Sarah, scrittrice regista e artista

 

La tua storia in 10 righe

Forse è la domanda più complicata…

Nasco a Ginevra, ma ci nasco soltanto. Vivo a Padova. Studi di Lettere a Padova, mi laureo con una tesi, abbastanza tecnica, sulla musica del film La Morte a Venezia di Visconti, all’epoca scrivevo saggi viscontiani. Ho scritto anche un po’ per la pagina culturale de Il Mattino di Padova (ora non collaboro più).

Di sicuro ho cominciato scrivendo (racconti), nutro una grande passione per la scrittura e per un certo tipo di approccio alla vita, direi, romanzesco.

Da lì sono passata alle prime esperienze di cinema. La mia prima regia è stata molto difficile, direi delirante: un cortometraggio storico, girato in pellicola, con 100 comparse, 26 scene in costume sul 1848.

Non sono una gran figurativa, ma disegno sempre in prima persona gli story-board – con elementi secchi e un po’ primitivi. Si tratta più di raffigurazioni simboliche, quasi di tratti dei personaggi invece che di scene, infatti avevano dei grandi problemi sul set. Ricordo che arrivavo con cartelloni giganteschi, dove tutti si accostavano a studiare queste figure per capire cosa fare in scena!

Ho continuato a scrivere, ho pubblicato racconti anche su Frigidaire e mi sono molto divertita. Ho ricominciato con il cinema e ho iniziato a lavorare a Il Cerchio Rotto, film che nasce da un mio racconto omonimo e che ora è in post-produzione (ambientato in Veneto e prodotto da partner internazionali, è un thriller psicologico che narra la storia di ventenni bene tra sballo e cannibalismo – un estratto del racconto è pubblicato in italiano nella nostra sezione dedicata). Un vero parto, lungo e complesso: non è ancora finito, manca una vitale, ultima settimana di ripresa che spero di girare tra poco…

Nel frattempo ho cominciato a fare installazioni artistiche, la prima riguardava la scrittura ed il concetto del poster. Poi sono passata alla ceramica e ho prodotto 150 statuine, le ho esposte per la prima volta alla Biennale di Venezia, poi il lavoro ha girato per alcune città, (il Comune di Faenza lo scorso settembre l’ha esposto nel Ridotto del teatro Masini), ed ha partecipato anche a fiere d’arte, come The Others, a Torino, in concomitanza con Artissima (Polarizzazione riflette, a partire dall’Edipo classico, su questioni come genere, sesso e sessualità ed è un grande affresco della società contemporanea con i suoi nuovi tipi di famiglia: è composta di 156 statue policrome raffiguranti, secondo una progressione algebrica, le possibili 27 combinazioni date dall’interpolare +/maschio e -/femmina) .

Ho creato un’installazione di fiori esposta la prima volta al Museo Revoltella di Trieste (una grande vasca/giardino che traduce con il linguaggio dei fiori una sua fiaba, La principessa che non voleva leggere e il poeta, ZeL edizioni, 2010).

Ho scritto e diretto la pièce teatrale La Gabbia su tema della dipendenza dalla paura, è stato un lavoro molto interessante, a metà strada tra l’installazione e il teatro, anche il tipo di recitazione che ho voluto dall’attrice era molto cinematografica e quasi impersonale.

Ho ricominciato a scrivere il mio romanzo, a cui mi dedico con una certa perplessità da una decina d’anni. E’ una storia sui generis. Titolo provvisorio Antimonio, è fatta di proiezioni future, accadimenti prossimi situati a distanza di soli 20 o 30 anni. Spesso mi è accaduto che le cose di cui parlavo accadessero davvero e quindi ero costretta a cambiarlo di continuo. Lo prendo e lo mollo con una certa pigrizia.

 

 

La scrittura popola la tua vita in maniera porosa e assoluta. Sembra la trama principale di un gigantesco ordito che tiene insieme anche scultura, teatro, performance e cinema: non solo un’artista totale ma una creatrice che vivifica una vita vissuta interamente in termini di scrittura. Il tuo corpo a corpo con il testo mi ricorda la vita e l’arte di Marguerite Duras: che ne pensi?

 

Questa domanda coglie un punto essenziale: pensa che ho cambiato alcune cose della mia vita per adattarle meglio al romanzo che stavo scrivendo! Di solito uno scrive un romanzo sulla sua vita, io ho preferito cambiato la mia perché non funzionava rispetto a quello che stavo scrivendo.

Comunque hai ragione. Il principio di un’idea è sempre un nocciolo di scrittura che comincia a strutturarsi. Più si complica, più si articola, più il racconto prende forma e si adatta anche a media diversi.

Credo ci sia sempre una dimensione molto letteraria e narrativa nella creazione. Non sono molto descrittiva in senso stretto come scrittrice; mi piace Proust, certo: lui sì che ti può fare una descrizione di tre ore su un campanile e funziona!

Io devo comunque raccontarti una serie di avvenimenti che si inanellano più che una sola cosa. Mi interessa l’architettura della vicenda e l’interazione tra le parti più che la dimensione strettamente descrittiva.

Creando in ambiti così diversi – scrittura cinema teatro e arte – a volte faccio fatica a trovare dei produttori, sia per gli argomenti ed i linguaggi, che sono spesso diversi, ma anche perché vado controcorrente rispetto al mercato che spesso pretende la serialità di un opera e la riconoscibilità di un artista. Con il pubblico invece ho trovato una certa ostilità proprio con il Cerchio rotto. Ricordo quando ho presentato con Sabino Acquaviva per la prima volta il racconto Il Cerchio Rotto, era il 2000, eravamo a Padova, al Pedrocchi. C’era gente che si inalberava perché nel libro mi permettevo di narrare una storia che parlava male dei giovani del luogo. Se penso a quello che è successo dopo, la cronaca mi ha quasi superata… Questo film non è di certo un horror, ma non è neanche un thriller, penso che sia qualcosa di più surreale… non a caso lo chiudo con un omaggio a Luis Bunuel. Probabilmente sono un po’ difficile da incastrare in un genere così come si usa oggi. Il fatto è che passo dalla fiaba delicatissima come quella della “Principessa e del poeta”, all’efferatezza di una storia crudissima come quella narrata in questo film. Io sono sempre la stessa persona, ma capisco che talvolta le persone possano fare fatica a riconoscermi. Ricordo all’inizio quando incontravo i produttori per “il cerchio rotto”, leggevano lo script e pensavano sempre di ritrovarsi di fronte a una piena di piercing e di tatuaggi!

Diciamo pure che pratico una militanza costante nel rompere i cliché. Odio gli incasellamenti. Non mi piace l’abitudine di leggere per generi, e infatti con le diverse tipologie di combinazioni famigliari delle statuine ho ironizzato proprio su questo… Mozart era geniale secondo me proprio perché quando ti aspettavi la cadenza in fa minore, ti spiazzava con un do maggiore. Amava rompere le aspettative, non era mai prevedibile.

 

 

E’ essenziale per te che il pubblico che incontra una tua opera d’arte o una tua pièce in un teatro sappia anche dei tuoi altri assi creativi o, secondo te, ogni tua opera è libera di vivere indipendentemente da quella “matrice” narrativa da cui la fai nascere?

Credo che le opere si debbano leggere da sole. Certo, se si conosce di più l’autore, si apprezzano di più le commistioni.

 

 

Lasci quindi supporre tutto il resto di te….

Spero che la fantasia di certe opere concettuali, realizzate con strutture logiche rigorose, faccia trasparire la serietà del lavoro. Quando ti trovi di fronte alle statuine o alla Gabbia ad esempio, il colpo d’occhio deve funzionare subito, al di là dei discorsi culturali e a quello a cui di volta in volta si riferiscono. In ogni caso spero che le mie opere sopravvivano con una forza tutta loro.

 

 

Che tipi di incontri fai quando lavori per un museo oppure per la regia di un film?

Conosco sempre persone molto diverse, anche nelle mie amicizie sono molto eterogenea. Sono curiosa, ognuno può darti stimoli. Non sono particolarmente fissata con una tipologia, credo sia molto più creativo variare. Quando fai un film sei prevalentemente con attori e la troupe, sono tutti molto concentrati e devi ottimizzare il tempo ed i soldi (che sono sempre pochi!) quindi hai uno spazio di interazione limitato. I rapporti di amicizia ovviamente possono esistere, ma per forza di cose li coltivi al di fuori del set. Mentre ero a Faenza per l’istallazione, mi interessava molto il rapporto con la gente che passava di lì. Ad esempio il parere del guardia-sala, oppure i visitatori che non sapevano che tu, che eri lì, ne eri l’autrice e quindi commentava liberamente. E’ sempre utile spiare un po’ in queste situazioni, mi piace questo dietro le quinte. Da artista, una volta che concludo l’opera, cerco di scomparire. Ci sto volentieri attorno, ma mi camuffo tra la gente ed evito di presenziare.

 

 

Cosa fa la società per te?

Mi da degli stimoli, degli input per tentare di cambiarla.

 

 

Cosa fai tu per la società e per la città che abiti?

Quando riesco a lavorare con gli enti, assume molta importanza il mio lavoro di percezione del territorio, sempre se mi è permesso farlo. C’è sempre una responsabilità in ciascuno di noi per i luoghi che abitiamo. Dovremmo impegnarci tutti. A parte i progetti di rilevanza pubblica, come persona mi sento sempre in costante ricerca. Posso essere rompiscatole, provocatoria, critica; ma non credo di esserlo gratuitamente, cerco sempre di agire per stimolare e dare un contributo – almeno a livello di pensiero – rispetto a quello che accade. E’ molto importante la testimonianza di come vivi e l’interazione con le persone che incontri.

 

 

Una cosa bella che ti è capitata di recente?

Sicuramente l’aver ricevuto l’ok per una performance/installazione sul tema della guerra in uno spazio pubblico. La prima sarà a Bassano del Grappa alla fine di quest’estate, mi piacerebbe anche portarla in alcuni teatri di guerra, vedremo…

 

 

Una passione culinaria?

Mangio tanto, come un lupo e volentieri. Adoro le crespelle.

 

 

Che vino/bevanda preferisci e perché?

Vino, preferibilmente rosso.

 

 

La musica o un libro che t’accompagna ora, a parte i tuoi?

Ho ripreso e lentamente me lo porto avanti da due anni, insieme ad altri libri, Alla Ricerca del Tempo Perduto (À la recherche du temps perdu) di Proust. Amo molto la musica classica, da camera ma non la lirica, ed autori come Stravinski o Mahler che rimane sempre al confine con autori più contemporanei che a loro volta si situano in punti di passaggio di epoche (anche la letteratura: amo l’800, è una zona di confine). Sul rock, direi Led Zeppelin. Da ragazzina, tra i poeti, ero una fan di Rimbaud e Baudelaire, che tuttora rimangono tra i miei preferiti.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

Tendere a vedere sempre gli aspetti di trasformazione della realtà, insomma quel che si può migliorare. E’ anche un difetto, se ci pensi bene, perché puoi alla fine non vedere la realtà per quel che è. Un talento che proprio non ho forse è la pazienza. Certe volte, sì, non ho pazienza.

 

 

Quali sono i tuoi metodi per vivere lentamente?

Sono un gatto, posso stare ferma per ore a fissare il soffitto e poi scattare all’improvviso.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Ognuno è responsabile di quello che fa.

 

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