Andrés, architetto

Le nostre vite, elettroniche, sono sempre di corsa. Su e giù da aerei, treni. Dentro e fuori qualche conference call.

Ho avuto la possibilità, più volte, di vederlo in diverse ore a Venezia il mese scorso ma non sono stata così rapida ad acciuffarlo per sederci a conversare. Quando ho riprovato, successivamente, non è stato possibile: quindi quest’intervista non nasce guardandosi negli occhi (neanche via skype) ma solo dal rumore dei tasti che formano le lettere e una dopo l’altra le parole. Sebbene via email, una sorta di conversazione diciamo che c’è stata. Lui ha 43 anni, è spagnolo e fa l’architetto. Recentemente ha vinto un premio, il Leone d’Argento, come miglior progetto di ricerca alla sezione Monditalia alla Mostra di Architettura (in corso a Venezia fino al 23 novembre). Si chiama Andrés Jaque.

Ha vinto il premio grazie a un film molto particolare: Sales Oddity. Milano 2 and the Politics of Direct-to-home TV Urbanism. E’ la storia, assolutamente ben documentata, della nascita di Milano 2 e di come, dopo questa epocale esperienza urbanistica, si possa parlare di vendita televisiva di nuovi negozi e appartamenti, insomma una vera rivoluzione in fatto di urbanismo e produzione di paesaggio costruito. E non si parla mica di una periferia qualsiasi, ma della porzione ad est della più grande città del nord italiano, Milano. Si racconta come l’impero di Berlusconi sia stato costruito e come, perché e a che livello le sue partizioni (ad esempio le TV) abbiano cambiato il modo in cui nascono le città o nuovi modelli sociali, come si vendano e poi, solo dopo, come vengano veramente costruite. Sebbene i temi siano veramente importanti, il film è molto dettagliato nell’aneddotica ed è dotato di un incredibile humour anche quando si accosta a temi piuttosto sconvolgenti. La colonna sonora è costituita solo da un’incredibile magniloquenza oratoria con una progressione imperdibile sulla storia italiana. Se visiterete questa mostra, la Biennale di Architettura a Venezia, il film si trova nel mezzo della sezione denominata Monditalia alle Corderie dell’Arsenale. Mi raccomando di mettervi comodi, cercate di sedervi o portate uno sgabello, ne avrete bisogno!

Monditalia non espone architetture costruite ma piuttosto fa il punto sul fallimento delle architetture e sugli attuali confini del mestiere. Di più, contiene visioni incredibili di giovani e diversamente giovani architetti sull’Italia ed oltre, tutti esposti per il grande valore di ricerca applicata che contengono. Avevo già notato come Andrès concepisce il suo mestiere in un’altra edizione del festival veneziano, dove aveva esposto (nel 2010) When Decoration comes Political. Installation for the central space: in poche parole, una sorta di diagramma colorato sul muro che ha rappresentato l’insieme di decisioni, scelte ed altre azioni che governano lo stato di un appartamento (reale, si trovava in Spagna) condiviso da quattro residenti. Più recentemente, ho sentito della sua performance Ikea Disobedients, acquisita nella collezione permanente del MoMA dopo essere stata presentata per la prima volta in formato video. Prima di imbarcarvi nella lettura di questa intervista, vi suggerisco di leggere le incredibili parole di cui si compone Sales Oddity (trovate il link al catalogo nella sezione multimedia di questo post).

La tua storia in dieci righe.

Dal 2001 dirigo Office for Political Innovation, uno studio di architettura che lavora per capire quale ruolo abbia oggi l’architettura nella formazione delle società. Abbiamo sviluppato progetti come ESCARAVOX, Plasencia Clergy House, House in Never Never Land oppure TUPPER HOME – tutti ampiamente dibattuti nel nostro mondo. In ognuno di essi abbiamo cercato di sperimentare nozioni assai contemporanee di politica travasate in sistemi materiali e costruttivi. Abbiamo anche sviluppato progetti come “PHANTOM, Mies as Rendered Society” dove abbiamo dimostrato quanto ciò che le persone amino di Mies van der Rohe non è provocato dal lavoro di un solo uomo ma da quanto abbia prodotto un’intera società. Pensiamo che l’architettura sia una “società ricreata tecnologicamente”. E’ un approccio che cerchiamo di sviluppare con i nostri progetti architettonici, di ricerca e con i nostri esperimenti pedagogici che sviluppo anche come professore alla Columbia GSAPP (Graduate School of Architecture, Planning and Preservation) ed all’Università di Princeton.

Che incontri fai quando lavori? Ci fai un ritratto di qualcuno di questi?

Lavoro tra New York (dove insegno), Madrid (dove si trova il mio ufficio) e tutti gli altri posti dove abbiamo progetti in corso. Attualmente, per esempio, posti come l’Olanda od Holon (Israele).

Le mie varie routine dipendono principalmente da dove mi trovo o da come interagisco con le persone con cui devo lavorare. Ad esempio, l’interazione online è assolutamente più rilevante di quella offline. La maggior parte delle volte. La mia vita personale si poggia su una serie di interessi: alcuni super local, come la relazione con parenti ed amici. Altri super generali, quali la partecipazione all’evoluzione della sfera politica, dei film, della letteratura, del giornalismo, della moda o dell’architettura. Mi capita soprattutto attraverso le riviste, i paper di ricerca o spettacoli. Questi sono, in pratica, i luoghi dove la mia vita si sviluppa.

Quanto ti è stato difficile iniziare l’attività imprenditoriale e quanto è difficile lavorare oggi?

Immagino sia duro come accadeva prima che cominciassi. In molti modi, tuttavia, è più facile per via della rapidità di accesso a quel che accade in altre parti del mondo (che prima non c’era) e che abilità tutti a trovare informazioni su ogni tipo di azione o sfera vicine ai propri interessi, spesso connettendosi direttamente con chi li origina. Dall’altro lato, ci sono network di poteri che spesso determinano la possibilità di partecipare a processi desiderabili e questi network invece tendono ad essere molto più inaccessibili.

Cosa pensi la società stia facendo per te e cosa tu per la società?

Non c’è modo per rispondere a queste domande. Io sono la società e non si può parlare di cosa do io e cosa, invece, lei. Tutto quel che sono è parte di processi sociali.

Una cosa bella che ti è capitata di recente?

Di sicuro è stato molto eccitante essere invitati da Rem Koolhaas e dal suo studio OMA a partecipare alla Biennale di Architettura di Venezia e poi ricevere il premio. In qualche maniera è la celebrazione del fatto che l’architettura si prende le sue responsabilità a riguardo di come la vita di tutti i giorni viene considerata e costruita.

Condividi con noi le tue passioni culinarie?

Tante, troppe. Ad esempio il gazpacho.

Qual è il tuo vino o drink preferito?

Acqua. Bevo fino a tre litri di acqua del rubinetto tutti i giorni.

E la musica od il libro con te ora?

Eichmann in Jerusalem, di Hannah Arendt.

Un talento che hai e uno che ti manca?

Sono perseverante. Ma anche impaziente.

Cosa hai imparato dalla vita?

La necessità di dormire bene e quella di ascoltare sempre attivamente quando inizi una conversazione.

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