Non chiamarmi rifugiato

 

La mia vita, il mio destino

è tutto stato così doloroso, non chiamarmi rifugiato.

Il mio cuore duole, i miei occhi piangono,

ti prego, non chiamarmi “rifugiato”. E come se non facessi parte del mondo,

come se fossi un uccello migrante lontano dalla mia terra

che si volge indietro, per dare uno sguardo al mio villaggio.

Ti prego, non chiamarmi “rifugiato”.
Oh, le cose che ho visto durante questi anni dolorosi,

i giorni più belli che ho visto nella mia terra,

ho solo sognato della nostra casa.

Ti prego, non chiamarmi “rifugiato”.

La ragione per cui scrivo queste cose tristi

è che vivere una vita senza senso è come l’inferno.

Ciò che voglio veramente dire è:

ti prego, non chiamarmi “rifugiato”.

 

 

Lamiya Safarova (Baku, 1982 -), traduzione di Paolo Graziano (Slow Words)

da: http://www.azeri.org/Azeri/az_latin/latin_lit/az_literature/poetry/lamiya/lamiya_eng/dont_call_refugee.html

 

Immagine di copertina: Parker Ito, A Lil’ Taste of Cheeto in the Night, 2015, HD Video, 6’33”. Courtesy dell’artista, Château Shatto e YARAT, dove il lavoro è in mostra fino al 9 gennaio, 2016 nella mostra My Heart is a Lonely Hunter

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