Rémi, camminatore

Venezia, 8 novembre, inizio inverno, notte, interni di un palazzo nobile del XVIII° Secolo; questa è la cornice di un match davvero speciale. Un amico ogni settimana apre la sua sala da pranzo per un Saloon che non solo di nome ma anche di fatto – le atmosfere, gli arredi – ricorda quelli di settecentesca memoria. Sugli inviti reca un’esortazione: gli amici, gli amici degli amici, gli amici degli amici degli amici….sono i benvenuti! Incontri tante persone diverse, in un loop quasi infinito: giovani artisti Veneziani o foresti, musicisti ed ogni tipo di persona. Fantastico, perché gli inverni veneziani sono molto solitari! Ad uno di questi Saloon di cui sono, come immaginate, un’avida frequentatrice, qualcuno ha portato Rémi Durand-Gasselin, un trentasettenne francese che si trovava in città perché era lì che finiva un viaggio molto speciale: girare l’Italia da capo a piedi per otto mesi. Non ho potuto resistere a scoprirne di più e l’ho intervistato, su sua richiesta ho atteso tornasse a Parigi e quindi quest’intervista si è svolta tra Venezia e Parigi mentre le foto che la illustrano sono state prese all’alba della notte di novembre di quel Saloon da un’altra invitata e frequentatrice assidua, Francesca Lanaro

Rémi lavorava e lavora nel più volatile dei business europei (l’immobiliare). Desiderando con forza imprimere una svolta al suo ménage, ha cercato un modo per tornare ad assaporare la vita ed il suo gusto a piccoli sorsi e l’ha trovato in un viaggio unico nel suo genere, anche unico per rompere drasticamente una routine faticosa e cancellare, in un certo senso per sempre, i suoi effetti. Che tipo di esperienza poteva concedersi una persona come lui, grande viaggiatore già di suo, sin dall’adolescenza? Certo, una soluzione intima e personale, per (ri)trovarsi ancora una volta. Rémi ha quindi scelto di partire senza compagni di viaggio, perché il suo mumble mumble ritornasse di nuovo forte e chiaro. Di quest’esperienza, a parte l’intervista che tra poco leggerete, resta un blog in due lingue e presto un libro.

 

La tua storia in poche righe

Sono nato l’8 febbraio del 1977, ho studiato allaToulouse Business School, all’Institut d’études économiques et juridiques appliquées à la Construction et à l’Habitation (ICH) ed al Royal Institution of Chartered Surveyors; lavoro nel management di proprietà immobiliari ed in particolare mi occupo di uffici e negozi (incluse le valutazioni di questo tipo di proprietà). Vivo Parigi come la mia città natale ed il mondo come il mio campo da gioco.

Per i primi quindici anni della mia vita ho sempre viaggiato con la mia famiglia (genitori, due fratelli, una sorella e un cane). Poi ho voluto fare le cose a modo mio e vedere il mondo come piaceva a me. E non appena si è presentata la prima occasione di andare a lavorare fuori sono partito, senza esitare (per l’Australia). Ho studiato tanto, dalla contabilità all’immobiliare. Ora conosco molto bene questo mercato, in particolare a Parigi, e lo valuto regolarmente. Amo l’arte: non che sia un gran conoscitore ma mi aiuta a respirare e comunque fa parte della cultura della mia famiglia. Spesso fotografo, per dimostrare che ci sono altre angolazioni con cui guardare alla vita di ogni giorno e alle nostre città. E, dal 2013, posso dire anche che so camminare….

 

8 mesi, 3.600 km: una maniera molto poco comune per passare una vacanza. Forse questo viaggio è come un sabbatico, per imparare più che per spendere e consumare?

Il 2013 è stato un anno d’intervallo per me ed un sabbatico dal mio lavoro. Ho cercato di fermare il tempo e di portarlo con me. Quindi ho viaggiato usando il mezzo più lento: camminare! 3.600 chilometri di passeggiate in Italia prendono un sacco di tempo e ancora più pazienza. Ti riducono al grado zero, al mero essere. E’ un vero reset del cervello. I tuoi soli bisogni sono mangiare, dormire e socializzare. Puoi anche stivare tutto quello di cui hai bisogno in un solo zaino a spalla: 3 magliette, due pantaloni, quattro paia di calzini, 3 mutande, un pullover. Tanto sarà solo quello che indosserai per i tuoi prossimi 240 giorni.

 

Che tipo di incontri hai nella tua giornata di lavoro tipo?

Nella vita da ufficio, ho a che fare con persone che lavorano per i loro capi e per i loro azionisti. Se non ci mettono idee, la catena di produzione funziona bene. Quindi le persone sono tenute ad eseguire più che a pensare. Ho avuto poche esperienze di persone che pensano per portare a compimento differentemente i loro compiti. A volte ho incontrato persone di cultura, molto spesso si sono fatti da soli e hanno una grande, limpida conoscenza e conduzione degli affari.

 

Quanto è difficile oggi secondo te iniziare un’attività imprenditoriale e quindi poi resistere sul mercato?

In Francia può essere assai difficile perché le regole sono troppo complicate e portano via troppo tempo a tutti coloro i quali vogliono dedicarsi al business e non annegare nella burocrazia. Inoltre, se consideri l’alto livello di tasse, il rischio spesso non vale la candela! Nonostante tutto, alcuni ottimi imprenditori ce la fanno!

 

Cosa Parigi, la società, la Francia, fanno per te?

Mi danno un ambiente sicuro, che credo sia la cosa più importante la Società (qui lo stato francese) debba assicurare alle persone. Tuttavia, questo tipo di ambiente spesso non crea tanti liberi pensatori tra i cittadini!

 

Tu cosa fai per Parigi?

Sono quanto più onesto possibile con chi mi circonda e con chi, credo, lo meriti. Non penso che pagare le tasse sia abbastanza per cui, in più, cerco di essere carino e di sorprendere le persone. Ad esempio, ospito un sacco di stranieri che visitano Parigi con CouchSurfing. E tutte le volte che compro un giornale od una rivista, dopo averli letti mi piace lasciarli nell’androne a disposizione dei miei vicini.

 

Quale momento felice che ti è accaduto di recente ricordi ancora con grande piacere?

L’anno scorso, durante il mio viaggio a piedi in Italia, un giorno il mio percorso si trova a sbucare su un’autostrada senza alcun’altra soluzione percorribile. Dato che non mi era proprio possibile camminare in una strada così trafficata, ho chiesto autostop. Ho chiesto alla prima macchina che passava alla stazione di servizio dove mi ero fermato e, con mia incredibile sorpresa, si trattava proprio del proprietario dell’Agriturismo dove avevo prenotato e dove mi stavo recando! Così imprevedibile, così fantastico!

 

Qual è il tuo piatto preferito e quale il tuo drink?

Cucinare non fa per me, tuttavia mi esprimo al meglio con le zuppe: non c’è limite ad aggiungere ingredienti e sapranno sempre di buono! Adoro il Pessac-Leognan: è sempre un grande piacere berlo.

 

Che musica e che libro hai adesso con te?

La musica classica non mi manca mai e non mi dispiace mai, la ascolto tantissimo e specialmente quando sono sul mio divano, leggendo un libro di Stefan Zweig, che genio quest’uomo!

 

Un talento che hai, uno che ti manca.

Di sicuro quello di fare foto da prospettive o punti di vista sorprendenti ma se c’è una cosa che proprio non so fare e me ne dispiace un sacco, quella è disegnare.

 

Che relazione hai con quella letteratura del vagare (come Storia del Camminare di Rebecca Solnit o testi di altri autori che celebrano il camminare come atto filosofico e fisico nello stesso tempo)? Cosa ti ha convinto a fare questo viaggio ed in questo modo, soprattutto?

Leggere il libro giusto al momento giusto può cambiarti la vita. Quando un autore, come Alexandre Poussin sa come scrivere, ti picchia duro. In Marche Avant, Alexandre parla della sua esperienza e in particolare di un viaggio che ha fatto con la sua futura moglie, Sonia, camminando per tre anni dal Sud Africa ad Israele.

 

Mi racconti dei momenti più incredibili che hai avuto all’inizio, a metà e alla fine del tuo viaggio a piedi?

Certo, lasciare un decennio di vita parigina per andare a camminare da solo in Italia non è certo qualcosa per cui si può essere preparati. E neanche troverai molte persone disposte a capire cosa stai facendo. Del resto, neanche io l’ho mai saputo troppo bene. Ho solo pensato sarebbe stato possibile farlo, ed in fondo così è stato. Prima di partire non sono mai stato spaventato, non ho mai esitato. Non vedevo ostacoli al mio sogno di attraversare un paese a piedi per conto mio.

500 Km dopo la partenza, ho avuto veramente un bel momento perché era la prima volta in vita mia che facevo una camminata così lunga. Poi, arrivando al punto più remoto del mio itinerario, Santa Maria di Leuca, mi sono sentito veramente bene perché sapevo che da quel momento in poi avrei avuto “soltanto” da tenere il Nord per raggiungere il mio obiettivo, a circa 2.200 Km di distanza. Poi, mi sono sentito davvero “arrivato” una volta che ho raggiunto i 3.000 km, precisamente ero nel parco nazionale delle Cinque Terre. Dopo aver pensato per ben due volte di mandare all’aria il viaggio, sono stato, infine, orgoglioso di me quando sono riuscito a portarlo a termine. Anche se non era ancora finito, dato che avevo il sogno (segreto) di finirlo a Venezia, la mia vera destinazione, che raggiunsi, infine, 600 km dopo. Peraltro, è stato sorprendente aver avuto la sensazione di aver finito il viaggio circa due giorni prima, a 50 km dalla città lagunare: se pensi, questa breve distanza rappresentava solo l’1,5% del totale….Una grande, grande soddisfazione!

 

Trasformerai I Piedi nello Stivale Italiano il tuo blog e poi ne scriverai un libro? Stai per caso pensando anche di cambiare vita dopo quest’esperienza – intendo il posto dove vivi ed il tuo lavoro?

Se nel 2013 ho viaggiato fisicamente, quest’anno lo sto facendo con la mente. In pratica rivivo nuovamente il mio viaggio e prendo degli appunti che, spero, diventeranno un libro: mi aiuterà a condividere la mia storia e questi otto mesi. E’ stato sempre difficile farlo con una chiacchierata di dieci minuti finora.

Se cambierò la mia vita? Me lo hanno chiesto in molti, ma la risposta non può essere bianco/nero, così diretta. Sicuramente la mia esperienza ha cambiato per sempre il mio modo di pensare, le priorità e molto altro. Tornando in un ambiente rimasto lo stesso, mi sono sentito come una pecora nera in un gregge. Il cambiamento è dentro di me, cerco di proteggerlo ogni giorno dal flusso d’informazioni e di tentazioni che vivo.

 

Divideresti un’esperienza così speciale con altre persone, rifaresti cioè un viaggio a piedi in compagnia la prossima volta?

Certo, è un’esperienza da condividere. Poi, camminare con un partner può renderla ancora più differente ed anche molto utile. Oltre te stesso, conoscerai anche l’altra persona molto meglio. E non penso che l’altro o l’altra debba essere per forza un fidanzato, ma una persona molto vicina. Qualcuno con cui vorresti dividere tanto. Io ho fatto tutto da solo e ho pensato un sacco. Nel mio viaggio (peraltro a Venezia!) ho conosciuto di una coppia, attorno ai 30 anni, che ha camminato da Tallin a Lisbona!

Camminare è un modo fantastico per compiere un progetto con qualcuno. Farlo con qualcun altro significa che scegli di vivere con lui o lei una storia intensissima: pensa che le persone sposate si vedono molto poco, poche ore la sera dopo il lavoro. Quando cammini un anno, significa 365 giorni insieme sempre, dal risveglio al sonno al cibo alle lotte per i problemi quotidiani. Non posso dire di averlo già vissuto in coppia ma immagino come sia godere insieme dei momenti meravigliosi e sopravvivere insieme a quelli brutti! E’ come un matrimonio: se in quello reale ti occorrono 10 anni per conoscere il tuo partner, in un’esperienza di cammino le cose sono assai più rapide!

 

La diversità, gli altri, sono una limitazione in qualche modo durante un cammino?

Lo sono, anche se ero cosciente di stare scegliendo di camminare da solo in un paese che non era il mio e di cui non parlavo la lingua (ora la parlo!). Poi il fatto di cambiare ogni giorno i piccoli paesi in cui soggiornavo non aiutava di certo ad andare in profondità nelle cose e a farmi capire dalle persone che incontravo. In teoria tutto questo – l’isolamento linguistico e pratico – è carino per i primi tre o quattro mesi. Ma immagina averla come costante per otto mesi…Non sei mai a casa, incontri persone nuove tutti i giorni e magari devi a tutti spiegare la tua storia di nuovo…

Un mio amico ha trovato due frasi che definiscono proprio bene quello che ho vissuto durante il mio peregrinare: “quando succedevano cose belle, era sempre quando ero solo, quando ne avevo di bellissime non sono state mai moltiplicate dalla presenza di altri ma solo da me”. Aggiungo, quando stavo male ero sempre da solo e questo significava prolungare molto questo stato (se sono triste a Parigi chiamo gli amici e vado al bar a bere, il giorno dopo sto bene!). Il fatto è che quando sei solo devi accettare ed analizzare il dolore. Quindi, se dobbiamo chiamarle tali, queste sono state le “limitazioni” nel mio viaggio.

 

Ti sei innamorato dopo la tua esperienza di cammino?

No, non immediatamente e comunque non in relazione al mio viaggio. Beh, ad essere onesti ed andando a fondo su questo punto…quando sono tornato indietro, ero felice di vedere tutti (la famiglia, gli amici e persino i miei colleghi!). Ero principalmente felice di avere di nuovo delle regole. Quando vivi da solo per otto mesi e cammini con un solo scopo (nel mio caso raggiungere Venezia), puoi sempre fare quel che vuoi: decidi quando fermarti, se continuare per tre giorni o per uno, quanti km percorrere in un giorno, mandare all’aria tutto, a che ora e quante volte mangiare…

 

A parte le regole, felice di ritrovare la tua routine?

Sì, felice. Meglio averla e non pensare troppo. Ma appena mi rimetto a pensare, mi dico “che cavolo ci faccio qui?”. E questo è, credimi, molto difficile.

 

 

 

 

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