Darren, Climate Conference + Melbourne

La tua storia in poche righe, con un accento speciale agli anni della formazione

Sono nato alle Fiji (nel 1965) da genitori australiani. Mio padre era un tecnico radio all’Aeroporto internazionale di Nadi, mia madre un’infermiera all’ospedale dove nacqui. I miei primi ricordi, tutti molto felici, vengono da lì. La mia famiglia ha abitato in molti posti dentro e fuori l’Australia durante la mia infanzia – remoti o isolati, erano luoghi meravigliosi. Tra i memorabili, Papua Nuova Guinea e le Cocos Keeling Islands. Fu lì che divenni totalmente cosciente del tesoro naturale che mi circonda. Mi ricordo così vividamente di una piccola laguna, accanto alla nostra casa fatta di spiagge bianche perfette, parte della barriera che circondava l’intero atollo corallino. Il reef era totalmente, assolutamente vivo e si aggrappava al resto della vita tropicale di ogni forma e colore, infinitamente meravigliosa. Eravamo in grado di pescare facilmente a mani nude, erano così abbondanti. Ci sono tornato 30 anni dopo, la spiaggia è stata rimpiazzata da blocchi di cemento giganti, la laguna è sparita, il reef morto e la vita marina assai scarsa. In 30 anni la perfezione della natura e la sua vita abbondante che si sono formate in milioni di anni è stata virtualmente distrutta. Mi ha profondamente colpito.

 

Scattare è ricordare, ma alcune volte anche comprendere. E a volte con un’immagine hai la responsabilità di creare il primo, e forse unico, modo di approvvigionarsi di conoscenza specifica nel lettore. Senza contare che, fino ad un certo punto, la fotografia potrebbe essere un memento per aiutare in missioni impossibili. Tu (insieme ad un altro fotografo di Melbourne, Heath Campbell) hai iniziato una incredibile serie di ritratti di persone in un posto speciale, uno stato arcipelagico (membro delle Nazioni Unite) dell’Oceania – Kiribati – dove la tua arte supporterà una popolazione di circa 100.000 persone direttamente coinvolte dal cambiamento climatico e costrette a un rapido abbandono delle loro città a causa dell’innalzamento dei mari. La tua iniziativa no-profit Your Brother, Your Sister è anche un modo di dimostrare che la fotografia indipendente può produrre un cambiamento?

Il meglio che un fotografo possa desiderare è che le sue immagini possano creare consapevolezza e/o aiutare persone a a pensare e a sentire in modo differente. Con quel meccanismo di cui parli, le immagini possono cambiare (e hanno cambiato) il mondo. Fotografare, secondo me, dovrebbe essere fatto in modo responsabile e soprattutto consciamente. Io e Heath abbiamo portato le nostre macchine a Kiribati, di proposito con qualche minimo di piano in mente, ma ci abbiamo messo entrambi diversi giorni prima di cominciare a scattare. Prima di tutto volevamo che il luogo che le persone che incontravamo ci ‘guidassero’ su ciò che fosse giusto scattare. E’ un po’ difficile da spiegarlo a parole, posso dirti però che mi piace quando l’obiettivo è solo una piccola parte dell’esperienza. I I-Kiribati sono tra le persone più a rischio per i cambiamenti climatici ma anche i meno capaci a difendersi. E’ un obbligo per noi che viviamo in nazioni più sviluppate rendersi conto dell’impatto che il nostro stile di vita ha sui più vulnerabili. Devo anche aggiungere che gli effetti provocati dall’uomo sui cambiamenti climatici non sono neanche l’unico pericolo. Abbiamo deciso di documentare una sezione incrociata della vita contemporanea perché sia un mezzo per aumentare la consapevolezza e, consapevolmente, ridurre la minaccia.

 

Contribuendo con una donazione al tuo progetto, si aiuta anche l’ospedale centrale di Tungaru. Che tipo di bisogno ha oggi la popolazione in termini pratici? E quali quando il massiccio trasferimento inizierà?

Kiribati è una delle nazioni più povere al mondo. Riceve molti aiuti che fanno sì che le cose funzionino e il loro governo fa un lavoro davvero ammirevole nell’utilizzo di risorse limitate per prepararsi al futuro. E’ un compito chiaramente difficile, ci sono parecchie sfide. Quella più urgente è l’acqua potabile, non ci sono dubbi su questo. Tra le altre, la sostenibilità dell’approvvigionamento del cibo, la disinfestazione, la crescita della popolazione, l’educazione e le opportunità di impiego, l’inquinamento…la lista potrebbe continuare.

 

Hai speso dei giorni molto densi a ritrarre, in modo semplice e naturale, persone molto felici che sono forse non totalmente consce del fatto che porti le loro storie – e la loro gioia di vivere nonostante tutto – in luoghi dove altri governi decidono la loro vita o la loro morte: la conferenza sui cambiamenti climatici in corso a Parigi proprio nel giorno di questa intervista. Quanti giorni hai lavorato e perché prevalentemente di giorno? Tornerai a dire loro circa la reazione dell’altra parte del mondo alle loro storie?

Non sono il primo fotografo ad essere sorpreso di quanto siano felici le persone. Ho viaggiato molto e i I-Kiribati che ho incontrato (e scusa per essere così generalista) sono le più divertenti, felici, calde e generose e gentili che mi sia capitato di incontrare. E ci ho pensato così tanto a questo che molte idee mi ronzano in testa. Vivere il momento e divertirsi sembra ‘normale’. Anche l’essere sempre molto vicini alla famiglia e alla propria comunità, la mancanza di avidità, la condivisione di responsabilità, l’essere molto attivi (specialmente i bambini, così agili e dinamici), non rivoltarsi nella negatività. Siamo stati sempre molto chiari con loro sul progetto e ci siamo sentiti sempre totalmente accettati. Abbiamo scattato per 7 giorni, fantastici ma molto faticosi. Alcuni erano troppo afosi e la luce non era fantastica, quindi ci siamo riposati e abbiamo fatto editing. Spostarsi è stato più difficile del previsto dato che c’è una sola strada sull’isola principale di Tarawa e la stanno ricostruendo. Puoi impiegare anche 2 ore per fare 30 km, su minivan molto affollati e molto caldi. Di notte è molto buio, non ci sono luci sulle strade ed è molto molto difficile lavorare.

 

I prossimi passi del progetto dopo la mostra a Parigi?

Faremo altre mostre in Australia e Nuova Zelanda. Abbiamo avuto un grande supporto dal governo di Kiribati, e speriamo che anche loro mostrino le nostre immagini e ci aiutino a distribuire le stampe alle persone ritratte. Nei prossimi 12 mesi continueremo a fotografare per il progetto in posti del mondo con problemi simili sul Pacifico e torneremo anche a Kiribati.

 

Quanto sei cosciente del fatto che sei un poeta dell’ignoto quando ti spingi a realizzare progetti auto-commissionati di tipo umanitario o di salute pubblica come il reportage di Kiribati?

Per me la poesie, come la musica, le emozioni e i sentimenti possono permeare ogni esperienza lavorativa, che sia documentaria o artistica in natura. E’ come essere fatti d’aria, viaggiare attraverso diverse esperienze con me, guidandomi e aiutandomi per apprezzare veramente, e per comprendere, qualche volta di conforto. Alcune cose che ho ritratto sono scioccanti, creano scontri e diatribe. Spesso ‘processare’, rielaborare quello che ho potuto testimoniare può prendere del tempo. La poesia può essere una grande fonte di conforto e un modo di considerare che le mie esperienze e quelle delle persone che ho fotografato non sono isolate.

 

Qual è un buon modo di iniziare a fare fotografia di reportage per chi inizia oggi, durante forse la peggiore crisi del sistema di editoria tradizionale a cui eravamo abituati?

Sono forse il peggiore a dare consigli ma direi di non preoccuparsi troppo di dove le immagini saranno pubblicate e di concentrarsi solo a fare delle foto meravigliose. Imparare che ciò di cui hai bisogno è dovunque tu lascerai che i tuoi interessi, dubbi e sentimenti ti guidino. Scegli qualche soggetto a cui sei attaccato e inizia a costruire sulla base lavori tematici, sii versatile però, potresti metterci un po’ prima che tu possa vivere scattando solo ciò che ti piace. Fai progetti per te stesso, continua a farli e a migliorare questi corpus: sarà più facile vederli pubblicati.

 

Quanto è difficile iniziare, e continuare, a lavorare come imprenditore nel tuo campo oggi nella tua città, o in generale, in Australia?

La fotografia digitale è come un’arma a doppio taglio, facile da un lato e difficile dall’altro. Come ogni campo tuttavia, il duro lavoro è essenziale per molti di noi. Ci sono pochi fotografi ‘milionari’ in questo settore e quindi significa che il lavoro è diviso tra molti. Sono uno sfegatato sostenitore del principio dello ‘smettere di lavorare gratis’ e credo che pagamenti onesti per un buon lavoro siano molto importanti ovunque. Fare charity è anche importante ma c’è una differenza, nota come abilità, da pagare.

 

Che incontri fai nella tua routine?

I miei giorni sono assai vari. Se non sono troppo occupato, posso godermi ogni aspetto della fotografia. Essere organizzati aiuta a tenere il lavoro ad un ritmo divertente.

 

Il tuo più importante traguardo dopo che hai iniziato a lavorare come fotografo? E quello di una persona di questo mondo?

Realizzare che, anche se solo in un piccolo modo, quello che faccio è positivo per altri, allora amo farlo e quindi in qualche maniera ne porta altro ed è più sostenibile.

 

Come combini la lentezza della vita familiare e la ‘schizofrenia’ della tua attività?

Vanno molto bene assieme e si bilanciano l’un l’altra. Mia moglie è meravigliosa e non potrei farcela senza il suo aiuto.

 

Una cosa bella capitata di recente?

Svegliarmi. Non veramente, la gente dice cose del genere spesso, ma io non sono veramente una persona da mattina. Direi che mi sono capitate molte cose belle, ma guardare le mie figlie crescere (una di sette e le gemelle di 5) è troppo fantastico per me da raccontare. L’esperienza di Kiribati è stata costellata di momenti fantastici, comunicare con le persone laggiù e specialmente con i bambini, una grandissima energia. Ho da poco fotografato un ragazzo dopo un’operazione agli occhi, era finalmente in grado di vedere per la prima volta. Un’emozione sconvolgente.

 

Cosa ti dà la tua città e viceversa?

Credo che ‘quanto’ sono sia più importante di dove sono. Melbourne è una città fantastica ma è importante per me anche essere in altri posti il più spesso possibile.

 

Drink preferito?

Acqua, decisamente. E dopo, caffè.

 

La musica e il libro con te ora (e dove sono)?

Mi piace il violoncello, molto ben suonato. Ne vado matto e nulla è lontanamente paragonabile per me. Mi piace molto Hildur Guðnadóttir. Adesso ascolto Atomos X11 di A Winged Victory for the Sullen. Non leggo molto spesso, di solito c’è un numero di National Geographic da qualche parte, sul nostro divano gigante.

 

In che modo vivi lentamente se ti piace farlo, in una città come la tua?

E’ molto difficile, abbiamo una famiglia molto giovane. Direi, scappare dove non ho alcuna immagine da editare. E trovare spiagge deserte.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

Non sono sicuro ancora, potrei non averne alcuno. Mi piacerebbe saper suonare il violoncello (o anche la chitarra).

 

Dove ti vedi tra 10 anni?

Oh quello potrebbe rovinare il divertimento…Vicino alla mia famiglia di sicuro!

 

Cosa hai imparato fin qui dalla vita?

Essere cosciente che le tue azioni hanno conseguenze e tu ne sei responsabile. Vai in posti interessanti e sii quello che sei.

 

Per conoscere meglio il progetto Your Brother Your Sister di Darren James ed Heath Campbell (e per donare o per acquistare delle stampe di qualità):

http://yourbrotheryoursister.com/

Lascia un commento