Emidio Clementi, scrittore e rocker

 

Non capita tutti i giorni di imbattersi nel più incredibile tra i cantautori italiani – da molti anni anche uno scrittore di successo – che legge poesia. E che poesia: i versi di T.S. Eliot, per la precisione.

Emidio Clementi è una delle voci più raffinate del panorama post rock italiano con i suoi Massimo Volume ed una lunga carriera solista. Non soltanto canta, direi declama e diversifica dalla partitura grazie ad un ritmo vocale che resta unico – tanto da rendere l’atto dell’ascolto quasi rivoluzionario.

L’ho incontrato per la prima volta nella mia vita nell’ultimo posto dove avrei pensato.

Non era un club, non era un teatro, ma un mall del lusso abbarbicato sul ponte di Rialto (Venezia) di cui vi abbiamo già parlato, recensendo un libro sul suo restauro. Sovente, all’ultimo piano aperto alla città e ai suoi abitanti, si lascia spazio alla letteratura di classe e alla musica.

La sala era affollata da persone di tutte le età, me compresa che ho sempre ascoltato i suoi dischi e adesso ho iniziato a leggere i suoi romanzi, cominciando dall’ultimo, L’Amante Imperfetto di cui pubblichiamo un estratto.

Riacciuffatelo tuffandovi anche voi in uno dei suoi scritti. Prima di trascrivere questo dialogo ho riascoltato i suoi dischi – nel mentre, lo riascolto leggere i Quattro Quartetti.

 

 

La tua densa storia è in rete con una biografia perfetta su Wiki. In poche righe, mi piacerebbe sentire quello che non c’è. Magari gli anni di formazione che sono quelli di cui forse si sa meno o i sogni che avevi da bambino sull’Emidio che saresti voluto diventare

A dodici anni, forse, avrei voluto diventare un calciatore o vincere le OIimpiadi. Ma, poi, a ben vedere, le mie passioni sono sempre state le stesse. Già dall’adolescenza.

Anche se non pensavo, sarei diventato uno scrittore od un musicista.

Credo che d’importante davvero ci sia stato l’arrivo a Bologna quando avevo 18 anni. Una volta qui, non avevo già l’idea di lavorare nel mondo artistico: mi piaceva la città e qui ho trovato gente che m’ascoltava, che ha voluto leggere quello che tenevo chiuso nel cassetto.

E’ stato un passaggio fondamentale per me: mi ha dato sicurezza e stimoli. Tutto è arrivato in maniera casuale e confusa fino a trovarmi a capire che il mio mestiere sarebbe diventato quello.

 

 

Il corpo a corpo con la scrittura si sviluppa in te come ‘in parallelo’: voce/scrittura, forma canzone/poesia e prosa, ciascun binario dotato di proprie letture e proprie scelte stilistiche. Come scrittore ti dedichi più alla narrativa, ma per la tua creazione musicale o performativa sembri preferire la poesia, puoi dirci di più?

Alla fine sono due linguaggi differenti: in quello musicale il ritmo ti da’ una mano enorme e un’atmosfera, oltre che dei punti fermi nella composizione del testo. La forma canzone ha dei tempi più ristretti, dai 3 ai 3 minuti e mezzo: devi riuscire ad essere evocativo e comunicativo. Qui la scrittura è diversa da quella della pagina bianca, dove un ritmo devi crearlo tu solo e dove forse hai anche più responsabilità.

Per me i due linguaggi rimangono piuttosto difficili. Non ho mai avuto facilità a scrivere per la musica o per la narrativa. E’ anche, certo, gratificante quando esce qualcosa di bello (o che reputo bello): non credo ci sia una sensazione paragonabile a questa.

Ci sono stati dei periodi in cui sono stato costretto a scrivere in contemporanea testi di canzoni e pagine di racconti o di un romanzo nell’arco della stessa giornata: è difficile passare da una voce all’altra. E’ vero: è pur sempre scrittura e quindi in qualche maniera si fa.

Non è la stessa voce: lo ha notato anche chi conosceva solo i miei libri e poi si è avvicinato alla musica o viceversa. Le due voci non sono sovrapponibili.

Quando per una canzone hai tre minuti di tempo e devi considerare anche il ritmo e la musicalità, è chiaro che finisci nel ‘territorio’ della poesia. Questo è successo sempre di più, via via che passavano gli anni.

Nei primi dischi dei Massimo Volume c’erano dei racconti brevi che ho messo in musica con un’operazione di adattamento. Adesso forse al primo posto metto la musicalità e un ritmo che si adatti alla musica.

Non sono un ‘poeta’ in senso stretto, soprattutto perché non conosco le regola della rima e della metrica. La mia rimane una forma un po’ spuria, anche se molto vicina alla poesia.

Quando scrivo narrativa, rimango uno scrittore realista. Punto molto sulla chiarezza, su un’asciuttezza di stile. E in quel senso, mi definisco abbastanza ‘tradizionalista’.

 

 

La forma od il modulo biografico (o la ‘verosimiglianza’, nel senso che alla parola dona Pier Vittorio Tondelli in Rimini) nelle canzoni e nei romanzi (e ancor più il tuo rapporto viscerale con Bologna, che ti accomuna a Tondelli, peraltro) prendono strade diverse. 

Credi nella diversità di generi o lo fai perché vuoi parlare a diversi pubblici con intenzioni e registri diversi?

Raramente mi faccio una domanda a priori su quale pubblico mi legga o mi segua. Finisco a parlare sempre di me stesso perché – con tutti i dubbi del caso – è ciò che conosco meglio. E se non mi conosco tanto, almeno conosco e capisco ciò che accade intorno a me. O c’è una necessità o una padronanza di quello che sto raccontando. Inoltre, in un’operazione di selezione, riesco più facilmente a selezionare elementi di una scena, di un ambiente o di un dialogo perché ho maggiore chiarezza, avendoli vissuti.

Senza volerla ridurre, l’autobiografia può essere una tecnica stilistica in cui ancori (o fingi di ancorare) una trama ad un vissuto e quindi sei avvantaggiato grazie quell’operazione di verosimiglianza di cui qualsiasi opera d’arte ha bisogno, perché poi si finisce per crederci. Anche inserire delle date, dei luoghi è importante perché l’immedesimazione è più facile.

E’ difficile capire in cosa si ‘differenzi’ esattamente il mio racconto per un libro o per una canzone. In quest’ultima ho più possibilità (o necessità) di essere evocativo e lasciare in secondo piano la chiarezza. Ho già due linguaggi (quello musicale e la parola). Mentre devo puntare totalmente sulla chiarezza quando scrivo un racconto o un romanzo.

 

 

Forse le due anime creative del Clementi scrittore si pacificano e parlano all’unisono quando leggi poesie con musica. Da un anno porti in giro uno straordinario reading di T.S. Eliot (i sui Quattro Quartetti) che ti vede recitare insieme alla musica di Corrado Nuccini (musicista italiano nato nel 1974 che ha già collaborato ad altri progetti di Clementi). Cosa hai capito, ancora una volta, del pubblico di lettori/ascoltatori Italiani? E’ vero che la poesia non è affatto morta? Prossime date?

Siamo stati in tour da oltre un anno con i Quattro Quartetti, siamo stati da ultimo in Puglia a Gioia del Colle (2 febbraio) e saremo a Parma il 23 febbraio. Sono un po’ le ultime date.

Prevalentemente abbiamo portato lo spettacolo nell’ambiente ‘nostro’ – i club – e la gente che arrivava (da una parte mi gratifica) era arrivata per noi, conoscendo i nostri dischi con i Massimo Volume.

Mi ha stupito scoprire, durante le chiacchiere che sempre seguono lo spettacolo, non trovare qualcuno che arrivasse lì per Eliot – intendo appassionati del testo e del poeta che non conoscessero ne’ il lavoro mio ne’ quello di Corrado. Questo mi dispiace, nel caso di Eliot è sì un testo molto complesso e difficile ma è anche molto musicale.

E’ giusto che in uno spettacolo la gente si aspetti di vedere, appunto, uno spettacolo e quindi magari una parte di senso del testo si perda, tra interpretazione e musica. Spero che qualcuno, una volta a casa, si sia messo a cercare una copia dei Quattro Quartetti per l’approfondimento di un testo che è davvero molto bello.

In passato ero abituato solo a leggere scritti miei, ho sempre portato in scena i miei racconti e i miei romanzi. Lo scarto l’ho fatto in Notturno Americano dove ho scelto per la prima volta di leggere in musica Primo Dio di Emanuel Carnevali (era il caso di uno scrittore e di un testo che conoscevo molto bene). Non mi arrischierei mai a portare in scena uno spettacolo e delle parole che sento in qualche maniera distanti. Quando leggo i Quattro Quartetti è come se stessi leggendo qualcosa di mio.

 

 

Pensi di fare ancora operazioni del genere, mettere in scena e musica le parole di qualche altro scrittore?

Certo, credo e spero di sì. Se però mi chiedi ora cosa e chi, farei più fatica. Ad esempio, un libro che a me è piaciuto molto  – e che anche in quel caso trovo ritmico, quindi si adatterebbe – è Motel Chronicles di Sam Shepard. Magari succederà. Devo trovare un testo non tanto di cui mi possa innamorare (ce ne sono tantissimi!), ma che sia un vestito della mia misura e lì la scelta diventa più selettiva.

 

 

Te come lettore quando cerchi evasione e non nutrimento (sembra difficile, sulla carta, scindere le due necessità): che generi, che luoghi, che tempi? A proposito che libri hai con te adesso e che musica stai ascoltando, a parte la tua su cui magari stai lavorando?

Iniziamo dal luogo: ti direi lo studio di casa perché ho un divano-lettino dove mi sembra meraviglioso leggere. Sai, il tempo per la lettura non è mai facile da trovare ma se passa qualche giorno senza sento una mancanza, quasi fisica. E quindi me la prendo una rivincita sul tempo!

Mi piace leggere narrativa, soprattutto gli autori che mi piacciono e dove trovo un mondo che sento vicino.

Leggo un po’ di filosofia, quando non c’è un linguaggio molto tecnico che mi respinge.

Ultimamente sto leggendo un libro di Marco Vannini sulla mistica. Però sono abbastanza disordinato: un po’ annuso e poi ho mille lacune.

E’ anche vero che il campo creativo è diverso da quello del letterato e del critico, uno cerca ciò di cui ha bisogno. Non sai se darà i suoi frutti o quando. Mi è capitato spesso che – alla ricerca di una frase, di un’idea – sia andato a recuperare qualche lettura che avevo fatto mesi prima e che mi da’ un aggancio al vissuto o con quello che voglio descrivere. Rimango una persona curiosa, mediamente ignorante ma curiosa.

Oggi mi sono svegliato con un disco di Neil Young, ieri ho ascoltato dei quartetti di Bartók: anche lì i generi variano molto. Posso passare dalla classica al jazz, il rock continuo ad ascoltarlo tanto, mi piace l’elettronica e l’ambient.

 

 

E un giovane italiano, cantautore, che stai seguendo?

In particolare no, però un po’ alla scena sono legato. Non so, penso a Vasco Brondi, l’ho seguito sin dagli esordi. Mi piace Alessandro Grazian, che è un padovano. Anche lì rimango curioso, tanti nomi mi sfuggono o quelli che vanno per la maggiore non mi dicono niente perché non li ho mai ascoltati. Come per la letteratura, anche per la musica rimango un po’ indietro rispetto a quello che esce. A un certo punto quello che può interessarmi in qualche maniera lo ‘acchiappo’ …magari un anno dopo o due…Non leggo riviste musicali, leggo pochissimo le riviste letterarie (anche per questioni di tempo).

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca

L’unico forse talento che credo di avere – e me lo porto dietro dalle elementari, quando il maestro mi diceva ‘Clementi leggi tu che hai una bella voce’ – è forse la voce. Sono un autodidatta, non ci ho mai lavorato troppo.

Da piccolo avevo capito il senso della punteggiatura, anche se non capivo quello che leggevo. Quando leggevo sembrava avessi sempre molta partecipazione, ma in realtà non sempre capivo quello che stavo leggendo!

Senza modestia: tra le doti che non ho ce ne sono tantissime, ad esempio non sono dotato come musicista.

Forse ho una sensibilità a cogliere gli stati d’animo o l’agire delle persone che mi stanno accanto. Mi manca il senso di insieme e una struttura. Anche nei romanzi o nelle canzoni. Nei primi il momento del montaggio è sempre più drammatico, mentre le canzoni sono un lavoro d’equipe quindi è più facile.

 

 

Un dato biografico sui nostri ‘people from this world’: il 99% risponde a questa domanda dicendo che avrebbero voluto il dono del canto o la maestria di uno strumento musicale. Non importa a che latitudine vivono o che mestiere facciano. Adorano la musica di qualità e la consumano avidamente, vorrebbero diventare dei musicisti.

Più che la scrittura, è la musica ad essere liberatoria.

 

 

Dona anche molte più epifanie, che magari ri-consolidi con altri nutrimenti subito dopo averle ascoltate.

Cosa pensi di dare alla tua città e cosa pensi di ricevere in cambio anche se forse Bologna – la tua città d’elezione da molti anni – sta attraversando una parte buia della sua storia culturale?

Bologna mi ha dato una parte di me che non conoscevo, mi ha dato una moglie e due figlie. E quindi un po’, ma senza esagerare, mi ha fatto diventare quello che sono diventato.

Quello che ho dato io a Bologna? L’ho descritta, a modo mio: sicuramente non obiettivo. Ho raccontato delle strade di Bologna, in particolare di via del Pratello. E che continuo a raccontare.

Sai, Diana, è difficile dirlo se sta attraversando una parte buia, perché vivendoci non hai la distanza prospettica necessaria e giusta per renderti conto delle cose.

E’ probabilmente vero che rispetto ad altri anni è culturalmente meno stimolante ma nello stesso tempo se vuoi degli stimoli culturali, qui riesci ad averli.

Tutte le settimane ci sono gruppi che vengono a suonare, ci sono molti cinema. Forse è vero che si fa meno cultura rispetto ad altri tempi. C’è meno il clima di una città viva, ma io sono fatalista: rinascerà, ci sarà un’altra generazione più attenta e con più voglia di dialogare tra i suoi componenti. Pensando a quale città in cui andare a vivere (ho 50 anni e non ho nessuna voglia di trasferirmi), alla fine sono contento di Bologna.

 

 

Un posto segreto dove ti rifugi quando vuoi vivere con lentezza, se ti piace farlo di tanto in tanto?

Lo studio di casa, dove ho i miei dischi e i libri e il lettino di cui ti parlavo prima: è accogliente e mi rilassa.

C’è un posto a San Benedetto del Tronto (nelle Marche vicino alla sua città natale, Ascoli Piceno), una strada nei pressi del porto che ho anche descritto in una delle mie canzoni, che si chiama Via Vasco de Gama: lì vado a passeggiarci, mi dona un’aria da sogno e mi ricorda l’America di Steinbeck (John Ernst).

 

 

Dove ti vedi tra dieci anni?

Sempre a Bologna, a meno di cataclismi! Poi la vita porta sempre delle sorprese, chissà: già giro abbastanza di mio nei tour, magari mi piacerebbe stare per qualche mese di fila in un solo altro luogo.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Riesce a stupire. Puoi magari avere uno sguardo un po’ annoiato – succede anche a me – ma a stare attenti è ricca di sorprese. Continua a stupirmi ora a 50 anni anche più di quando ne avevo 20, forse perché colgo più contraddizioni oppure forse perché ho meno certezze. Nel bene e nel male (anche se c’è molto male) mi sembra affascinante, l’esistenza.

 

 

Per una biografia completa di Emidio Clementi come musicista, artista e scrittore:

https://it.wikipedia.org/wiki/Emidio_Clementi

Per saperne di più ed acquistare l’ultimo romanzo di Emidio Clementi, L’Amante Imperfetto (Fandango editore, 2017, ISBN: 978-88-99452-12-4): https://www.fandangoeditore.it/shop/autori/lamante-imperfetto/

 

Abbiamo pubblicato il primo capitolo de L’Amante Imperfetto: http://www.slow-words.com/it/lamante-imperfetto/

 

(Immagine di copertina: Simona Pampallona)

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