Mi piace il mio lavoro, mi piacciono le rondini.
Le ho studiate a lungo. Non tutte le rondini, naturalmente, ma solo una specifica varietà, la rondine comune, l’Hirundo rustica. Di tutto quello che c’è da sapere su quegli uccelli, mi sono sempre e solo occupato della loro specifica attitudine migratoria. Dell’arte che hanno di volare da un emisfero all’altro sapendo sempre dove andare e quando andare.
Non sono gli unici animali che sanno farlo, e neppure gli unici uccelli. Ho scelto le rondini perché da ragazzino ho imparato ad avere una grande familiarità con loro. Al tempo che con Dinetto siamo andati ad abitare in salita dell’Incarnazione ce le avevamo sotto casa. Sotto il tetto di casa. Avevano fatto un nido sopra il telaio della finestra del bagno. Il nido c’era già quando siamo arrivati e Dinetto non ha voluto toglierlo.
Arrivavano ogni anno per aprile; la solita coppia che è venuta a passare l’estate da noi per anni e anni. Quando si sono fatte troppo vecchie, hanno passato la proprietà ai figli. E oggi, se i nuovi inquilini non hanno fatto danni, arrivano i pronipoti. Le rondini sono testardamente fedeli ai loro nidi. Anche quando i nidi hanno difetti che di solito bastano a scoraggiare un inquilino.
Il nido di salita dell’Incarnazione era difettoso. Era stato costruito senza prevedere che con l’avvento dell’igienista Dinetto la finestra del bagno sarebbe stata per la maggior parte del tempo aperta. Quel nido non teneva conto che, aperta la finestra, la tazza del cesso era sull’esatta traiettoria dell’atterraggio. Un altro problema di trigonometria, più complicato del problema di Marguerite a Timaussù.
Le rondini hanno un volo veloce ed un atterraggio velocissimo e nevrastenico; atterrano con una picchiata da vertigine, deparando nell’ultima frazione di secondo. Vanno così di fretta che qualche volta sbagliano la mira, e a quella velocità non è facile cabrare e tornarsene su. Così finivano dritte nella tazza del water.
Non avevo ancora sei anni quando ho cominciato a tirare su rondini dal cesso. Sapevano di aver sbagliato e si comportavano bene: si facevano prendere senza abbandonarsi a isterismi e si involavano dalle mie mani senza lasciarmi un graffio. Le rondini hanno artigli molto robusti, devono tenersi ben salde sui fili della luce.
La faccenda delle rondini nel cesso è andata avanti fino a quando Dinetto il tappollista ha trovato la sua soluzione. Ha montato dei deflettori di compensato alla base del nido e li ha dipinti di un bel giallo intenso perché fossero ben visibili. Credo che si fosse ispirato alle portaerei.
Di quel tempo mi è rimasta la sensibilità delle mani, la destrezza nel saper tenere una rondine senza innervosirla, intiepidirla senza soffocarla, lasciarle prendere il volo senza ferirle le penne remiganti; le rondini hanno remiganti molto delicate.
E’ stata una buona partenza. Il lavoro di un etologo è soprattutto una questione di capacità manuale; ho passato gran parte della mia carriera a inanellare zampe, sfogliare e contare penne, ficcare pipette nei gozzi, raschiare escrementi. In caso di necessità ho usato le mie labbra come becco per imboccare pulcini, le tasche della mia giacca come nidi. Qualche volte ci ho dimenticato dentro un uccello per un paio di giorni. L’Hirundo è molto adattabile, è stato un gran vantaggio che non si fosse trattato di aironi o cicogne. L’Hirundo è di indole accomodante, è robusta e abitudinaria, si lavora bene con loro. Hanno anche un buon odore, un odore tiepido ed appena muschiato.
Ho cominciato a studiare dopo aver lasciato la casa di salita dell’Incarnazione. Dinetto era già in viaggio per il paradiso dei tappollisti, gli occhi di Liz erano da tempo sepolti nel suo archivio segreto, il banco del tinello era pieno di gabbiette per canarini nuove di zecca. Pagode, chalet, templi e grattacieli laccati di rosso, di giallo, di blu. Tutte vuote.
Ho chiuso bene la finestra del bagno e ho preso la via delle rondini. Le rondini sono talmente abitudinarie che si possono fissare dei buoni appuntamenti; sono migratrici con l’ossessione della puntualità.
Père Foucault ha lasciato scritto: “Solo quando non so quando non so dove andare so che arriverò da qualche parte. Solo quando ho una meta, so che non arriverò mai”.
Se è vero, come dice dimah Tighritz che anche père Foucault ha incontrato il viaggiatore del deserto, è probabile che abbia scritto queste parole guardando l’uomo con la sua bottiglia vuota riprendere il viaggio millenario verso est. Ma certamente non conosceva bene le rondini, l’akharal, il “vento morbido”. Le rondini hanno una meta e la raggiungono sempre, spaccando il minuto. E’ per questa ragione che sono considerati eccellenti migratori.
In realtà i migratori non vanno da nessuna parte, i migratori ritornano, sempre e soltanto. Il loro andare e venire è un perpetuo ritorno.
Scrive sempre père Foucault: “Comunque sia forte il suo desiderio e grande la sua forza d’animo, nessuno tornerà mai da dove è venuto”. Pensava forse al paese dove ha vissuto la sua prima vita, a Parigi, alla Cote d’Azur. E ancora: “La via del ritorno è una falsa pista disseminata di miraggi. Il luogo a cui anela la nostalgia dell’uomo ha cessato di esistere nell’attimo stesso in cui gli ha voltato le spalle”.
Non credo di capire esattamente cosa intenda père Foucault. Se un giorno mi capitasse di dimostrare che le rondini che arrivano all’Assekrem si guardano attorno e ancora vedono le praterie popolate di cervi e i fiumi spumeggianti di salmoni, che hanno visto le loro antenate la prima volta che sono venute, potrei allora affermare di aver raggiunto l’apice della mia carriera. Al momento non c’è scienza umana che possa spingersi fino alla mente delle rondini. O al cuore.
Maurizio Maggiani (pag. 40-42), Il viaggiatore Notturno, I narratori Feltrinelli 2005
Cover: Robert Smithson, Dead Tree, 1969, reconstructed 2015. Tree, mirrors, dimensions variable