Daniel, studente

La tua storia sin qui.

Sono nato a gennaio 1991. Provengo da una cittadina sul lago d’Orta, in Piemonte, e là ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza. In realtà non mi sono mai sentito parte integrante della mia città natale né ho mai veramente condiviso i valori ed il modo di vivere della mia zona, al tempo incentrati su una religiosità cieca e di facciata e sulla centralità dello sport. Questo senso di estraneità si è concretizzato durante la mia infanzia nella creazione sistematica di un mondo fantastico e di un ciclo di analoghi racconti ambientati in esso. Spesso raccontavo queste storie a coetanei ed insegnanti, ricavandone molte volte un feedback positivo. Tuttavia, nonostante l’etichetta di scrittore, affibbiatami da amici e parenti, non mi sono mai risolto a pubblicare né i racconti iniziali né la lunga cronaca scritta in seguito e terminata ai tempi del liceo. La curiosità ed il senso di estraneità mi hanno invece spinto a guardare oltre i confini dell’Europa e, all’età di quattordici anni, ad interessarmi al mondo islamico. Importante è stato anche il ruolo dei miei genitori, viaggiavamo in molti Paesi extraeuropei dove ho aperto la mente ad altre realtà. Quello che inizialmente era un interesse “esotico “ con il passare degli anni si è ben presto trasformato in una passione, spingendomi alla lettura di alcune fra le più importanti opere della letteratura persiana. In particolare, il didascalico Golestan di Sa’adi ed il poema epico Shahnameh di Ferdousi hanno contribuito a plasmare i miei gusti ed i miei interessi durante tutta l’adolescenza. Nonostante l’opposizione morale di genitori, parenti ed amici, che condividevano lo stesso pregiudizio nei confronti di una cultura estranea e incivile, ho deciso di studiare il persiano e l’arabo all’università e mi sono trasferito a Venezia nel 2010. Qui ho coltivato con soddisfazione non solo la mia passione per la letteratura persiana ma anche il mio interesse per l’arte e la musica. Prima di ottenere la laurea triennale ho infine vissuto per un mese e mezzo a Teheran, dove ho frequentato un corso di lingua persiana. Durante questa permanenza in Iran, che peraltro avevo già visitato con degli amici e compagni di corso l’anno precedente, mi sono recato in uno dei luoghi menzionati da Ferdousi nel suo Shahnameh, il Damavand, che sognavo di vedere con i miei occhi fin dall’età di sedici anni. Laureatomi, ho infine preferito prendermi qualche mese di tempo per decidere del mio futuro e ho deciso di utilizzare le lingue apprese in una prospettiva più concreta, ovvero applicarle ad un contesto economico. Ho fatto quindi domanda e sono stato ammesso ad un Master in Management alla London School of Economics and Political Science, che frequenterò a partire da settembre. Ora sto frequentando un corso di arabo classico in una scuola privata a Rabat, in Marocco.

Cosa ti ha dato la tua città e cosa hai dato tu a lei?

Ogni città in cui ho vissuto mi ha trasmesso dei valori e delle consapevolezze. La mia città natale mi ha fatto conoscere ed accettare posizioni diverse dalle mie e mi ha aiutato a comprendere quello che non voglio essere. Venezia, che amo, è invece la città che mi ha offerto l’indipendenza, mi ha irrorato di cultura e mi ha arricchito con la sua bellezza. Nello stesso tempo, questa città mi ha istruito a guardare oltre l’apparenza e la facciata (nei palazzi veneziani solo la facciata è decorata mentre i muri laterali sono piatti e privi di orpelli) e a carpire le cose nel loro contenuto. Di rimando io ho invece cercato di offrire qualcosa di mio alla città, per esempio proponendo testi persiani per il ciclo di letture La Casa delle Parole o collaborando ad alcuni eventi. In realtà, ho il rammarico di non aver fatto abbastanza.

Teheran mi ha invece offerto il calore dei suoi abitanti e la loro ospitalità. L’Iran è un Paese ricco di cultura e di umanità e viverci per un mese e mezzo mi ha sicuramente arricchito. A Teheran ho inoltre sperimentato cosa possa significare essere controllati da un governo autocratico e a gestire i problemi burocratici che ne conseguono. Una buona organizzazione è fondamentale per fare qualsiasi cosa senza perdere del tempo prezioso, cosa che sia in Iran sia in Italia manca! Rabat mi ha invece piacevolmente stupito per la sua tranquillità e per l’aria europea che si respira in alcuni suoi quartieri. E si mangia benissimo! Confido che la mia prossima città, Londra, possa offrirmi l’apertura mentale di un ambiente internazionale con le sue possibilità molteplici e -perché no?- nuovi spunti per definire i miei obiettivi e la mia carriera futura.

Cosa ti manca come studente e cosa invece hai?

L’indipendenza economica è forse l’elemento di cui sento maggiormente la mancanza. Tuttavia la vita da studente mi offre stimoli culturali che possono contribuire ad orientare i miei interessi nonché molto tempo libero per coltivare queste passioni.

Il tuo cibo e la tua bevanda preferita?

La purea di zucca e il filetto di vitello al pepe verde sono i miei cibi preferiti, anche se mi piacciono molto il tajin (verdure bollite con carne all’interno di un contenitore di terracotta chiamato tajiniyya, tipico del Marocco) e il fesenjun (anatra servita con salsa di noci e melograno, tipico dell’Iran). Non ho una bevanda preferita.

Che musica ascolti e che libro leggi adesso?

Amo molto la musica del periodo romantico. Tra i miei compositori preferiti cito Schubert, Franck, Tchaikovsky, Rachmaninov, Mahler e Liszt. Non apprezzo Mozart, troppo mieloso. Ultimamente, consigliato da alcuni amici, sto ascoltando anche molta musica barocca. Ora sto leggendo I demoni di Dostoevskij. Amo molto la letteratura russa.

Un talento che hai e uno che ti manca?

Non mi arrendo di fronte alle difficoltà, sono molto caparbio se voglio ottenere veramente una cosa. Tuttavia talvolta mi manca la costanza in quello che faccio.

Cosa hai imparato dalla vita fino ad ora?

Ho imparato che il mondo è costantemente in movimento e sia le situazioni sia le persone cambiano. Di conseguenza le relazioni e le passioni si modificano. Quello che è un amico oggi non lo sarà necessariamente domani e quello che è lo scopo della vita in un dato momento può apparire estraneo e anche ridicolo guardandosi indietro dopo solo pochi anni. Nulla dura per sempre ed è normale che a periodi piacevoli seguano momenti di stallo e di crisi. Fortunatamente talvolta accade anche il contrario. Di conseguenza, cerco di guardare a ciò che capita da questa prospettiva, assaporando e vivendo ogni momento al massimo, sapendo che questo è un solo attimo e potrebbe non ripetersi mai più. Inoltre ho imparato che l’onestà e la sincerità sono alla base di ogni vero rapporto e che le relazioni genuine in cui si agisce volendo il bene dell’altro costituiscono un valore che, in assenza di altri di natura religiosa o motivazionale, può dare senso alla vita. Infine mi sono reso conto che troppe volte ci si preoccupa di problemi che in realtà non esistono ma sono solamente una proiezione della nostra mente, e si perde così d’occhio quello che è il vero problema, ovvero che siamo tutti destinati a morire e che quello che a cui si tende in funzione di elementi esteriori, come una carriera brillante o il successo, alla lunga non ha alcun senso. Un lutto familiare e la lettura di La morte di Ivan Ilic e Padre Sergej di Tolstoj sono stati illuminanti su questo punto. Di conseguenza cerco di vivere mettendo al primo piano quelli che ritengo siano i veri valori: avere rapporti umani di qualità e dare agli altri ciò che possa arricchirli. Purtroppo è molto difficile agire così: la quantità di stimoli che tendono in direzione opposta è molto elevata, soprattutto nella nostra società.

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