Redacta, Italia

Uno dei paesi a più forte sindacalizzazione, sia di tipo confederale che strutturale, è l’Italia.

A essere presidiati però sono i rapporti di lavoro ‘classici’ consolidati con assunzioni, mentre assenti o quasi dalle tutele confederali sono i collaboratori, i freelance, che in Italia spesso hanno un finto lavoro autonomo con la partita iva, tutti i problemi di elevatissime tassazioni e un  mascherato rapporto di dipendenza – spesso da un solo committente. Che ‘esternalizza’ così il lavoro aggirando tasse e costi di un’assunzione, stabilendo unilateralmente compenso e tempi della sua erogazione.

#slowwords si è già occupata del lavoro precario, da freelance, nel mondo della scrittura intervistando chi ha fondato Professione Reporter, un’associazione che indaga come vengono (sotto)pagati gli editor o i fotografi e come funziona il mercato editoriale degli organi di stampa italiani.

Oggi vi racconta cosa succede nel resto del mondo dell’editoria con Redacta, una costola di Acta, il ‘sindacato’ delle partite iva in Italia. Ho incontrato alcun* attivist* in un’affollata e partecipatissima conversazione su come si lavora oggi per i grandi, medi e piccoli editori nel nostro paese. Avvenuta in una enorme e screpolata, forse per questo ancora più bella, chiesa del centro antico di Napoli in occasione della prima edizione di un festival di librai indipendenti.

Lara e Giulia parlano per tutto il loro gruppo di lavoro, ma non trascurano di raccontarci delle loro esperienze individuali.



La vostra vita in poche righe fino a quando incontra quella di Redacta

Lara: 37 anni appena compiuti, sono nata in provincia di Bergamo, ho una formazione storico-artistica e specializzazione al Dams di Bologna. Ho provato per un po’ a entrare nell’ambiente dell’arte contemporanea ma non avevo la possibilità di sopravvivere con ripetuti stage non pagati e ho accettato per un po’ di lavorare, sottopagata, in bookshop museali. 

Non vedendo via d’uscita, ho pensato quindi di unire la passione per l’arte e quella per l’editoria e mi sono iscritta a un master annuale dell’università Cattolica, recuperando i soldi per l’iscrizione di qua e di là, senza smettere di lavorare nei bookshop nei weekend. Finito il master ho fatto un mese di stage disastroso all’ufficio iconografico di Skira, la casa editrice dei miei sogni (che si erano ormai nel frattempo infranti), dopodiché sempre in stage sono passata a Salani, dove ho fatto e imparato molto. Sono seguite ancora un po’ di collaborazioni saltuarie finché non sono stata chiamata da uno studio editoriale di nicchia che si occupa di scolastica digitale, dove mi hanno prima offerto un contratto a progetto e poi di apprendistato. 

Ho lavorato lì quasi tre anni, mi pagavano poco e non avevo grandi possibilità di sviluppo personale e professionale, dato il settore molto specifico e modellato praticamente sulla loro azienda, così allo scadere dei “twenties” ho ripreso tutti i miei vecchi contatti editoriali aprendomi una partita iva. Nel 2016 inizia quindi la mia vita da freelance; ho incominciato a lavorare da casa con mansioni principalmente di redazione, occupandomi anche di editing e impaginazione. Dal 2018 ho cominciato a lavorare in un coworking; l’ho fatto per prova, ma mi sono convinta ben presto dell’importanza del contatto con altri professionisti, anche di settori diversi. Ho allargato la mia attività iniziando anche a scrivere per il web. 

In questo coworking abbiamo tenuto la prima riunione di Redacta: io ero già socia Acta, li avevo ‘usati’ per uno sportello su questioni fiscali e di mancati pagamenti e il ragazzo che gestiva il coworking mi ha informata che alcuni iscritti stavano facendo un’analisi del lavoro nel mercato editoriale, invitandomi a partecipare. Ed eccomi quindi a bordo.

Giulia: Mi sono laureata in lettere e poi in editoria, ho 34 anni. Mi sono fermata un po’ tra la prima e la seconda laurea, quindi ho potuto avere un’esperienza diretta da chi mi aveva preceduta e aveva frequentato il master in editoria alla Fondazione Mondadori, che ho poi scelto di fare anche io. 

Ho fatto due stage in aziende editoriali, prima e dopo il master, il secondo è stato a Il Saggiatore. Quell’esperienza mi ha subito permesso di capire come funzionavano le cose: stagisti vecchi e nuovi si susseguivano in scrivanie dedicate proprio a loro.

Quindi presto mi sono chiesta se avrei mai avuto la possibilità di lavorare veramente in questo settore, nonostante la casa editrice mi avesse coinvolto in progetti importanti, prevalentemente sulla lavorazione completa delle riedizioni. Non ero pagata tantissimo, ma avevo incarichi continuativi. Poi grazie a un’altra amica dell’università ho avuto altri contatti e dunque nuove collaborazioni. Era evidente che l’unico modo per trovare lavoro non era l’intraprendenza personale ma i rapporti informali e il fare rete.

Però una cosa è parlare tra vecchi amici e scoprire che le cose non sempre funzionano come dovrebbero, una cosa è allargare il cerchio fuori dai propri contatti abituali e scoprire così tante precarietà in comune a ciascuno: è stato dirimente per indurmi a fare qualcosa. Conoscevo già uno dei soci Acta che aveva mosso i primi passi per cominciare un’inchiesta del settore, e mi sono unita presto al gruppo. 

In quel momento avviene un salto nella mia esperienza e nella mia percezione della professione. Cambiare le cose era quello che cercavo di fare da anni ma non conoscevo tanti colleghi. Adesso lavoro con più clienti e meglio, perché sono pronta a fare scelte coraggiose visto che non mi sento più sola.



Molto spesso oggi parlare di ‘carriera’ confonde le idee: non esiste più una carriera basata sulla crescita professionale e, parallelamente, dei guadagni, ma esiste solo una distorsione di entrambi i percorsi. In qualsiasi professione ma nel mondo editoriale è ancora più marcato.

Hai avuto la possibilità di capire se sia solo un male italiano o accade anche altrove a persone della tua età?

Lara: non conosco molte persone che lavorano nell’editoria all’estero al momento. In un lavoro precedente quasi da interna, ho avuto a che fare con case editrici soprattutto londinesi, e ci sono molti giovani italiani che lavorano lì ricoprendo posizioni di responsabilità, quindi immagino che questa crescita sia possibile e lo sia anche quella salariale.



L’isolamento è una delle caratteristiche della precarietà di cui ci hanno parlato anche i giornalisti freelance. È un lavoro diverso rispetto alla produzione di contenuti librari, ma anche i grafici ci hanno raccontato la stessa cosa. Con il lavoro da remoto diventato ormai il mantra grazie alla pandemia ma iniziato ben prima, si è accelerato un processo di parcellizzazione delle risorse – una sorta di divide et impera che non esito a definire chirurgico: oltre a far risparmiare un sacco di soldi per uffici e utilities ai datori di lavoro consente l’isolamento dei professionisti.

Pensate che i coworking e le associazioni di categoria possano essere l’unica risposta, o ci sono altre forme di ausilio? Cosa succede se un’associazione come la vostra diventa troppo grande? Riesce a tenere uniti i lavoratori?

Un lavoro da vero consulente (ad esempio quello che faccio io) è nato come tale sin dall’inizio e per me il remote working non è mai stata una ‘novità’. Voi invece siete esternalizzate ma avete un rapporto di simil-dipendenza con il vostro ‘unico cliente’.

Lara: Con Redacta non abbiamo ancora sfiorato il rischio dell’associazione troppo grande, nonostante gli ampliamenti ed i meeting proposti su varie città. È una domanda difficile, ora non saprei risponderti, forse ci potrà essere una soglia critica oltre la quale non funzionerà più.

Giulia: il coworking è un’esperienza che non ho fatto in prima persona, ma è interessante quello che dici rispetto al paragone tra i nostri lavori. Il nostro lavoro dovrebbe essere svolto da persone inserite in un organico, ed è talmente evidente anche solo dal fatto che passiamo le giornate a scambiarci continuamente email con una pluralità di figure professionali (interne o freelance come noi) perché il libro è un prodotto a più mani che prima nasceva in una sola azienda ed ora non più.

Anche se io lavorassi in un co-working, non romperei il mio isolamento perché continuerei a rapportarmi singolarmente con ciascuno dei miei ‘clienti’. Al momento la criticità lavorativa che vedo è il fatto che siamo tutti separati ed il coordinamento interno del cliente fa molta fatica a tenere tutto insieme. Sono infatti curiosa e vorrei capire come si muoveranno d’ora in avanti per mitigare questa dispersione di energie, tempo ed informazione rispetto a quando i dipendenti erano tutti nello stesso posto.

Non è detto che Redacta cresca così in fretta senza che cambi qualcosa nel settore. Cresceremo sicuramente ma stanno già nascendo dei gruppi specifici che si occupano di singoli aspetti del mercato per presidiarne ogni parte, penso ad esempio all’inchiesta sull’editoria scolastica in partenza adesso.

Per cercare di rispondere alla tua domanda, oggi direi che non temo la dispersione.

Avete già progettato passi istituzionali per portare le istanze dei vostri associati agli organi di governo statale e parlamentare del settore?

Giulia: con Acta partecipiamo al Cnel e alla Consulta sul lavoro autonomo e le professioni, dove il governo incontra le parti sociali per discutere temi come previdenza ed equo compenso. Sempre a livello istituzionale, abbiamo rapporti intensi con le università. Ma la nostra vocazione rimane il rapporto diretto con chi lavora nel nostro settore, sportelli, riunioni ed eventi servono a questo. Napoli ha risposto benissimo, ad esempio: dobbiamo continuare a costruire una base capillare.



Quanti associati contate?

Giulia: anche chi si avvicina a noi e vuole diventare socio, diventa socio Acta. È difficile calcolare quindi esattamente quanti sono i soci che si interessano solo ai nostri temi, forse la newsletter è indicativa. Abbiamo circa 400 iscritti mentre abbiamo circa 1300 follower su IG. Le riunioni nelle città sono seguite da un numero variabile, in media 20 persone a città.



Qual è la difficoltà più allarmante per cui vi contattano, al di là della città e degli anni di esperienza?

Lara: tante persone si avvicinano a noi perché attraversano momenti di difficoltà, sono abituate – meglio dire, costrette – a lavorare per un unico cliente che magari le sottopaga da anni. All’improvviso questo cliente viene, per varie ragioni, meno, e non sanno come uscirne. 

Il nostro Sportello è una delle ragioni principali per cui ci contattano. Lo facciamo su Zoom mensilmente, su prenotazione, e ogni tanto anche in occasione di riunioni “fisiche”. Ci sono richieste di consulenze fiscali e legali, ma anche consigli personali. Soprattutto nelle ultime riunioni molte persone hanno bisogno di parlare e di confrontarsi sull’impossibilità di contrattare, che va avanti da anni. Oppure del fatto che, pur adulti, non riescono mai ad arrivare a fine mese. Insomma, parliamo di serie difficoltà primarie.



Libro e canzone che avete in testa adesso? Anche un libro del vostro editore più odiato…

Lara: Libro: sono mesi che cerco di finire un grande classicone, Furore di Steinbeck, che sto centellinando anche perché le condizioni dei “poveracci” di cui parla l’autore, ovviamente su un’altra scala e con ben altra gravità, mi ricorda tanto la condizione dei “poveracci destinati a restare poveracci” di oggi. La canzone: molto più brevemente, Stai ma ’cca dei 24 Grana, riscoperti di recente.

Giulia: Libro: Insorgiamo di Colletivo Gkn; canzone: Patatine di Dargen



Quali sono i luoghi più o meno segreti dove vi piace rifugiarvi a leggere poesia, letteratura, per voi e non per lavoro?

Giulia: da poco mi sono ri-trasferita, dopo una parentesi toscana, in Lombardia, dove sono cresciuta. I luoghi sono quelli della mia infanzia: il Parco del Ticino, il suo verde e il suo fiume.

Lara: da ‘pura’ milanese ‘acquisita’ (e come dice qualcuno, decisamente imbruttita), la mia vita è troppo frenetica da avere tempo per rifugiarmi da qualche parte a leggere. Quando riuscivo a farlo era nei parchi, come il parco Sempione e i giardini di Porta Venezia



Dove vi vedete tra dieci anni? 

Lara: proprio in questo momento di vita sono abbastanza in crisi, sto lavorando principalmente come editor per un marchio Mondadori. Stress di carriera a parte, sto riprendendo in mano l’idea di lavorare per un marchio indipendente che fa meno titoli all’anno, lavorare per la prima volta nella vita con più calma ed essere più felice. Oppure aprire uno studio editoriale mio aiutando le case editrici a sviluppare nuove idee e vendere anche il pacchetto completo: dalla progettazione al libro che va in stampa.

Giulia: per me è molto difficile rispondere perché spesso mi trovo davanti a svolte di carriera inaspettate. Per tanti anni ho lavorato come guida rafting e istruttrice di canoa, nonostante gli studi non pensavo di finire a lavorare in editoria! Quello che so è che ho bisogno di fare quello che mi fa star bene, non riesco a fare troppi sacrifici per lavorare o guadagnare di più. E ho bisogno di tempo libero per rilassarmi, andare in montagna o al mare. 

Mi muoverò, credo, a vista. Continuo a vedermi come libera professionista, anche se per tanto tempo pensavo che un posto fisso mi avrebbe permesso di godermi nel tempo libero tutte le mie cose con più serenità, ma in realtà non è così. Mi vedo su questo stesso solco, solo se Redacta continuerà a esistere, qualunque sarà la sua forma. È questo progetto che mi ha permesso di non lasciare il mondo dell’editoria e migliorarne, insieme a tanti altri, le sue condizioni.

Lascia un commento