Mediterranea, nave

Buon vento e buon mare, 

sono una barca – italiana – che si chiama Mediterranea. E sono in mare da pochi mesi.

Di mestiere navigo solo nel Mediterraneo Centrale: non porto viveri o merci ma documento e se posso salvo.

Obbedisco e disobbedisco al tempo stesso. 

Salvo innanzitutto gli esseri umani che mi hanno messa in mare: un nucleo compatto di persone – sia singoli individui che associazioni – che hanno deciso di intervenire per far rispettare il diritto del mare e opporre la loro voce a quella di razzisti e xenofobi. Per salvare la loro umanità salvando altre vite.

Il Mediterraneo è ormai terra di nessuno. 

Il Ministero dell’Interno (Direzione Immigrazione e Polizia di Frontiera) lo scorso 21 dicembre ha finanziato altre 20 imbarcazioni alla Guardia Costiera Libica oltre a quelle già consegnate loro in agosto.

La Libia – insieme alla Turchia – è il luogo in cui un’Europa divisa ed inconclusiva ha consegnato la ‘soluzione del problema’, cioè il blocco degli arrivi dei migranti in Europa. Costi quel che costi e con qualsiasi mezzo. Non importa quanto disumano.

Dalla fine dell’operazione militare ed umanitaria Mare Nostrum nel canale di Sicilia sono rimaste solo le ONG a presidiare e salvare i naufraghi di ogni provenienza. 

Chi sono quei naufraghi? 

Persone che fuggono da guerre, carestie, inondazioni o siccità che spesso infieriscono a stagioni alterne sullo stesso territorio già martoriato da povertà e fame o anni di malgoverno. Uomini, donne, bambini che non esitano ad imbarcarsi in viaggi impossibili per fuggire da morte, ripeto, certa. 

Una volta arrivati nei paesi occidentali soprattutto se ci riescono senza la testimonianza e il controllo delle ONG, diventano preda di traffici criminali e tratta della prostituzione ed entrano in un’altra prigionia ed in un’altra pagina di tortura della loro vita. 

Questi viaggi impossibili spesso partono dalla Libia, paese in cui le torture e le violenze sui migranti stipati nei centri di concentramento sono immani e purtroppo documentate senza tema di smentita o ridimensionamento. 

Il flusso migratorio dipende dallo sviluppo ineguale del pianeta, ha quindi ragioni terribilmente profonde che non possono essere interrotte da motovedette o dalla cosiddetta ‘chiusura’ dei porti italiani. 

‘Le menzogne non durano per sempre’ diceva un pastore delle anime e i porti Italiani sono in realtà aperti non essendo mai intervenuto un evento normativo (l’invocazione di un articolo per motivi chiari, urgenti ed ineludibili previsto dalle leggi in materia: siamo ancora una democrazia e occorre ribadirlo con urgenza) che deve obbligatoriamente essere emanato per determinarne la chiusura (di tutti i porti, a tutte le navi). 

Prova dei porti italiani sempre rimasti aperti è che sbarca ogni tipo di nave merci, crociera e passeggeri (ed, ancora, anche quelle di migranti che arrivano ora con mezzi di fortuna sempre più piccoli).

Sono circa 50 gli sbarchi al giorno in questa stagione (fonte ISPI). 

A impedire lo sbarco con una volontà solo politica ma non normativa sono un paio di ministri e questo divieto di raggiungere i porti italiani si rivolge in pratica solo alle barche delle ONG, come abbiamo visto spesso ormai. 

Il resto continua a raggiungere ogni costa italiana, per i migranti in particolare gli sbarchi raggiungono tutta la costa sicula ma anche quelle sarde, calabre e pugliesi e sono effettuati da piccoli natanti e barche a vela, tutti di dimensioni non facilmente intercettabili.

Molti di questi sbarchi non arrivano neanche alle cronache nazionali negli ultimi sette mesi di governo italiano a marca xenofoba.

Un’altra nave amica, Open Arms, è stata recentemente bloccata a Barcellona dalle autorità ministeriali spagnole perché è stata accusata di ‘impiegare troppo tempo a soccorrere naufraghi in mare: secondo le convenzioni internazionali devono essere portati nel minor tempo possible in un porto sicuro.’

Come fare se gli Italiani dicono che i naufraghi devono essere rispediti in Libia (da dove scappano, se riescono a farlo da vivi, a torture e violenze quindi il porto libico non è assolutamente sicuro) e se altri paesi negano l’approdo costringendo la nave ad estenuanti settimane di navigazione in balia delle onde?

Una cosa è certa: prima e dopo il salvataggio in mare occorre trovare le soluzioni e non quando siamo al tempo di trovare cure per dei naufraghi. Chissà quanti sono morti, e non lo sappiamo, negli ultimi due anni.

Eravamo 9 navi a fare da occhi civili nel Mediterraneo ora siamo solo 3.

Secondo me, i governi sono ‘fuorilegge’: io faccio parte di ‘United for Med’ insieme a Sea Watch e altre ong ma non sono un’ong. 

Chi riempie il mio serbatoio, chi popola il mio ponte di un equipaggio volontario e la cambusa di viveri e medicine è un gruppo eterogeneo (Arci, Ya Basta e tante associazioni e soprattutto tante singole persone). 

Anche se sono nata e ho preso il mare da poco, so quello che succede da molto tempo. 

Con modalità informali e poco trasparenti i governi di molti stati Europei, soprattutto l’Italia, mettono in discussione la stessa legittimità delle regole europee. Che è fatta di Trattati come quelli di Dublino che regola la redistribuzione dei migranti. 

Tuttavia, le regole di soccorso in mare e di sbarco veloce in porti sicuri sono regole universali del diritto del mare (che punisce l’omissione di soccorso). Che valgono ben oltre lo spazio integrato europeo, il cui trattato istitutivo (all’articolo 80) stabilisce peraltro la condivisione di responsabilità in merito di asilo e protezione su tutto il territorio europeo. 

Le navi delle ONG in Mediterraneo sono come ‘ambulanze’ sulla scena di un incidente: fanno soccorso e prima stabilizzazione. Cosa più importante, monitorano cosa succede. Colmano un vuoto normativo, chiamano le autorità quando c’è un naufragio, di modo che si assumano la responsabilità dei soccorsi. Non sono le soluzioni al problema delle migrazioni, che vanno cercate prima e dopo che queste persone prendano il mare aperto per salvarsi da morte certa. 

Le soluzioni legali passano per forza da un approccio ridistribuivo fattibile. E l’Unione Europea non ha fatto nulla quando due anni fa Mare Nostrum (iniziativa italiana appoggiata solo dalla Slovenia) è terminata. Non ha fatto quindi più nulla per il Search and Rescue in acque internazionali.

Quando i flussi inizieranno ad essere più numerosi all’arrivo dell’estate se non c’è un operativo in mare le morti aumenteranno.  E, ancora più importante, la strategia in essere mira anche a fare sì che non ci sia nessun testimone a raccontare agli europei ed al mondo cosa succede. 

Se vuoi incontrare chi crede in me, mi sostiene e mi racconta, non c’è solo la possibilità di incrociarmi in acqua. Puoi recarti in tante librerie e caffè letterari in giro per l’Italia che ospitano staffette umane: reading a più voci di scrittori e poeti, cantanti e altri artisti per raccontarmi meglio ancora di come possa fare io.

Scopri il prossimo – e scopri come sostenermi – qui

2592 persone, proprio come te, ad oggi hanno scelto di salvarsi con me. Vieni a conoscermi meglio a terra. E salviamoci insieme. A terra come in mare. 


Questa lettera non è stata scritta da una nave ma da noi qui a #slowwords. Una lettera di finzione per iniziare a raccontarvi una storia vera di anime forti, che continueremo a raccontarvi nelle prossime settimane sotto forma di interviste a persone di questo mondo.

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