Raffaella, artista

La tua storia in dieci righe

 

Sono nata nell’ospedale di Nola, vicino Napoli, il posto più vicino da raggiungere in auto per mio nonno, e quando iniziarono a scrivere che ero un’artista napoletana di Nola, ho smesso di dirlo… Avrei preferito scrivessero che sono un’artista napoletana di Catania, dove ho vissuto i primi venti anni della mia vita. Mio padre era un pilota della Marina Militare in Sicilia. Il parco giochi di noi bambini era il cimitero di vecchi carri armati e camion dell’aeronautica militare, circondato da canne di bamboo e abitato da cani randagi e i loro cuccioli. Sono cresciuta sotto la supervisione dei morti: le donne della mia famiglia erano solite sognare parenti o amici che dall’aldilà prevedevano sciagure. Da adolescente ero interessata alle storie di alieni, poi ho avuto un avvistamento di un UFO con alcuni amici e ricordo che mi spaventai a morte! La fotografia è stato il mio primo approccio all’arte da giovane. Pratico il Buddismo da quando avevo 20 anni. I film d fantascienza sono la mia passione. Attorno ai 30 ho sofferto di attacchi di panico in aereo. Mi ha aiutata l’immagine dei protagonisti di questi film che atterravano su un nuovo pianeta, sopravvivendo sempre anche quando le navicelle erano danneggiate. Ho fatto diverse residenze internazionali, ogni posto e chiunque abbia incontrato mi ha influenzata, diventando parte del mio statement. Detesto quando divento manierista. Da qualche anno vivo a Bruxelles, dove ho imparato che quando c’è il sole bisogna uscire e approfittarne. Nel sud dell’Italia il sole brucia e la gente cerca l’ombra. Questo ha cambiato il mio modo di vedere tante cose. Ok, questo era di più di dieci righe. La storia segue.

 

 

Nell’ultima mostra in Italia (alla galleria romana 1/9unosunove, aperta fino all’11 Aprile 2015), collabori con un giovane artista belga, Kasper Bosmans. Il gruppo di lavori che presentate sembra intraprendere un viaggio creativo fisico più che solo un’operazione intellettuale. Coinvolge diverse città e diversi stati (tra cui Dubai, Anversa, Roma ed il Nepal) e, nelle opere che firmi tu, le politiche sulla migrazione. I lavori sono realizzati con tecniche differenti – dalla ricerca alla gouache (una tecnica pittorica) all’istallazione alle sculture, fino ai video. E’ quello etnografico od antropologico il dizionario più adatto per iniziare nuovi discorsi sulla storia attuale, la carriera personale degli artisti e, certamente, le estetiche prescelte?

 

Con Kasper Bosmans abbiamo lavorato su argomenti ed idee legate alle temporaneità, alle ripetizioni, alle immigrazioni e al mondo costruito. Ad esempio il processo interpretativo di Kasper del disegno delle “pearls and waves” su secoli e paesi differenti o la mia ricerca sui fusi orari, creati per interessi politici, economici e geografici. I media usati fanno naturalmente parte del processo. Le tecniche sono adatte a creare atmosfere in grado di sollecitare sensibilità differenti. L’arte prende in prestito tutto, non solo l’etnografia e l’antropologia. E, a differenza del rubare, è implicito la restituzione. Tutto ciò porta a qualcosa di universale e personale.

 

 

 

E’ dura metter su uno studio tutte le volte attraverso nuove residenze artistiche? La tua decisione di lavorare a Bruxelles rende le cose più dure o migliori?

 

In realtà non ho mai pensato fosse difficile. Mi ha sempre ispirata ed entusiasmata tanto l’essere sempre in un posto nuovo. Ora vivo a Bruxelles e ho il mio atelier al HISK di Gent. Il Belgio è interessante, vicino a tutto, non tanto costoso, con una scena artistica internazionale e con differenti piattaforme per l’arte. Al momento, penso, che essere sia la scelta migliore.

 

 

Che incontri fai nella tua routine lavorativa?

 

La mattina presto prendo il treno da Bruxelles a Gent e dopo trenta minuti di viaggio mi trovo immersa nella lingua fiamminga. All’HISK incontro i miei colleghi. Oggi ci sono gli studio visit organizzati dall’HISK. Bussano alla mia porta, un artista o un curatore. Ci presentiamo, inizio a parlare del mio lavoro e poi comincia una conversazione. Stiamo un’ora,  poi un’altra persona bussa alla mia porta.

 

 

Una cosa bella che ti è capitata di recente?

 

Ho prodotto una serie di nuovi lavori, fatto una nuova mostra (in collaborazione con un altro artista) subito dopo essere diventata madre. Mi chiedo se in Italia tutto questo sarebbe stato possibile. Questa è una risposta socio-politica.

 

 

Cosa ti da la tua città e viceversa?

 

Bruxelles, perché qui avere una vita personale e una carriera, non è impossibile qui.

 

 

La tua passione culinaria?

 

Il cibo vietnamita. Ma solo in Vietnam.

 

 

E i tuoi drink preferiti?

 

Non bevo quasi mai, ma da quando sono in Belgio ho imparato ad apprezzare la birra bianca, molto popolare ma non così sexy.

 

 

Il libro e la musica con te in questo momento (e su quale tavolo sono poggiati)?

 

Un libro sulle “missioni pedagogiche” in Spagna tra il 1931 ed il 1936 che è parte di una nuova ricerca che sto sviluppando. E’ sul mio tavolo da lavoro e mi accompagna sul treno.

 

 

In che modo riesci a vivere lentamente, se ti piace, in una città come la tua?

 

Con la meditazione. Una meditazione quotidiana.

 

 

Un talento che hai e uno che ti manca?

 

Cantare, e cantare è anche quello che mi manca, dato che non ho ancora studiato canto (fino ad ora).

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Infinite possibilità.

Lascia un commento