Stefania, restauratrice

La tua storia in dieci righe

 

Nasco in Venezuela nel 1976, dopo mia sorella, da emigrati veneti. Lì c’era già il fratello maggiore di mio padre che si occupava di costruzioni e ci sono rimasta fino ai nove anni. Mio padre, nostalgico, decide poi di tornare in Italia.

Ho fatto il liceo classico. La professoressa di storia dell’arte mi disse che avevo talento e mi suggerì di occuparmi di restauri. L’anno della maturità vinsi una borsa di studio della Comunità Europea e andai a fare pratica in una cooperativa di decorazioni e restauri a Treviso dove mi occupai di tele (e poi affrescammo l’acquedotto). Dopo decisi di non fare l’università ma una scuola di restauro a Padova. Durante vinsi un’altra borsa con il progetto Leonardo e andai a Jerez de La Frontera dove lavorai al museo archeologico occupandomi di sculture lignee da processione (quelle con i panneggi ed i broccati d’oro) ed anche di reperti (ceramiche). Finita la scuola ebbi il mio primo contratto a Venezia in una delle botteghe più importanti del settore: restaurai Giotto, gli Scrovegni, Carpaccio, Bellini, San Donato (attribuito a Paolo Veneziano), la chiesa di San Giobbe. L’ultimo Tiepolo da restaurare l’hanno dato a loro: il capo restauratore, con 50 anni di esperienza, applica la foderatura (o re-intelatura) alla veneta.

Poi venni assunta, da un’azienda veneziana dove ho lavorato undici anni. Nel frattempo mi venne diagnosticata la malattia. Lo ricordo ancora, accadde mentre lavoravamo ad una villa meravigliosa a Mantova (di Colaninno), l’architetto era Fuksas. Alla fine un piromane bruciò tutto il nostro lavoro. Per noi restauratori fu un grande dolore.

Durante quella commissione dormivo fuori casa e lavoravo molto, cominciai ad avvertire indolenzimenti alle braccia, pensavo fossero dovuti al materasso scomodo. Avevo 29 anni. Non sentivo più la differenza tra un cacciavite ed un cotton fioc quando erano nelle mie tasche. Tornai a casa e andai dal dottore. Mi esaminarono, per ultimo, il midollo. Avevo già avuto un’avvisaglia (quando restauravo gli Scrovegni): mi venne una paralisi al nervo del trigemino.

La diagnosi: sclerosi multipla. Avevo da pensare a me, alla malattia e lasciai quel lavoro prestigioso ed un prezioso contratto a tempo indeterminato. Non smisi di lavorare come restauratrice, tuttavia.

Per essere ammalata da dieci anni, sto benissimo, come vedi. Riesco a lavorare e ho una vita piena. Poi arriva la crisi, molto forte nel nostro settore, e quindi ho dovuto industriarmi per trovare comunque lavoro con le mie competenze. I cantieri sono pieni di stranieri che non hanno la competenza e che ti dicono di usare malta bastarda perché secca prima. La Bellezza dell’Italia viene fuori dal fatto che non si usava il cemento ma materiali belli con invecchiamento ed elasticità impareggiabili. Ecco perché ci invidiano. I ponti dei Romani in Sardegna sono ancora in piedi mentre quelli nuovi sono venuti giù ad uno ad uno con gli alluvioni.

Questo mondo purtroppo vuole andare soltanto veloce ed usa preparati che sono molto lontani da quelli descritti nel trattato di Cennino Cennini (1300), a cui invece aziende serie di restauro si ispirano. Usavamo nervi, pelli di pergamena, colli di coniglio, pesce, bue – tutti materiali naturali che adesso vanno sparendo.

Non trovando lavoro, poco fa ho aiutato un amico a Venezia a pitturare una barca a vela su cui lui ed un altro avevano già messo le mani sbagliando prodotto. Era come spalmare polenta sul velluto. Il maestro d’ascia all’interno del cantiere mi ha notata e mi ha presa a lavorare con lui. Tra stare a casa e non far niente e fare un mestiere (che non è il mio ma ci assomiglia), ho preferito accettare.. Una barca va portata a nuovo, più nuovo è meglio è e più lucida è meglio è (devono andare nell’acqua veloci, coerenti e lisce). Una tela antica, al contrario, va conservata con tutti i segni del tempo – la storia deve apparire nell’opera d’arte.

Mi occupo di ogni tipo di barca, anche di alluminio.

 

 

Cosa succede quando ti vedono in cantiere, tu che vieni dal mondo dell’arte?

A parte il fatto che sono una donna (e questo in un cantiere sbalordisce), quando vedono quello che sai fare, sono felici. Io faccio diluizioni da restauro (50%, 70%: più è diluita più va in profondità), loro invece spalmano la vernice così come la trovano in negozio. Facilito le cose introducendo la paglietta accanto allo sverniciatore – ed altre tecniche che mi vengono naturali..

 

 

Che tipo di incontri fai quando lavori tra le barche, a parte maestri d’ascia?

Il cantiere dove lavoro è in una piccola marina. Arrivano barche da altri paesi. Un viaggiatore, che faceva il giro del mondo partendo dalla Corsica, si è fermato a Venezia per un problema al motore e i vecchi non lo capivano. Io l’ho aiutato traducendo dal francese. L’armatore aveva un catamarano che non potevano permettersi in molti, credimi. Sono rimasta ancora in contatto con lo skipper, Joef, che mi aggiorna sulle tappe del loro viaggio. Mi ha chiesto consigli sul restauro di un tek in barca. Mi ha mandato delle foto quando li ha applicati. Il mondo delle barche a vela è bellissimo.

 

 

Cosa fai per la società e cosa fai tu per la società?

La società attualmente non fa molto per me, però sono fiduciosa perché in fondo la società siamo noi. Tutti sempre a colpevolizzare i politici. Quanti saranno nel nostro paese, quelli in carica? 300, 400 su milioni di cittadini? Io vivo a Venezia, sono una persona graziata dalla vita. Nonostante sia molto difficile vivere qui, sono immersa nella bellezza più pura e, avendo studiato arte, per me è ancora più importante essere qui e non altrove.

In ogni città trovo amici e persone che mi aiutano. Ad esempio questo maestro d’ascia è un grande. Mi insegna tutto, non ha remore e condivide tutto con me. Se mi facevi questa domanda solo due mesi fa, molto probabilmente ti avrei dato una risposta disperata. Ora va meglio.

 

Quando ero più giovane facevo, invece, volontariato con gli anziani. Ora per la società faccio volontariato con i bambini, negli ultimi due anni di lavoro dopo il licenziamento, ho frequentato anche un corso Steiner. Oltre all’amore per i bambini perché ho una nipotina piccola, volevo studiare cos’è un uomo in crescita, ho imparato i diversi temperamenti e come siamo diversi – il che ci rende belli come i fiori del mondo nonostante l’economia cerchi di uniformarci. Il valore dell’uomo è la sua unicità.

Un’altra cosa che faccio volentieri è andare a pulire, soprattutto a Pellestrina. Nell’isola mi conoscono bene, parto da Venezia e arrivo lì non con il costume ma con i sacchi. Sono rifiuti che cadono (o vengono buttati) dalle navi.

Buttare una sigaretta in Canal Grande è come ingoiarla: non sai quanto mi dispera vedere quotidianamente centinaia tra tassisti, gondolieri e trasportatori farlo ed usare questo luogo come loro pattumiera spesso svuotando i cestini dei loro rifiuti. Assurdo! Non vorrei che il mondo fosse così inquinato perché il mondo siamo noi.

Il futuro arriva se proteggiamo il passato millenario (la natura) e se ci prendiamo cura del presente. Vedi, non m’illudo di riuscire a fare tutto (ad esempio a Pellestrina spesso trovo boe abbandonate che sono più pesanti di me e che non riesco a spostare), tuttavia faccio quel che mi è possibile. Stanno morendo tutti gli archetipi più semplici: tartarughe, balene. Per comprendere questi fenomeni mi ha aiutato molto l’antroposofia di Steiner.

 

 

Cose belle capitate di recente?

 

In genere ho abbastanza un cuor contento. Al matrimonio di amici a Milano, vicino alla Certosa di Pavia, c’erano tanti animali. Mi ha fatto felice essere circondata da tante caprette curiose, mi ha dato pace. Sono rimasta lì a lungo.

 

La persona con cui lavoro oggi sulle barche è molto attenta alla mia salute. L’altro giorno avevo un problema all’occhio e mi ha chiamata per sapere come stavo. Nel mio vecchio lavoro non avevo tutte queste attenzioni e mi fanno ben pensare: un mondo migliore è possibile.

Io guardo il bello, il brutto cerco di dimenticarlo.

 

Infine l’incontro con un ragazzo che mi ha svelato la storia alchemica del mondo. Da lui bevo avidamente la conoscenza.

 

Guardo con altri occhi grazie alla scuola Steineriana. Vado spregiudicata e provo. Ecco perché ho potuto iniziare anche una nuova vita nel restauro.

 

 

Un libro che è con te ora?

Ho finito ieri di leggere La Pantera di Stefano Benni. Ogni giorno leggo anche qualche pagina de La Leggenda Aurea, un libro del 1300 che parla della vita dei santi. Ho molti libri e non ho la tv. Ho riletto il Don Chisciotte, che anni prima avevo iniziato e mai finito. Ora l’ho trovato molto bello.

 

 

Un talento che hai e uno che ti manca

Quelli che ho: la parola e l’ironia. Parlo moltissimo, a volte posso essere noiosa ma a volte posso aiutare. Magari consolo. Anche quando sono in ospedale per una mia crisi, sono sempre lì che rido e scherzo e quando vado via, sono tutti tristi. La vita è dolore, lo ha detto già Schopenhauer, almeno scherziamoci su!

Vorrei saper disegnare di più. Anche sulla parola, vorrei essere più calibrata e anche i miei maestri me l’hanno detto, dato che comunque la parola trasporta energia. Infine vorrei conoscere l’inglese meglio, lo parlo bene ma senza averlo mai studiato (oltre all’italiano, parlo anche francese, spagnolo e un po’ di russo). Il russo l’ho imparato ad un corso gratuito per disoccupati, mi piace molto. E’ difficile usarlo per il restauro delle icone, che usano una lingua molto arcaica, pre-cirillica.

 

 

Le tue passioni culinarie e di bevande, tenendo conto che stai curando la sclerosi attraverso una rivoluzione nell’alimentazione

Sono sempre stata una grande cuoca. La cucina rappresenta l’apice della socialità. E’ un gesto altruistico e non mi meraviglia che noi siamo i migliori: l’Italia è un paese di coste, che naturalmente, nei secoli, ha accolto lo straniero.

Mia nonna aveva una trattoria a Treviso, bombardata e distrutta in guerra. A tutti noi insegnò un piatto e a me disse: sei una da gnocchi! Prima mi spedì in bicicletta a comprare le patate giuste (vecchie, farinose e piene di terra) e poi mi insegnò a prepararli con poca farina.

Per curare la malattia, ho scoperto molte nuove cose da mangiare, come quelle senza glutine. Faccio ottime pizze senza pomodoro e mozzarella, uso farine di miglio con lievito sintetico, le condisco con zucca e ricotta affumicata di pecora.

Anche se non posso berli più, adoro i vini rossi: i nostri migliori sono il raboso ed il cabernet franc. Mio padre coltivava anche due filari di prosecco accanto a quelli del rosso. Non è fatto con i lieviti, viene imbottigliato dalle cinque alle sette volte in base alla luna: ne puoi bere una cassa che non ti viene mal di testa perché il suo frizzare è naturale.

 

 

Che strategia applichi per vivere lenta

Sono un essere lentissimo.

La vita non è il tempo del calendario ma quello degli astri. Io starei nei ritmi del cosmo. Per rallentare la mia vita, vivo a Venezia, vado molto a piedi. Chi viene a vivere qui sceglie un posto flemmatico e ne deve essere cosciente.

Con la malattia, mi hanno detto di cambiare qualità della vita e anche del sonno. Ultimamente vado a letto il più presto possibile e dormo moltissimo.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Ogni cosa che ci succede ha un senso, significa che dobbiamo passare sotto quella porta. Se prima ero arrabbiata con la mia malattia, ora no. Le avversità servono per strutturarci. Ho imparato, inoltre, che devi amare gli altri – tutti.

2 risposte a “Stefania, restauratrice”

  1. Luca Rossi

    Ciao Stefy !! sei sempre straordinaria grazie per queste schegge di Gioia !

    Rispondi
  2. Francesco

    grande ste

    Rispondi

Lascia un commento