Pablo, giardiniere e architetto

 

La tua storia in 10 righe

 

Sono nipote di contadini bulgari, italiani e russi – non stupisce che sia diventato un giardiniere ed un paesaggista. Tutti emigrarono in Argentina dove i miei genitori si incontrarono e dove quindi nacqui, e dopo di me mio fratello e mia sorella. Ci trasferimmo tutti a Parigi nel 1983, via dal delirio militare.

 

Cuore selvaggio, non riuscii a diplomarmi frequentando normalmente il liceo e quindi presi il diploma di maturità per corrispondenza mentre mi godevo la libertà, le mostre d’arte e qualche festa. Nello stesso periodo, iniziai uno stage allo studio di architettura di Philippe Madec, scoprendo così la professione.

Non ho mai smesso di lavorare negli studi da allora. Sono diventato un architetto, ho co-fondato Coloco nel 1999. Tante avventure da allora, compresa un po’ di strada in comune percorsa con il collettivo Exyzt, con cui facemmo un buco nella recinzione dei Giardini della Biennale per accogliere i nostri ospiti ai party di tutta la notte che ospitavamo al Padiglione Francese nel 2006 (Exyzt con Coloco ha rappresentato la Francia alla Biennale di Architettura trasformando, per la prima volta nella storia di questo festival, il padiglione nazionale in Metavilla, una casa auto-costruita su scaffalature provvista di sauna e di funghiera, di sala per workshop, bar e altre facilities, inclusa una gigante camera da letto in grado di ospitare fino a 35 persone e un terrazzo attrezzato per l’osservazione dell’orizzonte sul tetto). E, inoltre, un documentario sul movimento delle donne senzatetto in Brasile, presentato in occasione della Biennale di Sao Paolo; un’opera creata apposta per la riapertura di un teatro abbandonato in Sicilia; addirittura un fiume nella Bosnia del dopoguerra. Ho fatto molta strategia urbana, ho piantato un sacco di alberi. A volte sento il volteggio delle ali di un angelo strusciare sul mio collo.

Che dire, ho un fantastico bambino di tre anni, Leon, avuto con una splendida compagna. Sono molto molto preoccupato del mondo che ci apprestiamo a consegnare a quelli della sua generazione. Lavoro duro per rendere sostenibile l’edonismo.

 

 

Siccome sembra che il guerilla gardening (giardinaggio non autorizzato) sia un tema un molto di moda ormai almeno nei media a larga diffusione, non vogliamo parlarne. Ci piacerebbe invece parlare dell’incredibile relazione che si può stringere tra un paesaggismo conscio, il genius loci e una serie di progetti di sviluppo che vengono dalla comunità che abita quei luoghi. Il giardinaggio può riattivare o attivare spazi pubblici trascurati o dismessi. Il vostro studio è davvero molto capace di far rinascere questi spazi e trasformarli in contesti durevoli oppure avviarli in processi di trasformazione temporanei. Come riuscite a tenere insieme tutti questi valori e che tipo di clienti amate servire (se …esistono già)?

 

Non mi sono mai definito e nè ho mai definito Coloco guerilla gardeners anche se sono contento che questa sorta di etichetta molto in voga ora abbia indotto le persone ad interessarsi alla natura urbana (ed agire).

Condivido l’idea che il prendersi cura della Natura sia un atto da rendere un po’ più glamour, anzi glamour al massimo, in modo da far scoprire a tutti che assumersi questo genere di responsabilità verso la vita (e provarle in tutte le forme) non sia un peso ma una fonte infinita di gioia.

Fare giardinaggio, imparare nuove cose e fare festa sono attività che vanno molto bene tutte insieme, come abbiamo ormai imparato, e questa potrebbe essere la via ad un Edonismo Sostenibile, qualcosa su cui lavoro in prima persona da oltre dieci anni. Dato che il nostro studio si occupa di paesaggio, urbanità ed arte (sia per commissioni pubbliche che private), tendiamo sempre a trasformare missioni codificate in un flusso di azioni seguendo un modus operandi a mo’ di nastro. Che si piega senza fine per seguire i cicli di Esplorazione, Strategia, Azione, Costruzione e Trasmissione. Le commissioni che preferiamo maggiormente sono quelle che vengono da clienti e partner che cercano invenzioni e che ci danno libertà di ricerca,con i quali stabilire relazioni di gran qualità – una parte fondamentale del nostro stile.

 

 

Dalla Cintura Verde di Tripoli (un progetto molto ambizioso che non avete potuto completare a causa della Guerra) a quello che state tuttora portando avanti in un particolare spazio pubblico a Lecce (Italia), potresti riassumere quel tocco speciale di Coloco dando piccoli esempi di progetti ed interventi con scale differenti?

 

La grande varietà insita nei nostri progetti è sicuramente il maggior impegno che ci siamo presi sin dal 1999, generandola a partire da un’unica struttura collettiva. A quei tempi, quando abbiamo iniziato, Architettura, Paesaggio, Arte e Cinema erano ambiti disciplinari separati con i quali avevi solo da posizionarti – dentro o fuori –chiaramente. Le persone erano solite chiedere: sei questo o sei quello? C’era quasi una sorta di vergogna interiore quando mostravamo a client seri che eravamo quelli che spingevano carriole con le batucadas per costruire un giardino insieme ai bambini.

Eppure sentivano che tutto questo per noi si svolgeva in assoluta continuità, sia per progetti di grandi dimensioni che per la pianificazione territoriale fino alla costruzione di un piccolo giardino sperimentale. Sempre avendo la massima cura per la vita nella sua straordinaria diversità biologica e culturale, con la volontà di avventurarsi in nuovi territori con grande entusiasmo, incontrando persone nuove e sempre stimolanti. Questo oggi, è definitivamente il nostro marchio di fabbrica, e i clienti ci chiamano per il grande spettro di risposte che siamo soliti dare. Non dimentichiamo mai l’effetto sorpresa.

 

 

Quanto è difficile oggi iniziare e mantenere un’attività auto-imprenditoriale nella tua città, Parigi, o in generale?

 

Non facile per nulla. La crisi è un mantra, ripetuto senza fine per tagliare tutto quello che non entra esattamente nel foglio excel compilato dagli amministratori e dai controllori dei costi. La stessa creatività viene formattata in questi termini. E non hai più di tre ore di creatività in uno di questi fogli.

Allo stesso tempo, l’intelligenza collettiva emerge come modello naturale per lavorare. E una nuova generazione di persone, insieme agli strumenti digitali e concettuali, aiutano molto a realizzare nuove forme di collaborazioni – divertendosi anche!

La competizione è diventata più selvaggia. I clienti ricevono un sacco di offerte, anche buone, quindi chiedono sempre di più per spendere i loro soldi, così come forse facciamo anche noi.

Fare la magia ogni volta non è facile, ma farla durare tanto tempo è davvero una sfida coinvolgente, specialmente quando coinvolgi tante altre persone perché il tuo studio cresce.

 

 

Che incontri hai nella tua routine? Ci fai un ritratto di alcuni o di uno di essi?

 

Il primo è Leon, mio figlio di tre anni che porto all’asilo e che spesso mi fa le domande più provocanti della giornata. Dopo mi fermo al bar a rispondere alle mail e mi prendo un momento per scrivere e disegnare in un ambiente rilassato, infatti cerco di non rispondere al cellulare. Poi ci sono le riunioni, con il mio team o con i partner, pranzi di lavoro e lo stesso nel pomeriggio. Ho una buona capacità di concentrazione, che addirittura migliora ora che invecchio, speriamo continui così ancora per qualche tempo…

Poi riprendo mio figlio a scuola o lo incontro con la mia amata a casa per trascorrere un po’ di vita familiare, che amo. Dopo cena, ancora una sessione informale di lavoro, qualche rimasuglio di cose da fare che accade inevitabilmente. E quindi giunge il momento in cui di solito mi vengono le idee migliori, appena prima di dormire, e questo periodo si può prolungare per qualche ora quando la mia mente vuole continuare a progettare idee pazze. Mi piace tantissimo questo momento della mia giornata e ho sempre un quaderno ed una penna per registrare queste attività. A parte questo, mi risulta davvero difficile descrivere la mia attività in termini di routine dato che viaggio molto e che lavoro su progetti molto eterogenei dove sono coinvolte persone tanto diverse tra di loro. Il ritratto che sceglierei di farti perché me l’hai chiesto è quello di un avvocato – anche se io sono convinto che sia un poeta – che ha iniziato un progetto con la sua associazione: costruire un percorso artistico in una foresta abbandonata e ci ha invitato a farlo.

 

 

Qual è il più importante traguardo dopo così tanti anni di landscape design?

 

Vuoi provocarmi? Penso che il disegno del paesaggio sia quanto di più lontano ci sia da quello che facciamo a meno che tu non voglia includere il design del processo e quello delle relazioni, se quest’ultimo ha senso (Ecco, questo davvero potrebbe essere un argomento interessante per una discussione, non credi?).

Il traguardo più importante per me è il gruppo ed la rete che continuamente costruiamo, e parliamo di qualcosa di operativo con cui sono a mio agio per intraprendere nuove sfide e nuove avventure.

E come giardinieri, ovviamente, ogni giardino è un traguardo che ci piace guardare, ancora ed ancora.

 

 

Come combini la lentezza della vita familiare e della schizofrenia della tua particolare attività?

 

Beh, vedi, la vita familiare non è lenta, mio figlio è un flusso senza fine di attività…

Forse la descrizione di un giorno tipo può aiutare a risponderti, e per il resto, è una negoziazione passo dopo passo tra cose da fare, libertà, e logistica. Non è facile, ma mi sento felice e anche molto fortunato di avere l’opportunità di mettere insieme tante cose che amo nella vita.

Ovviamente non tutte quelle che vorrei, ma la felicità è anche stabilire una sorta di accordo con tutto quello che non puoi avere, giusto?

Per la parte schizofrenica, invece, penso che la cosa più importante sia occuparsi del resto e quindi includere nel calendario di ciascuno un momento sacro, dove nessuna emergenza faccia capolino.

 

 

Qualcosa di fantastico, come padre, che ti è capitato di recente?

 

Solo una cosa? Troppo difficile!

 

 

Cosa ti da la tua città e viceversa?

 

Parigi, che è dove noi siamo scappati dal delirio militare che accadeva in Argentina in quegli anni, ha accolto la mia famiglia nel 1983. E ti chiede un costo altissimo per il diritto di suolo – in tutti i sensi; ti fa sentire a lungo uno straniero prima di accettarti e questa è certamente quello che rimane di un’eredità aristocratica e feudale. In cambio, tuttavia, ti fa incontrare le persone ed i creatori più fantastici da ogni parte del mondo: prima o poi qui passano tutti. Ti da anche accesso, quasi gratuito, all’arte e all’educazione e questo è un dono per il quale le sono molto grato.

Mi piacerebbe aiutare la mia città inventando nuove situazioni e configurazioni per costruire un’alternativa, produttiva ed attraente, all’autoritarismo anti-cosmopolita e alla gerontocrazia che stanno cercando di congelare la nostra società. D’altro canto, lavoro su nuove piattaforme di collaborazione che siano in grado di aggregare persone attorno ai progetti, non solo con una mentalità orientata al profitto ma anche per generare dignità economica e motivare creativi ed attivisti.

Una sfida senza fine, non ti pare?

 

 

Condividi con noi la tua passione culinaria?

 

Ah, sono felice che me lo chiedi! Ogni giorno io e Delphine (la sua compagna) passiamo almeno un’ora a cucinare, nei week end anche di più. Potrei dirti che questa è la mia disciplina edonistico-meditativa. E anche un ambito infinito di ricerca, molto piacevole, di nuove esperienze. E’ anche un contatto con chi (e in che modo) produce quel che mangiamo, una parte fondamentale di cosa siamo.

 

 

E i tuoi drink preferiti?

 

Bere è molto legato a dove e con chi lo fai. Uno spritz con Diana a Venezia al tramonto è fantastico, un grande Montée de Tonnere Chablis – il suo favorito – con la mia Delphine per antipasto, un Pessac Leognan – il vitigno più urbano di Bordeaux per il primo piatto. Un delizioso rum JM XO per dessert. E un po’ di champagne per festeggiare la vita, che è meravigliosa nonostante si sia così imperfetti.

 

 

 

Il libro(i) e la musica con te in questo momento?

La storia delle linee di Tim Ingold (Ingold, T. (2007). Lines: A Brief History. Routledge, Oxon, UK.), il terzo numero di Stream Magazine con un interessante saggio di Nicolas Bourriaud (La Grande Accelerazione), poi Soumission di Michel Houllebecq. E questo accanto alle solite cose che leggo per lavoro. Ma ci sono anche i ‘Cinque passi verso l’edonismo sostenibile’, il nostro prossimo libro che dovremmo pubblicare a Maggio. E’ un gruppo di cinque lezioni che ho tenuto quest’anno.

 

La musica: adesso ascolto, sul genere electro Nathan Fake con ‘Fortune Bru’, Fakear con ‘Two arms around you’ e SBTRKT con ‘New Dorp, New York’, poi il requiem di Omar Sosa per Angá Diaz ‘Why Angá?’, l’inno della bossa nova ‘el Sol’ di Martin Buscaglia. Ed anche l’intera ‘Carmen’ di Bizet, che sto studiando in dettaglio da circa un anno per una serie di performance.

 

In che modo cerchi di vivere lentamente, se lo fai, in una città come la tua?

 

Penso, ancora, che rallentare per rallentare non sia necessariamente la soluzione migliore, piuttosto ho bisogno di sentire questa necessità nel momento giusto, rispetto a ciò che accade nel mondo e nella mia vita personale. A volte sento che le cose e le persone stiano andando troppo lenti, mentre il mondo richiede un’azione immediata; altre volte che la gente corra senza un fine, giusto per il gusto della velocità – quasi un modo per riempire un vuoto di senso. Dico “loro” anche se io sono totalmente parte di questo, nei fatti.

Mi sento bene quando cavalco la musica e mi sento in totale armonia con le sue variazioni, proprio il ritmo giusto nel posto giusto.

Per rallentare, un ottimo pasto con amici e non troppe storie di lavoro, un massaggio con l’olio caldo. E tanto amore, lento ed meno lento…

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

 

Il mio animale totemico è il tucano, che racconta le storie e tiene conto della genealogia. Sono piuttosto vulcanico di temperamento e le idee continuano a scorrere – quando vogliono loro e non quando voglio io – mi concentro a tenere la bocca chiusa quando è la cosa migliore da fare, e ti assicuro che non è molto naturale per me farlo, mi sto allenando duro e comincio ad ottenere alcuni risultati.

Sono molto sensibile alle qualità dell’uomo che descrive Pessoa: simpatia, comprensione, intelligenza, saggezza. L’ultima: la benedizione di essere sfiorato dallo sbattere d’ali di un angelo. Cerco sempre di preservare queste fantastiche doti ed il mio unico tatuaggio raffigura una stella a spirale a cinque braccia per aiutarmi ad essere una persona migliore.

 

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

 

Tutto quello che so, e quando guardo indietro, amica mia, mi rendo conto di essere stato coinvolto in un sacco di avventure… La vita non è così corta, e tutto dipende dal come si gestisce l’intensità necessaria per vivere seguendo il nostro spartito e non uno spartito a caso. Amore e libertà. La vita è un fenomeno che si auto genera, e più la conosciamo più ci stupisce. Come individui – e questo un concetto recente, ricordiamocelo – siamo solo degli aggregati provvisori di materia animata, provvista di anima. La vita passa e ci rende esattamente come sentiamo di essere. Invito tutti a pensare di più alla trasmissione più che all’accumulazione; al dare; alla condivisione piuttosto che al possesso.

Come arrivederci, vorrei condividere con te le parole di Vinicius de Moraes:‘A vida é a arte do encontro’, la vita è l’arte dell’incontro.

A presto!

 

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