Peter, architetto

 

La tua storia in poche righe 

Sono nato in una piccola città universitaria nella Svezia meridionale. Non ricordo più quante estati ho passato al mare. Ho sempre studiato tutto sotto il sole e mi sono innamorato immediatamente dell’architettura. Ho vissuto a Londra un paio d’anni e poi alla fine sono approdato a Stoccolma. Ho comprato una piccola barca a vela e ho iniziato ad esplorare l’arcipelago. Ho messo radici, con casa e figli. Ho aperto il mio studio di architettura ed ho iniziato ad esplorare le possibilità di creare una società migliore attraverso costruzioni innovative.

 

Ci puoi dire di più su come progetti case popolari e qual è il tuo impegno sulla sostenibilità? Ti occupi anche di progettazione d’interni? 

Non c’è una formula fissa, inizio sempre raccogliendo informazioni ed opinioni sul contesto. C’è sempre la necessità di risolvere una gran quantità di problemi tecnici e funzionali, ma la vera sfida è trasformare tutto questo in una sequenza poetica di spazi. La sostenibilità, specialmente nel senso sociale, è attualmente l’area di sperimentazione più difficile ed al contempo più interessante per me. Mi occupo anche d’interni, a seconda di quanto è importante per l’esperienza progettuale complessiva.

 

Tieni anche un blog (in svedese) sul tuo sito: che tipo di argomenti tratti?

Di solito, frammenti di incontri con fenomeni eccitanti o con persone interessanti. Le immagini hanno la stessa importanza delle parole per me.

 

Quanto è difficile oggi iniziare (e portare avanti) un’attività imprenditoriale come la tua, nella città dove eserciti, ed in generale – dal tuo punto di vista?

E’ facile, è usuale ed è altamente apprezzato. Il mio ufficio è all’Impact Hub di Stoccolma, un network internazionale d’imprenditori sociali che è assolutamente internazionale. Quando mi metto all’ascolto dei miei amici qui, nulla mi appare impossibile.

 

Che incontri fai quando lavori?

L’ultimo giorno prima dell’estate ho discusso con una donna africana su un evento politico a Stoccolma e poi con una francese a proposito dell’attivismo come miccia per la responsabilità sociale. Vivo un cambio continuo di prospettive e argomenti, la norma qui all’Hub.

 

Il traguardo più importante che hai raggiunto dopo tutti questi anni di architettura e pianificazione?

La cosa di cui vado più fiero è il network di professionisti – preparati e coinvolti – a cui mi posso rivolgere quando devo fare qualcosa di straordinario.

 

Come riesci a combinare la lentezza della vita familiare con la schizofrenia della tua particolare attività? 

Si tratta di una sfida, di una battaglia costante dove le cose urgenti mettono definitivamente in ombra quelle che sono più importanti.

 

Una cosa bella capitata di recente, come padre? 

E’ sempre qualcosa di minuscolo e prezioso, assai difficile da descrivere senza suonare banale.

 

Cosa ti da la tua città e cosa tu dai a lei?

L’intensità, la bellezza e la presenza costante dell’acqua ne fanno un posto fantastico dove stare. Nel mio lavoro, cerco sia di essere rispettoso delle qualità esistenti, sia di creare aggiunte, contemporanee e significative, al tessuto urbano.

 

Una passione culinaria?

Mi piace la cucina collaborativa, e cerco di fare del mio contributo quanto di più vicino alla perfezione possibile.

 

Un drink od il tuo vino preferiti?

Mi piacciono tanti tipi di birre e di vini, ma nulla resiste al confronto con un succo di lampone appena spremuto e leggermente rinfrescato.

 

La musica ed il libro, od i libri, con te ora (e su che tipo di tavolo sono poggiati)?

Una delle più lunghe compagnie musicali nelle mie cuffiette è sicuramente lo Esbjörn Svensson Trio, mentre ‘The Corrections’ di Jonathan Franzen giace da un imbarazzante, lungo intervallo sul comodino accanto al letto.

 

In che modo cerchi di vivere lentamente, se ti piace, in una città come la tua? 

Immergersi in un compito totalmente, porta all’isolamento: un antidoto perfetto al caos della vita cittadina.

 

Un talento che hai, uno che ti manca? 

Mi piace molto imparare cose nuove, quindi manco di un talento desiderato, e diciamo che questo mi conduce più o meno a tentativi, riusciti, di padroneggiare qualcosa. La maggior parte della gioia, e delle sfide, di sicuro ha a che fare con differenti strumenti musicali.

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita? 

E’ piena di infinite possibilità ed è meglio godersela con umile curiosità.

Lascia un commento