Concetta, poetessa e scrittrice

La tua vita in poche righe

Bella sfida…allora, da dove partire? Direi dagli anni di Università, che quelli di prima sono trascorsi nella tranquillità stagnante della provincia piccolo borghese e io ero solo una ragazzina piena di belle promesse. 

È approdata agli studi universitari, infatti, che inizia la mia formazione umana e spirituale: divoro libri di letteratura, seguo cineforum, aderisco all’occupazione studentesca, frequento Officina 99 e il Tien’a ment, pogo ai concerti…e intanto faccio esami, prima alla facoltà di Psicologia, che poi quasi subito lascio per quella di Filosofia.

Dopo gli anni “ruggenti”  e gli innumerevoli pomeriggi passati nel cortile della facoltà a via Porta di Massa, con la mia laurea in tasca decido di studiare giornalismo e comunicazione. Passo da un giornale all’altro, divento pubblicista, ma è solo quando inizio a lavorare per le Edizioni Intra Moenia, come redattrice ed editor, che inizio sul serio a divertirmi. In quegli anni a cavallo tra il 2011 e il 2014 scrivo i miei primi libri, poi, nel 2014, col mio compagno e con mia figlia decido di andar via da Napoli. Ha inizio un capitolo nuovo, sotto un cielo diverso, con nuovi attori e differenti scenari..


Di Lama Affilata è il tuo ultimo libro di poesie ma hai anche scritto e curato libri di narrativa, informazione, guide e libri fotografici. 

La tua poesia è molto ricca, in forme quasi di canzone-poesia (per la ritmica e la lunghezza, ma spesso inviti musicisti a collaborare con te per i reading).

Anche questa raccolta non fa eccezione?

Tra tutti gli altri libri, il tuo preferito che non coincide magari con quello più venduto…

Ho iniziato a “usare” la scrittura sin da giovanissima per buttare giù pensieri e sentimenti. Sono cresciuta in compagnia delle mie parole e ho riempito diari interi, fino a che non mi è stato proposto il primo lavoro di ricerca storica e curatela di alcuni volumi di una bellissima collana. Da lì in poi, la scrittura è diventato il mio arnese di lavoro e ho iniziato a affrontare diversi argomenti: le già citate ricerche storiche, guide storico artistiche della mia città, ho curato testi narrativi, ho scritto d’arte, seguendo per anni il lavoro artistico del mio compagno. Poi c’è tutto il capitolo dell’attività giornalistica; conservo un ricordo bellissimo degli anni a Il Roma. Mi occupavo di cronaca e scrivevo della periferia orientale. In quegli anni vivevo a Ponticelli e in certi luoghi “difficili” il giornalismo diventa inevitabilmente militanza.

Ad ogni modo, la poesia è quella a cui tengo di più , quella a cui affido il mio caotico universo emotivo. La scrittura poetica è un irrinunciabile strumento di sublimazione di stati d’animo che a volte mi mettono un po’ in difficoltà…Attraverso la poesia riesco a far pace col non senso degli eventi e a esprimere compiutamente la melanconia che mi caratterizza. Di lama affilata è una raccolta di poesie uscita qualche settimana fa e io sono molto soddisfatta del lavoro fatto, ma sto già pensando al prossimo libro.

Il lavoro a cui tengo di più è però il mio primo: “ ‘O vascio. Breve storia dei bassi napoletani”, avventura editoriale fantastica affrontata insieme all’amico Sergio Siano, fotografo eccezionale e grande appassionato di storia della città.


Altro mestiere di vivere, diverso e complementare, è la recitazione (soprattutto teatro)

Il teatro è l’altro mio grande amore. Scoperto per caso e per gioco molti anni fa, quando presi parte a una performance del mio compagno Walter Picardi. Eravamo nello storico teatro Spazio Libero, diretto dall’indimenticabile Vittorio Lucariello. Un luogo in cui si è scritto un bel pezzo di teatro underground, si è sperimentata libertà espressiva, ma soprattutto un luogo in cui mi sono divertita tantissimo. Ho passato mesi e mesi chiusa lì dentro a provare spettacoli, e ho realizzato che oltre a divertirmi, il teatro mi procura emozioni forti. Come con la scrittura, quando faccio teatro mi sembra di toccare con mano la materia viva e fragile di cui è fatta la vita. Un piacere e un brivido di cui non riesco a fare più a meno.


Durissima e avara Napoli oppure ogni tanto concede di ‘deporre le lame’? In ogni caso, ci sei tornata.

La verità è che io non volevo andar via da questa città. Ho solo seguito il mio compagno che, lui sì, non ne poteva più. Nell’anno in cui lasciammo Napoli sono stata malissimo e tutto il luccicare di Londra non è bastato a farmi dimenticare la mia “sporca e indiavolata” Partenope. Gli anni londinesi sono stati tosti, mi mancava tutto di Napoli, sebbene l’efficienza della capitale inglese mi coccolasse non poco. Ma non mi è mai bastato che gli autobus arrivassero in orario o che negli uffici il personale fosse educato. Napoli, con tutte le sue manchevolezze, resta una città il cui calore e il cui colore è qualcosa di cui non sono riuscita a fare a meno. Ed ora eccomi qui, tra il caos e l’inefficienza, arrabbiata e al tempo stesso innamorata di questa città, come una madre di un figlio scapestrato.


Ci descrivi la scena di entrambe le tue arti ‘principali’, la poesia e il teatro? 

Mi sembra cheta e in subbuglio nello stesso tempo, al netto del napalm della pandemia.

Il mio rapporto con la scrittura non ha mai avuto battute di arresto, e si fa via via più maturo e consapevole. Proprio la pandemia e la conseguente perdita di un lavoro che non mi piaceva mi hanno dato l’occasione di capire che devo necessariamente lavorare di ciò che mi appassiona, vincendo la sfida di guadagnarmi da vivere con il mestiere di scrivere. E la scena  che si delinea è tutt’altro che cheta; ho idee, progetti, collaborazioni in cantiere, sono in piena unione amorosa con le mie parole.

Il teatro è cosa più complessa e la scena, quella sì, è cheta per il momento. Andando via da Napoli anni fa ho interrotto un percorso di attrice che mi stava regalando non poche soddisfazioni. Oggi riprendere non è affatto semplice a causa della pandemia e delle limitazioni che persistono e che hanno colpito soprattutto gli spettacoli e la cultura. Ma anche per quanto riguarda il teatro, ho intenzione di riprendere il cammino interrotto, per ora mi sto allenando a ritrovare confidenza con il palcoscenico.   


Te e la città: ritmi, luoghi…

Napoli è una città che va veloce, non sempre nel senso migliore del termine però. Intendo dire che l’umore generale, o meglio l’atmosfera che si respira in vicoli e piazze è sempre un po’ sopra le righe, caotica e confusionaria. A volte mi pare di avvertire una voglia smodata di fare e divertirsi, che spesso reputo nient’altro che un inconcludente desiderio di “far rumore”, più che un costruttivo obiettivo di crescita. Su  quest’ultimo punto infatti, la città si mostra molto lenta, ahimè!

Diciamo pure che quest’aria frizzantina e leggera, d’altra parte, mi ha aiutata  tante volte a superare momenti di stagnazione personale. Basta farsi un giro nei vichi e nei mercati rionali e la ventata di energia pura che ti investe è sufficiente a farti scrollare di dosso ogni costruzione troppo mentale e a rimettere tutto nella giusta prospettiva. 

C’è poi una Napoli che mi proietta in una dimensione sognante ed è quella classica del mare. Mi piace passeggiare da sola perché camminare risponde a un’esigenza di ritrovamento, e non è solo il bellissimo lungomare Caracciolo, anzi, se devo scegliere, preferisco il mare della periferia, un nome su tutti: San Giovanni a Teduccio. 

Il quartiere ha un litorale magnifico, e non perché sia ameno, quanto per la poesia maledetta che trasuda dagli scogli, dalla spiaggia vulcanica, dai relitti di un’età industriale morta da tempo, dalla solitudine malinconica in cui è immerso. Un luogo fermo nel tempo, autentico.


Un libro e una canzone con te in questo momento.

Ho da poco terminato il libro di un’autrice che non conoscevo prima: Chandra Livia Candiani. Un testo dal titolo molto evocativo, “Questo immenso non sapere”. Il libro si sviluppa come un diario in cui la scrittrice annota di giorno in giorno pensieri, ricordi e rivelazioni. Quale intimo piacere e che illuminazione leggere quelle note così intime per scoprire cose di cui non m’ero accorta io stessa! Riflessioni e considerazioni che rispondono a un dubbio, visioni che spiegano, parole che traducono quella sensazione a cui ancora non avevo dato un nome. Questo è quello che mi è accaduto con Livia Candiani, libro che mi è stato regalato e che quindi reputo ancor più prezioso, poiché ogni scoperta fatta è un dono doppio. 

Una canzone? Eh, ce ne se sono tante in questo periodo. In ognuna si canta una parte di me: The same deep water as you dei The Cure, This mess we’re in dei fantastici Pj Harvey e Thom Yorke, This is the wheeping song di Nick Cave, solo per citartene alcune. Per me l’ascolto della musica è un’esperienza immersiva; mi dedico per interi giorni a un solo cantante o band, mi “impregno” della sua poetica e poi passo oltre.


Un talento che vorresti e uno che senti tuo.

Partiamo da quello che ho…sicuramente la capacità di mettermi in discussione, lo spirito critico e autocritico, la capacità di sentire gli altri e le cose intorno.

Quello che non ho? Hmm…a volte mi è mancato il coraggio di andare fino in fondo…in un’ode di Pindaro si legge “Diventa ciò che sei, avendolo appreso”. Bene, il percorso verso l’apprendimento e la conoscenza di sé mi coinvolge non poco e procede con una relativa comodità, è il “divenire ciò che si è” che trovo più impegnativo e non sempre mi riesce. Credo tuttavia che non si tratti solo di un limite personale, è piuttosto la gabbia in cui inevitabilmente siamo costretti dalla società a rendere arduo questo compito, che reputo tuttavia imprescindibile. Infatti, se mi chiedi qual è il mio obiettivo, ti rispondo senza esitazioni: divenire ciò che sono! 


Cosa hai imparato sin qui dalla vita.

Lo dirò citando il buon vecchio Lucio Battisti: che “troppo spesso la prudenza è solamente la saggezza più stagnante”. E tanto altro ancora.

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