Il mio primo insegnante mi disse che
la scultura involveva la deità.
Non stava parlando dei vecchi tempi, tipo
plasmare un uomo da una costola.
Fuori dalla terra. Un dio può vedere qualcosa
che non esiste ancora in questo mondo. Chi
avrebbe potuto immaginare la giraffa,
il polipo, la platessa? Chi
avrebbe potuto immaginare le nostre sensibilità affilate,
le nostre contorsioni? I materiali stavano
tutti lì – occhi, sangue, il respiro.
ma, ancora, li hanno fatti daccapo. Ora io so
che in questi tempi una tale visione
è contro la scienza, ma l’idea di un dio è tanto reale
quanto dio non lo sia. Uno scienziato che vede
cosa è stato fatto
versus un altro che può fare paglie dall’oro.
O, ancora, la plastica dal petrolio.
La carta dagli alberi. Tu
devi solo decidere che tipo vuoi essere.
Stiamo sbagliando quando mettiamo sullo stesso piano il saggio
ed il profetico. State sempre guardano
sia indietro che davanti.
Questo pezzo vi pone su un precipizio.
Sta a voi
scegliere in che modo cadere. E’ tutto lì.
Lo scienziato e l’artista una volta erano tutt’uno –
in quale altro modo potete registrare
cosa dite? In che altro modo trovereste un modo di vedere?
Rebecca Morgan Frank (USA), da The spokes of Venus, Canergie Mellon University Press, 2016 (fonte: Poetry Foundation), traduzione a cura di Slow Words
Per leggere e scoprire di più sulla poetessa (in lingua inglese): https://rebeccamorganfrank.com/
L’immagine di copertina è una citazione da Franz Kafka, Il Castello ed è un’opera d’arte del collettivo Claire Fontaine, vista ad Art Basel da Air de Paris