

 

 

La musica che hai scelto (ed editato) per le due performance che ho appena finito di vedere (La Traversée, Sur Le Fil) è incredibile, specialmente quella per Sur le Fil

Non ho scelto quella musica, si è imposta da sola con una forza inusitata. Di solito lavoro con una gran sorta di suoni durante la creazione. Con questo brano stavo lavorando su un’immagine in particolare e non potevo uscirne e sceglierne un altro! Il suo timbro è ricco di gioia, di generosità ed è allo stesso tempo malinconico. Scelgo un certo tipo di musica non perché va bene con la danza ma perché ci entra in dialogo e crea dei pattern. L’autore della musica di Sur le Fil è Herman Dune (un duo francese, originariamente un trio, formatosi nel 1999). Certo, ho usato una sola traccia della canzone che poi è stata mixata e ristrutturata. E’ molto rilavorata quindi, rispetto all’originale. Ho usato solo i refrain. Di solito disegno una colonna sonora mescolando varie fonti: questa volta no, ho insistito su una soltanto, una sola canzone – un elemento così preminente, come ti dicevo, che si è autoimposto sin dalla creazione coreografica.  

 

Cibo e bevanda preferiti?

Oh, mio Dio, non sono brava a rispondere a queste domande perché ormai ho perso ogni idea a riguardo…Di sicuro adoro bevande con zenzero o limone. La maggior parte del tempo mangio cibi organici, bla bla, e cinese o giapponese… 

 

Dove ti vedi in 10 anni? A Parigi, o di nuovo in Algeria, ancora nella danza?

Sulla città, non saprei. Sarò di sicuro dove sarà la mia famiglia. Sulla danza, non è una questione di corpo o di età. E’ molto come scrivere per me. E’ come andare costantemente oltre i limiti – del corpo e della mente. Più invecchio, più sarà interessante osservare come mi sbarazzerò dei limiti. Sono convinta che quando usi l’immaginazione e la tua forza interiore, non c’entri nulla l’età. La danza è questo. E’ una libertà interiore, più ne trovi, più ti posizioni liberamente. Ora combatto con due danzatori che lavorano per me perché vengono dal Conservatorio, dove le cose vengono insegnate in modo differente. Voglio renderli ricchi della loro libertà interiore perché nessun insegnante ha mai trasmesso loro che la danza è tutta sulla libertà interiore. E sulla drammaturgia: loro scrivono la pièce in scena, devono essere scrittori e cercare la loro libertà. Sono triste che nell’insegnamento della danza si parli solo di corpo e non di come superarlo. E’ come la medicina: non hanno tempo ed energia per andare lì, perché è più duro. Il travaglio più complicato da fare. Per fare i quaranta minuti di spettacolo che hai visto, ci abbiamo messo un anno e mezzo, ora tutti vogliono fare ogni cosa velocemente…   A volte, la danza contemporanea non è naturale. Io devo trovare un sistema per combattere questo e trovare il modo giusto così che il sistema sia poi facile da condividere. Non voglio una danza alienante. La mia danza è sempre minimale perché devo trovare la libertà in essa e con il pubblico.  

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Ho imparato che il non sapere è la cosa più interessante quando sei in scena. Come facciamo a praticare questo – il non sapere, intendo – una volta che ‘sappiamo’? Mi ci sono voluti molti anni per capirlo. Ho anche imparato che anche se lanci dei concetti alla gente, poi loro devono sempre farne esperienza. Certo, ricevono le informazioni con la loro mente, ma hanno anche la loro ‘vita’ fisica ed emozionale e sapranno solo quando quel che stanno apprendendo passerà per la carne. Fino ad allora, non sanno. E non è vita. Odio molte cose nella danza, ma questo è quello che amo: impariamo con la carne. Sappiamo solo quando è in noi. Lo senti.    

 

La compagnia di Nacera Belaza sarà a Melbourne con Le Cri (dal 13 al 16 Ottobre 2016) poi a Riga con Homus Novus (8-9 Novembre 2016); a Francoforte con La Traversé-Sur le Mur (12-13 Novembre, 2016); a Marsiglia e a Roubaix (24-26 Novembre, 2016); a Bruxelles (17 Dicembre, 2016); a Cognac (25 Marzo, 2017).  

 

Per restare aggiornati sulle news di Nacera Belaza: http://www.cie-nacerabelaza.com/

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