Zachary, regista

La tua storia in dieci righe

I miei nonni materni erano ebrei polacchi fuggiti in Argentina nel 1939, più tardi immigrarono negli Stati Uniti. Il lato paterno è invece un mix basco e Maya. Sono nato nel 1974 in una comune nel West Virginia da una madre single, sono cresciuto in una capanna senza elettricità ed acqua calda. Avevo sette anni quando ci siamo trasferiti a Oakland (California). Identità, confine e viaggio sono temi che hanno sempre fatto parte della mia vita. Ho visitato circa cinquanta paesi e vissuto in Argentina, Brasile, Bolivia, Venezuela, Italia, Francia, Germania, negli Emirati Arabi, Oman, Tunisia, Tailandia e Corea. Anche la formazione è un grande tema per me – adesso inizio il mio quindicesimo anno di istruzione superiore (sette a UC Berkeley dove ho studiato letteratura e lingue, otto alla New York University dove ho studiato sceneggiatura drammatica e film). Nel frattempo, ho sempre cercato di ampliare i miei orizzonti, visitando campi di rifugiati, mercati illegali d’armi e prigioni di massima sicurezza, giusto per citarne alcuni.

 

Come ti definiresti? Un filmmaker, uno storyteller? Oppure…?

Curioso, mi sono sempre trovato in difficoltà nel trovare una definizione per me – fosse quella del drammaturgo, dello sceneggiatore, o del regista – fino al trasferimento a Berlino, che invece mi ha concesso di vedere quella scatola in cui New York cercava di infilarmi. Ora mi sento libero, semplicemente, di creare dei lavori – alcuni sono più narrativi, altri sono semplici ritratti. La società del consumo non è a suo agio quando non riesce ad etichettarti perché non sa come venderti. E’ un problema che affronto quando cerco di finanziare il mio progetto – non aderisco a nessuna delle linee guida usate dagli altri.

 

Quali sono le sfide principali nella tua attività artistica?

Varie e numerose. Penso che le principali che affronto possano ricadere in due categorie: personali e finanziarie. La prima è la chiave per la creatività, trovare nuove storie da raccontare e come – spesso è una questione di credere in se stessi e aver voglia di prendere rischi – veramente ti mette in rischio fallimento ma ti dà’ anche l’opportunità di creare qualcosa di originale. La seconda parte: convincere gli altri a credere alla tua visione e partecipare alla corsa con te.

 

Qualche incontro particolare accaduto durante la tua attività artistica? Raccontaci qualche dettaglio.

Ogni film su cui lavoro mi cambia in qualche modo fondamentale e mi sento incredibilmente fortunato ad essere in grado di lavorare in campi così diversi. In una di queste occasioni, ho lavorato con un attore non professionista che aveva passato 25 anni in prigione. Sapere che da bambino ha vissuto in una casa-famiglia protetta, sentire della rapina a mano armata andata a male, e sapere che è poi diventato un esperto di storia della Seconda Guerra Mondiale e nonostante tutto che ancora non riesca a trovare un lavoro al minimo salariale è stato illuminante.

Lavorare nei film mi ha concesso di conoscere zingari, musicisti sperimentali, reginette di bellezza e attivisti disabili – e tutti loro mi hanno insegnato cose sulla vita che hanno confortato il mio desiderio di raccontare storie che vadano fuori i confine della cultura mainstream.

 

Cosa fa la società per te?

Mi dà il mio contesto lavorativo. Mi dà il senso della mia vita quando mi autorizza a guardare indietro e vedere come le cose cambiano e anche guardare avanti, sognare come la vita “potrebbe” essere. Senza un pubblico, il mio lavoro sarebbe incompleto.

 

Cosa fai tu per la società?

Spero di ispirare molte domande circa la nostra società, il modo in cui viviamo, i nostri valori e la nostra relazione verso noi stessi e verso gli altri. Spero che le mie storie facciano emozionare e anche che incoraggino le persone a pensare, a fare domande e a cercarsi da soli le risposte.

 

C’è qualcosa di speciale che ti ha sorpreso recentemente?

Stavo pensando molto al fatto che un frame cinematografico fosse più uno sguardo di quanto fosse immagine. Ho fatto una residenza estiva in Cecoslovacchia e stavo parlando con un artista visivo, Richard Ashrowan, sul solo guardare le cose – lo sguardo esteso – e come qualche volta può iniziare a rivelarsi in profondità. Il giorno successivo ero in giro a passeggiare nei campi di grano e ho deciso di scegliere un oggetto e fissarlo per quindici minuti. Ho scelto un vecchio spaventapasseri seduto in un giardino abbandonato, poco lontano. All’inizio ho notato i vestiti strappati legati attorno alle tavole – poi ho visto i lacci pendolare dalle braccia – i vecchi barattoli che ondeggiavano nell’aria e facevano rumore. Mi è sembrato un modo veramente intelligente ed economico per tenere lontani gli uccelli, combinando sia movimenti che suono. Ma, continuando a guardarlo, ho realizzato le strisce bianche sulle spalle e sul petto: erano cacche d’uccello. Mi ha fatto ridere forte. Avevo davanti uno spaventapasseri così inutile che gli uccelli lo usavano come un trespolo e addirittura ci facevano la cacca. L’intero significato dipendeva dal mio “sguardo”.

 

Una passione culinaria?

Insalate. Avevamo un orto meraviglioso quando crescevo e l’unica regola era che dovevo mangiare quello che coglievo. Quindi miscelavo le mie insalate a seconda della stagione ma cercavo di includere sempre qualche frutto, noci e formaggio.

 

Che vino/drink?

La mia vita ha attraversato fasi differenti, maggiormente determinate dal luogo in cui vivevo. Quest’anno direi, definitivamente, birra. La Germania ti fa questo. Mi piace un sacco la birra di frumento non filtrata.

 

La musica od il libro (non tuo) che è/sono con te ora. E anche la musica/libro che non dimenticherai mai.

Adesso leggo Berlin School Glossary, una serie di saggi che parla della new wave del cinema tedesco denominata ‘Berliner Schule’. In pratica è un movimento che si sviluppa dalla caduta del muro, caratterizzato da narrative meno tradizionali e take più lunghi e dal fatto che preferisce osservazione a trama e stati dell’essere ad azione. E’ stata una gioia per me scoprire questo gruppo di filmmakers che non vengono solo da Berlino, ma anche da Monaco, Amburgo, Vienna. Ci sono film davvero bellissimi che hanno anche avuto successi ai festival ma poi sono restati in gran parte poco diffusi. Vale la pena di conoscere di più registi come Christian Petzold, Benjamin Heisenberg, Maren Ade e Maria Speth.

Uno dei miei libri preferiti è The Master of Go di Yasunari Kawabata, scritto prima sotto forma di articoli di giornale quando era un giovane giornalista commentatore di uno di questi rari campionati nel 1938. Era poco prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando tutte le vecchie tradizioni venivano messe in discussione da una generazione più giovane e più pragmatica, in qualche maniera presagiva già la sconfitta nipponica. Anni dopo, Kawabata trasformò gli articoli in un romanzo. L’eleganza, l’economia e la profondità degli scritti mi ha ricordato le poesie tradizionali giapponesi, gli Haiku. Una nota a margine: cerca il libro nella traduzione di Edward Seidensticker – un altro genio assoluto.

 

Qualè il tuo più importante progetto artistico?

Il mio prossimo progetto, Between Day and Night, è un film sulla libertà. Parla di prendere la propria strada e superare quelle cose che ci costringono: società, famiglia, economia, pregiudizio, dubbi – dato che per ciascuno è un qualcosa di differente. E’ una sorta di documentario narrativo/sperimentale che segue una dozzina di artisti (musicisti, ballerini, un fotografo, un attore e un pittore) che hanno vissuto e lavorato a Berlino nell’inverno 2014/15. Il nostro gruppo di immigrati recenti ben presto si mescola con i tipi problematici locali; tedeschi sangue misto, turchi di seconda generazione, richiedenti asilo africani, berlinesi dell’est che ancora devono adattarsi oppure scacciati dalle loro case a causa della ‘gentrificazione’. Le storie si dipanano e si intersecano a Reuterkiez, una zona problematica di Berlino, un quartiere tradizionalmente turco ed arabo dove un terzo della popolazione è straniero e un altro terzo è disoccupato. Ancora una volta, è il brio e l’effervescenza di questo luogo che da’ a Berlino il suo spirito bohemien.

 

Un talento che hai e uno che ti manca?

Penso di saper ascoltare le persone. E’ quello che fa di me un buon narratore e mi aiuta a collaborare con altri artisti.

Un talento che non ho? Mi piacerebbe essere più bravo a chiedere aiuto. Fare film può essere un processo assai impegnativo – di sicuro troppo per una persona sola.

 

Quali sono i tuoi metodi per vivere una vita “lenta”?

Dormo otto ore a note non importa a che ora vada a letto (è un lusso che mi concedo), mangio cibo fresco e faccio sport. Cerco sempre di essere nel momento, non importa cosa io faccia. Significa che ogni persona a cui parlo deve essere una reale connessione. E’ più difficile di come sembra.

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Che il duro lavoro, la generosità ed un piccolo ego ti porteranno lontano. Poche cose nella vita sono veramente importanti. I nostri circoli del benessere sono più piccoli delle nostre abilità. Quando non capisci qualcuno o qualcosa, è solo perché ti sei perso qualche informazione. Ognuno è diverso; quel che è giusto per qualcuno potrebbe essere sbagliato per altri.

 

PER SOSTENERE IL FILM DI ZACH:

Se sei interessato a scoprire di più sul documentario Between Day and Night e magari contribuire alla sua realizzazione, puoi scrivere a characterz at gmail dot com

“Abbiamo un team di talento, già premiato di recente sia alla Mostra del Cinema di Venezia sia alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes. Ma ci manca ancora qualche tassello essenziale che ci permette di realizzare la nostra visione.”

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