Suad, Baku

Un palazzo veneziano (chiamato Barbaro-Curtis) è protagonista, al pari di Baku, in una mostra site specific che ha un catalogo che sembra più un bel libro di storia e storie che solo un bel catalogo d’arte – e, ovviamente, tutta questa conversazione ha la Biennale di Venezia come sfondo.

 

Questo, in pillole, il nostro incontro con Suad, che cura The Union of Fire and Water mostra di artisti dell’Azerbaijan che è anche più bella del padiglione ufficiale della nazione (solo due portoni più in là di Palazzo Barbaro)

 

Suad lavora per una fondazione non-profit, YARAT, che è stata fondata da artisti nel 2011 (la fondatrice, Aida Mahmudova è la giovane nipote della first lady della Repubblica).

Yarat, il cui nuovo direttore strategico è Bjorn Geldhof (ex vice-direttore di un’altra fondazione, stavolta ucraina molto attiva nelle arti, il Pinchuk Art Centre, il cui nome deriva dall’omonimo tycoon dei media che la finanzia) adesso ha una nuova casa, un grande edificio sul Caspian Boulevard. Si occupa di ricercare e diffondere l’arte dell’Asia Centrale e delle nazioni occidentali ai cittadini di Baku, e ovviamente della promozione degli artisti locali sia in patria che fuori.

Queste nazioni sembrano molto molto immerse nei grandi temi della politica e ovviamente nelle loro economie derivanti dal petrolio, ma il tocco di Suad invece è molto colto – ed estremamente conscio del contesto in cui si muove.

 

Quindi, dopo aver letto la sua storia, avete ancora tempo per scoprire, ad ingresso gratuito, sia la mostra veneziana sia quella a Baku. La prima finisce il 22 novembre e la seconda il 9 gennaio prossimo, si intitola The Heart is a Lonely Hunter ed è una mostra collettiva concentrata di più su grafica e video-arte, in collaborazione con Rhizome (New Museum, New York).

 

Quest’intervista ha avuto un inizio a telefono mentre i noti venti di Baku bisbigliavano attorno a noi – senza sosta. Ed è finite online poche ore fa.

 

 

La tua storia in dieci righe, o poco più. Con un accenno alla tua infanzia ed ai tuoi studi

 

Ho iniziato da qui.

Prima ho studiato a Baku poi sono andata all’università in Inghilterra dove mi sono laureata in filosofia, scienze politiche ed economia alla London School of Economics. Ho lavorato un po’ in finanza lì (alla Lehman Brothers prima della bancarotta e a Nomura) e a quel tempo l’arte la consideravo ancora un piccolo, grazioso passatempo. Poi le cose si sono evolute e ho deciso di lasciare la finanza e fare dell’arte una vera professione. Quindi, mi sono rimessa a studiare e ho preso un’altra laurea in arte moderna e contemporanea, soprattutto in studi curatoriali.

 

Sono nata a Baku trent’anni fa.

Ho un pezzo di famiglia a Londra ma la maggior parte di loro vive qui.

Ho avuto un’infanzia molto normale. Sono nata e crescita totalmente qui e poi mi sono trasferita a 18 anni per l’università dove sono rimasta per circa undici anni per ritrasferirmi qui, circa un anno fa, quando ho cominciato a lavorare per Yarat.

 

 

Curatore, manager, esperto di mercato dell’arte: quali sono tra questi ambiti, quello o quelli che ti rappresentano di più adesso?

 

Ora penso sia quello del curatore. Quando iniziai a lavorare per Sotheby’s, cercavano uno specialista con approccio curatoriale per esplorare il mercato dell’Asia Centrale e anche adesso, qui, alla fondazione, cercano la stessa esperienza per esplorare la scena artistica contemporanea nel paese e fuori.

La prima mostra che avevo organizzato per Sotheby’s (2013) andò molto bene e mi hanno chiesto di continuare a esplorare la scena contemporanea russa ed est-europea, con un occhio attento su artisti giovani e sulla video-arte che è anche un approccio assai inconsueto per una casa d’aste.

 

Quando poi mi sono occupata di un’altra mostra per loro, artisti da Istanbul a Kabul, ero già molto più sul task curatoriale che su quello di management. Quando sono stata invitata da Aida, la fondatrice di Yarat, a curare la seconda mostra della fondazione alla Biennale di Venezia, che è un evento collaterale di questo festival, fui incredibilmente felice di accettare. Quando mi hanno offerto di curare il programma di mostre a Yarat per il nuovo centro (prima della mostra veneziana), già collaboravo con loro ed ero consulente per gli artisti da seguire. E’ sempre molto importante sapere bene come si muove il mercato, perché tutto è collegato.

 

 

E come è avvenuto il tuo primo incontro con l’arte?

 

E’ stato con la mia famiglia (non nel senso che sono collezionisti). Anche se localmente, sono molto legati alla creatività, alcuni di loro sono compositori e direttori di orchestra e quindi sono cresciuta in un milieu molto artistico.

Una volta a Londra, ho iniziato a visitare gallerie di arte contemporanea e sono rimasta subito molto attratta dal contorno, molto alla moda, e quindi quello che era inizialmente un hobby è diventato via via importante a mano a mano che gli anni passavano. Quindi iniziai a studiare qualche corso introduttivo, poi m’iscrissi al master.

Immagino già allora fosse un lento perseguire una carriera, in fondo.

 

 

Yarat e la popolazione di Baku: che tipo di pubblico visita il nuovo centro e quanto di esso è giovane? Cosa amano fare di più: vedere mostre, partecipare a seminari, oppure incontrare altra gente? Il vostro programma di formazione nell’arte è gratuito?

 

Beh, sai che la nostra città ha appena superato 2.5 milioni di abitanti, la maggior parte è giovane e la popolazione è in crescita – sono molto molto abituati a frequentare festival e mostre, oltre che una grande varietà di altri eventi culturali, che vanno dall’artigianato all’opera. L’arte moderna (e quella sovietica) sono più note, insieme al periodo degli anni 60 e 70. E tutti i cittadini la conoscono anche grazie alla Baku Metro (la metropolitana) ricca di arte e di murales.

L’arte contemporanea qui è totalmente nuova ma è anche molto interessate per una popolazione così giovane: amano soprattutto il fatto di incontrarsi a una mostra, il lato sociale di questo tipo di eventi culturali. Amano soprattutto imparare qualcosa di nuovo, abbiamo un sacco di programmi di formazione e anche di proiezioni e ti dico, siamo molto molto orgogliosi di quanto siano frequentati. Tutto è sempre ad ingresso gratuito. Abbiamo anche un auditorium che ha 200 posti: è sempre pieno e spesso ci sono tante persone in piedi. C’è un sacco, davvero tanto interesse per questo tipo di programmi educativi ‘alternativi’ nell’arte, per questo conversazioni, conferenze, seminari, proiezioni sono tra le più seguite delle nostre attività.

 

 

Gli artisti azeri sono più residenti o espatriati? Qual è la relazione degli artisti con la sfera politica?

 

Molti artisti preferiscono vivere qui, alcuni vivono anche all’estero, per esempio il pittore Niyaz Najafov, Babi Badalov..Poi anche il famoso fotografo Rena Efendi.

Il contingente più numeroso di artisti tuttavia vive qui, perché è qui che prendono la maggior parte d’ispirazione, il materiale migliore. Anche se imparano nuove tecniche, anche se sono invitati all’estero, anche se guadagnano più notorietà, anche se spesso partecipano a residenze, la maggior parte dei loro studi è sempre qui a Baku perché qui succedono un sacco di cose e c’è ora un sacco da fare.

A proposito della situazione politica: dipende, direi. Alcuni artisti sono molto lontani da questo soggetto. Certo, sicuramente l’evento politico che ha maggiormente influenzato gli artisti è stato il collasso dell’Unione Sovietica ma poi si sono aperti a nuovi sviluppi o a nuove idee, ai nuovi stili di vita e a cosa significano in relazione alle vecchie tradizioni (molti di essi, ad esempio, rivisitano proprio le tradizioni, alcuni invece le mettono in discussione). Alcuni di essi sono critici nei confronti della situazione politica attuale ma questo dipende, da artista ad artista: qui la scena è molto varia e ognuno è alla ricerca del proprio linguaggio.

 

 

Il più importante traguardo raggiunto come curatrice e quello, invece, più personale?

 

Il progetto veneziano nel Palazzo Barbaro durante la Biennale significa molto, sia da un punto di vista personale che professionale, dati i risultati. In particolare dal punto di vista personale, è stato un grande momento emotivo lungo un intero anno della mia vita, un anno denso. Come gruppo di lavoro, devo anche dire che siamo entrati a confronto con una storia che si svolge lungo tanti secoli e torna (da Venezia) alla mia città natale: è molto molto emozionante e ci ha anche concesso di rileggere la nostra storia, in un certo senso.

Questo anno coincide anche con il mio ritorno a Baku, con il fatto quindi di riscoprire la mia città di nuovo, nella sua forma attuale, dal vivo!

In più – dopo tutto il lavoro intenso con il palazzo, con la Biennale, insomma durante tutto il processo – la relazione con i due artisti invitati a creare le opere a partire dalla storia che raccontiamo, e dal palazzo stesso, è stata così appagante e così forte!

Come donna, penso sia sempre molto importante per me creare la vita a partire dal fatto che sia un essere umano più che una donna – più come una persona, direi. Sono riuscita a costruirmi una vita molto indipendente e ad avere un solido gruppo di amici, sia a Baku sia a Londra, e ho lavorato davvero duro per costruirmi una professione…Certo, mi piacerebbe avere dei figli un giorno ma per questo mi devi rifare la domanda tra qualche anno….

 

 

Cosa ti da Baku e viceversa?

 

E’ la mia casa, la mia cultura, la mia eredità, mi da tanto, non importa dove io vada. Lo sento tantissimo e sono così legata a tutto questo: la forza di questo legame è importante per me.

Tuttavia, questo legame è forte anche con la cultura del luogo in generale, con la creazione e con la musica. Baku mi ha dato ciò che sono, il dono più importante. Dato che la città cambia a velocità folle, ci sono continui, ed eccitanti, rivolgimenti quando sei qui.

Cosa do io a Baku? (silenzio, sorride) Mhhh, il fatto che io crei progetti, il fatto che inviti artisti – che è il mio impegno professionale attuale – qui e il fatto di usare materiali da Baku e contatti da Baku per sviluppare nuovi progetti che saranno visti in tutto il mondo, con Baku come soggetto…certo, forse questo può contare in qualche modo. Più in generale il fatto che noi (insieme ai fondatori e agli altri colleghi) portiamo avanti un centro per le arti come Yarat non significa solo lavorare per l’arte ma per la città intera…può fare la differenza. In questo senso tutti stiamo contribuendo!

 

 

Una tua passione culinaria?

 

Sono una cuoca tremenda ma adoro mangiare. Adoro il cibo. Il cibo italiano è fantastico ma preferisco quello azero :).

 

 

La tua bevanda preferita?

 

Preferisco acqua frizzante o limonata, non amo molto il vino. Oppure, offrimi un cappuccino se ti va!

 

 

La musica ed il libro con te in questo momento (e dove si trova)?

 

Adesso leggo My Name is Red di Orhan Pamuk. Una sorta di poliziesco medievale ambientato ad Istanbul durante l’Impero Ottomano – una bella indagine della vita e della cultura della città in quei tempi, ma anche un bel ritratto delle relazioni della città con i suoi vicini, l’impero persiano, quindi noi.

 

E’ sul divano:)

 

 

Dove sei riuscita a vivere lentamente in questo mondo (se ci sei riuscita)?

A Venezia! Sono arrivata un mese prima dell’installazione della mostra e mi sono perdutamente innamorata della città, delle sue strade strette, dei ponti, delle chiese e del ritmo dell’acqua. Spero di tornare presto.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

 

La curiosità: sono curiosa di tutto e adoro imparare nuove cose, incontrare nuove persone. Quindi, non mi annoio mai.

Avrei sempre desiderato cantare o suonare qualche strumento. Ho tentato con il pianoforte e con la chitarra una volta, ma non sono molto brava:)

 

 

Cosa hai imparato fin qui dalla vita?

 

Ad essere aperta a nuove esperienze e a mettermi sempre in discussione. E anche che è ok lasciare tutto e iniziare daccapo, perché non sai mai dove andrai a finire!

 

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