How We Dwell

Curiosa, sempre, di scoprire qualcosa di più di How We Dwell.

E’ un gruppo di artisti, soprattutto pittori, soprattutto giovanissimi (Andrea Grotto, Adriano Valeri, Cristiano Menchini e Marco Gobbi) che si sono conosciuti all’Accademia di Venezia studiando pittura e poi hanno messo in piedi un progetto – un po’ da curatori, un po’ da progettisti – che offre residenze uniche nel loro genere, perché gli artisti possano innanzitutto creare il loro spazio attraverso dei ‘kit’ costruiti apposta per loro, ‘in un ambiente scelto apposta in base alle caratteristiche peculiari del luogo e alla tipologia di artisti invitati, frutto di un’interazione non del tutto imprevedibile fra personalità e spazio aperto’.

 

Mentre preparano una mostra nella Galleria di Caterina Tognon (Venezia) sono andata a curiosare e fare due chiacchiere con Andrea Grotto, Cristiano Menchini ci ha raggiunti in seguito.

 

 

La tua storia in poche righe

 

Io nasco a Schio nella provincia di Vicenza sono del 1989 e ho frequentato contemporaneamente lì sia il Liceo Artistico sia l’Accademia Musicale. Mi sono trasferito a Venezia per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove mi sono formato nell’Atelier F, la scuola di Carlo Di Raco, con cui si son formati la maggior parte dei pittori veneziani. E How We Dwell è nato lì. Siamo un gruppo di amici che si son incontrati per caso al suo laboratorio, che è atipico. Si lavora sette giorni su sette, volendo – anche tutto il giorno. E si lavora mescolati. La bellezza di quella tipologia di ricerca e di didattica è che i giovani artisti più esperti lavorano affianco ai più giovani a loro affiancati. Si lavora per analogie di significato, ricerche e d’interessi. In questo modo ho conosciuto bene Cristiano e Marco, da cui ho imparato un molto. La nostra crescita è stata parallela, anche con Adriano (l’altro componente di How We Dwell). Tra il mio quarto ed il quinto anno di Accademia abbiamo deciso di formare How We Dwell.

 

 

Perché poi proprio Laboratorio di Pittura F?

 

Perché quando nel ’94 arrivò a Venezia il Prof Di Raco era il docente più giovane fra quelli di Pittura e gli venne assegnata una cattedra piccola con pochi studenti, quelli che non avevano trovato posto nelle altre cattedre. Siccome le cattedre erano state nominate in ordine alfabetico a lui venne assegnata la F. Da allora l’aula è cresciuta molto sempre con un clima di lavoro come fosse un grande collettivo artistico…al nome ci si è affezionati ed è rimasto quello. E’ nata una scuola dove tutti abbiamo sempre lavorato insieme, dove chi è più abile di un altro in quel preciso momento della sua vita, funge da guida. La crescita così è più proficua, rapida e complessa.

 

 

Dopo l’Accademia…

 

Nell’anno della Bevilacqua la Masa (gli How We Dwell hanno vinto una residenza alla prestigiosa istituzione veneziana per giovani artisti), io avevo solo 23 anni, è stato uno shock. Abbiamo lavorato su How We Dwell ma io e gli altri lavoravamo contemporaneamente anche alla nostra ricerca artistica personale che nel mio caso è iniziata dal paesaggio, tematica che è sempre stata al centro dei miei interessi forse perché il paese dove sono nato e cresciuto è circondato per tre quarti dalle montagne, e mi ci sono sempre relazionato in modo molto personale.

In Bevilacqua, l’anno della collettiva, ho partecipato con un lavoro che avevo fatto a Berlino, durante una residenza in quella città. Sono stato tre mesi a Kreuzberg in Glogauer Strasse, la residenza si chiama Glogauair, ho deciso di lavorare su un paesaggio d’interni utilizzando un set, che era il mio studio, e lavorando sui suoi elementi.

 

Mi ha sempre affascinato il fatto che ognuno di noi, per un motivo o per l’altro, colleziona oggetti e vi si attacca, ai più svariati. Che in modo quasi magico trascinano una storia – che raccontano, parlano. Ho concentrato la mia attenzione su un numero definito di elementi che poi ho messo assieme e ho rilavorato. Sono elementi se vogliamo stupidi: due rami, un divano, una coperta ed è quello che in modo più complesso e ricco di simbologie, faccio ancora adesso.

A me interessa quello che sta sotto la patina dell’oggetto, sotto la sua forma. E la pittura e la scultura sono i due media che utilizzo maggiormente. Ho iniziato infatti a costruire oggetti che “entrassero e uscissero” dall’ immagine, ‘luogo’ dove spesso nascono oggetti. In studio spesso ne nascono anche autonomamente; mi piace pensare al quadro come a una stanza da ‘arredare’, una specie di situazione.

 

 

Mi incuriosisce molto il titolo del vostro gruppo creativo, How We Dwell, mi piace e mi m’immagino la scelta dell’inglese. Ma quella parola, Dwell, è precisa, particolare, breve e desueta. E serve moltissimo, è insostituibile. Ci sono pochi equivalenti. E potrebbe avere una doppia lettura. Come viviamo in generale come persone e come in quanto artisti. Esiste questa ambivalenza?

 

E’ voluta ed esiste. La parola deriva dal fatto che nel nostro gruppo c’è Adriano che è americano ed ha proprio colto quella parola che non viene usata molto – corta e colta – e noi volevamo incentrare l’attenzione su come viviamo un determinato luogo vada ad influire, in modo spesso invisibile ma molto tangibile, su un artista. How We Dwell era ed è una riflessione sul paesaggio e sull’ambiente. Come lo viviamo e come può modificarci, o modificare l’approccio alla ricerca nel caso di un artista.

 

 

Arriva Cristiano che era dentro in galleria, aiuta Andrea a finire i pezzi da verniciare – siamo in una corte nascosta e bellissima fuori la porta della galleria. A due passi da San Moisè eppure salvi dal flusso incessante di turisti mordi e fuggi.

 

Ogni artista ha una sua procedura, una sua sensibilità, ma la cosa bella che ci è capitata con il nostro collettivo è che artisti consolidati, che abbiamo invitato in residenza, hanno accettato il nostro format con esiti sorprendenti, per noi ma soprattutto per loro.

Certo, mandavamo artisti in residenza in un posto selezionato in base alla poetica di entrambi, con elementi studiati da noi in quanto artisti per altri artisti. Un po’ cercavamo di imbeccare ‘la via’ ma loro, gli artisti, nel rispondere sul come era andata, affermavano di potercelo dire solo… “fra un po’” come se qualcosa si dovesse sedimentare prima. Uno dei punti più interessanti, probabilmente, è stato dover lavorare con un numero limitato di elementi forniti nel kit. Né più né meno. E questo far fruttare le risorse al massimo, ha stupito!

Quello che può nascere è imprevedibile. Non può essere infinito ma imprevedibile.

 

 

Dopo Berlino, che effetto ti ha fatto tornare a Venezia?

 

Mi ha fatto innervosire, come tutte le volte che parto, soprattutto per Milano o per città più grandi, di solito per un paio di giorni sono nervoso. E’ stupido da ribadire ma quando si esce ci si rende conto che il mondo è pieno di cose accattivanti e per la forma, la lentezza e tutti i problemi che ha Venezia, spesso si modificano i tempi e le cose da fare per evitare i disagi. Forse per vivere qui può essere interessante avere un’ottica How We Dwell: lavoro a Venezia utilizzando il kit che ho.

 

 

Il collezionista tipo?

 

Se ci fosse? Questa è una domandona. Mi piacerebbe tantissimo un collezionista disposto ad entrare del tutto nel lavoro, capendone i ritmi e tutta la ricerca non solo per un introito economico adeguato, ma per creare di un rapporto intorno al lavoro. E che capisse che l’artista spesso non sa esattamente dove andrà a finire quando inizia il processo.

 

Ambisco ad un collezionista che sia complice, per un lavoro duraturo. Un po’ come il mecenate di una volta, che non esiste più.

 

 

Che tipo di libri stai leggendo?

 

Sto leggendo Bouvard et Pécuchet di Gustave Flaubert che mi è stato consigliato e contemporaneamente sto rileggendo L’uomo e i suoi simboli di Jung. Sto cercando di introdurre nel mio lavoro una simbologia narrativa e nello stesso tempo alchemica, che possa essere lasciata lì anche se un po’ incomprensibile. Il libro di Flaubert mi piace moltissimo perché è tragicomico, tutto quello che i due protagonisti si impegnano a fare va a finire sempre male. Però è bello, c’è l’entusiasmo tipico dell’artista solo che sembra che ‘Tutto il cosmo stia cospirando affinché tutto vada a finire male’.

 

Tra i miei libri preferiti credo ci sia Il Vagabondo delle stelle di Jack London, quasi tutto quello che ho letto di lui mi è piaciuto molto.

 

 

Caterina Tognon ha scelto di fare due personali?

 

Cristiano: Da quando ci conosciamo è la quinta o sesta mostra che facciamo insieme noi due, e la quindi la proposta di Caterina ci è sembrata coerente.

 

 

Ma voi sul design vi siete mai sperimentati?

 

Cristiano: E’ stato molto naturale tutto quello che abbiamo fatto sin qui – e quindi non è detto che non succeda.

 

Andrea: Sarebbe bellissimo che succedesse.

 

Cristiano: Avevamo un progetto straordinario che purtroppo è saltato, la casa sull’albero. Che abbiamo poi esteso a due classi di bambini di scuola elementari che hanno progettato, sulla base di nostre indicazioni più che altro limitative, l’abitazione sull’albero. Che secondo il progetto doveva essere realizzata in scala 1:1 abitabile, così come il bambino l’aveva disegnata. Il progetto l’avevamo iniziato con un FAI locale.

C’erano un paio di case che erano bellissime, intanto tutto il progetto era nuovo. Le case erano per adulti, ma disegnate da bambini e da costruire su alberi. Tutti gli oggetti all’interno della casa del pari, erano progettati da bambini.

Case per adulti che vogliono ritornare un po’ bambini.

 

Andrea/Cristiano: Di progetti di design ne abbiamo messi in piedi qualcuno. Eravamo stati invitati a realizzare un progetto durante il Salone del Mobile, qualche anno fa, per il quale avevamo realizzato delle macchine per cercare oro. L’idea ci era venuta a seguito della nostra residenza n. 2: Alla ricerca dell’oro in cui ogni artista doveva “ricevere anche un regalo”. Ed eravamo interessati molto ad artisti che amavano l’alchimia.

Avevamo creato la macchina per cercare l’oro, recuperando dei travi di un palazzo Veneziano scoperchiato (del 1800) partendo da un’illustrazione sulla ricerca dell’oro. Non avendo mai trovato un disegno progettuale adatto a tale ricerca lo abbiamo estrapolato noi. E la nostra funzionava.

 

Non siamo interessati a dividerci in base a categorie preesistenti. In base al progetto reagiamo con i media più adatti. Se serve un oggetto, un testo od altro non importa. Il ‘kit’ per noi è stato fin da subito un’occasione od un grimaldello. Per lavorare anche sul ‘packaging’ dell’idea. Con un’estetica assolutamente ‘dwell’ cioè molto spartana. Con il nostro gusto.

 

Marco Gobbi, ad esempio, è anche scultore come anche Andrea. Adriano ed io (Cristiano) siamo soprattutto pittori.

 

 

Tutta la nostra esperienza ci ha portato a imparare e fare un sacco di cose e How We Dwell non è solo un progetto curatoriale, ti costringe sempre a metterti in gioco.

How We Dwell continua anche se ognuno di noi ha preso anche altre strade.

 

Il progetto della casa sull’albero è tra i nostri preferiti, lo faremmo anche domani. Io (Cristiano) ho insegnato, Andrea insegna tuttora e quindi mettiamo a frutto anche la nostra esperienza di docenti.

 

 

Cosa ti da Venezia e cosa dai tu a lei mi sembra molto chiaro. La consideriamo la tua città, Andrea?

 

Sai, forse no. Sto a Venezia, insegno al Liceo Artistico, ho lo studio, tutti i miei amici e colleghi. Ma mi manca molto la possibilità di andare verso i monti. Anche a Torino, per esempio. Una città bellissima, versatile. Venezia è molto meno versatile, ha tante cose belle – si ha un rapporto vis-a-vis con le persone, si cammina tanto si impara a conoscersi, ha una luce strepitosa – però a me manca il paesaggio con la profondità di campo, per livelli.

 

 

Mangi e cucini tanto, cosa ti piace? Cosa bevi?

 

Preferisco la birra al vino. Mi piace molto far da mangiare, posso dirti cosa sto mangiando negli ultimi tempi (molti cereali con tanta frutta e verdura), invento e sperimento. E mi appago anche, mi diverte. Poi son fortunato, la mia ragazza è bravissima quindi spesso cucina lei.

 

 

Un talento che pensi di avere e uno che vorresti?

 

(Andrea) Credo di essere uno che sa stare con le persone … la scuola mi sta insegnando molto.

Mi piacerebbe avere un talento più scientifico forse, un po’ di acutezza in più nel vederci chiaro.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

 

Tendo ad accelerare e forse sto imparando ad accettare i tempi delle cose.

 

 

 

 

 

Cristiano Menchini è nato a Viareggio nel 1986 e vive tra Pietrasanta e Venezia. Si è diplomato nel 2007 in Design e restauro artistico al Felice Palma di Massa e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 2015 è stato selezionato come artista in residenza a Viafarini DOCVA ed il suo lavoro è stato esibito anche al Centro Pecci di Prato. E’ reduce da una mostra in una cartiera milanese dove ha osato, in maniera straordinaria, con acqueforti su fogli screziati di muffa.

 

 

Leda e Grecale, le due personali combinate di Andrea Grotto e Cristiano Focacci Menchini, sono, fino al 4 maggio, da Caterina Tognon (Ca Nova di Palazzo Treves, in corte Barozzi, San Marco 2158 Venezia).

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