Renzo Giapparize, flâneur

Renzo potrebbe essere uscito da una foto d’inizio ‘900 quando Montmartre e i suoi pittori cominciavano a farsi conoscere in giro per il mondo. I capelli a fumetto che fuoriescono da basco e i baffi che solleticano occhi intelligenti: ecco le linee di Renzo. La sua creativa briosità mi ha sempre impressionato, e così ho deciso di scoprire un po’ meglio da dove venisse.

Dove vivi i primi anni della tua infanzia?

Sono di Verbania, sul lago Maggiore; nasco subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e per me gli anni di fine anni ’50 e i primi anni ’60 sono anni di vita conformista fatta di casa, chiesa e pallone. Poi finalmente i lenti, le feste, il cinema, le tette. All’oratorio si vanno a vedere i primi film, con i baci – quando ci sono i baci… Tutti vogliono film di azione, e l’oratorio è l’unico posto dove proiettano i film e sono solo i film d’azione.

E la scuola? Fino a quando stai a Verbania a studiare?

Ho studiato da perito chimico ma poi nel 1964 decido di andare all’università di Milano. Il trasferimento a Milano è un vero e proprio trauma: da un mondo piccolo dove tutti si conoscono all’anonimato più totale. Le relazioni non sono date, naturali, bisogna cercarle. Io sto in un collegio, in centro, in zona P.ta Romana. Dopo un annetto di anonimato, comincio ad orientarmi ma tutto resta meno fluido rispetto a Verbania. Ricordo solo una grande amicizia, un compagno di università, che mi presenta un po’ di persone e mi fa conoscere Milano. Ma non è a Milano che faccio incontri amorosi, bensì a Verbania dove incontro una ragazza francese, Nunù, con cui però vado poi a vivere a Milano, per un paio di anni (in via Solferino, in una piccola mansarda). Nunù sta per Annonciade, figlia di genitori di origine siciliana ma nati in Tunisia. Nunù si sta laureando in letteratura italiana facendo una tesi sulle edizioni censurate. Io, tra l’altro, mi godo Milano che verso la fine degli anni ’60 è un luogo di festa continua e di imprevisti spassosi. Ad esempio, la famosa contestazione del Don Carlos alla Scala nel dicembre del 1968: tutti che urlano, pomodori che volano e io son lì a guardare e a divertirmi quando uno svizzero di passaggio chiede ‘ma che succede?’ E uno dei manifestanti risponde prontamente ‘ Stia tranquillo, stiamo contestando il Don Carlos…’. E lo svizzero che chiosa: ‘Non sapevo ci fosse a Milano tutta questa passione per la lirica’. Sono storie che possono succedere solo in questi anni.

E come mai decidi poi di partire per Parigi (primo viaggio – 1970-1971)?

A Milano continuo a fare un po’ di lavoretti e a studiare, ma incombe il servizio militare. Per posticiparlo, vado in Francia per motivi di studio, anche se sono rassegnato al fatto che devo farlo – il servizio civile. Ma una inattesa gioia mi risparmia il servizio militare: il momento della verità avviene a Vercelli, dove mi reco per sapere dove prenderò servizio. Entro nella stanza e mi dicono ‘Giapparize: lei non parte’. Che emozione, una gioia sognata per parecchio. Il militare mi ha sempre messo angoscia.

E così finisci gli studi a Milano ma riparti subito per Parigi (secondo viaggio – 1972-1977)?

Sì: finisco di scrivere la tesi e la discuto nella primavera del 1972. E così decido di andare a Parigi da Nunù, anche se io vado a cazzeggiare, nel diciottesimo (Montmartre). ‘Palpo’ il centro, annuso il mondo, conosco gente bizzarra che mi diverte molto. Gente come l’Avventore: vicino ad un mercato delle pulci, trovo un bar frequentato da pensionati ed operai, e una mattina entra un tipo altissimo con gli stivali, un cappotto lungo fino ai piedi, uno sciarpone, un bell’omone insomma, e ordina – ‘un rouge!’. Gli arriva il bicchiere, lo afferra e lo butta nel lavandino, davanti allo sguardo attonito dell’oste. La scena si ripete: ‘un rouge!’, e il bicchiere fa la stessa fine di prima. Una risposta situazionista alla ribellione che apparentemente ribolle a Parigi in questi anni. Un’altra scena che ricordo con piacere è questa: son seduto ad un bar, e c’è un uomo bizzarro con una sveglia al collo ed alcuni oggetti addosso. Lo guardo, mi sorride, e mi dice: ‘ça serait un rapport humain’. Mi è piaciuta l’idea – o mi vuoi conoscere, o mi vedi come un pirla. Rimane l’imperativo di conoscere, non di compiacerti o sorprenderti di vedere il bizzarro.

Son anni di ‘strane storie’…

Ah, eccone un’altra storia di quei tempi. Mi trovo sul treno, ed entrano una coppia di ‘capelloni’, camicie a fiori, e sorrisi ampi. Sul treno si parlotta del più e del meno e l’uomo, per celebrare l’amicizia ferroviaria, mi scodella davanti una tetta della moglie – che però non sorride molto…. Un gesto a mo’ di omaggio. Il cazzeggio parigino dura tre o quattro anni: Nunù vince un concorso importante per l’insegnamento e grazie al periodo era stata trasferita a Charleville-Mézières e tra i suoi colleghi c’è un amico, Remi, a cui sono rimasto molto legato. I ritorni a Parigi sono per chiacchierare, senza fare molte cose – per conoscere i destini. In questi anni vivo da flâneur, con tachicardia derivante dalle indecisioni. In occasione del rientro a Verbania per il funerale di mia madre, nel 1977, mi offrono subito un posto di lavoro per insegnare scienze in un liceo scientifico e poi all’istituto geometri. Anche questi sono anni divertenti. Di recente ho incontrato una giovane che ancora si ricorda alcune delle mie frasi: ‘da giovani c’è un solo dovere: leggere e chiavare’. Ricordo anche un’altra mia ex-studentessa, e del suo rientro a casa dopo la scuola. E’ angosciata e piangente, e piangendo dice ai suoi genitori: ‘non voglio vivere come voi, voglio vivere come Giapparize!’. Davvero anni di divertimento assoluto, anche se poi decido di trasferirsi a Milano nel 1980 perché a Verbania cominciano a vedermi un po’ troppo come personaggio. Da allora resto tra Milano e Abbiategrasso, per poi svolgere il resto della mia carriera in un liceo artistico milanese.

E hai qualche altro ricordo di altri allievi?

Sai, ogni tanto ne incontro qualcuno per strada. Qualche anno fa ho incontrato un mio ex-allievo bulgaro –chiaramente omosessuale già da piccolo, simpaticissimo, conoscitore di tante canzoni dialettali milanesi – che mi abbraccia, e mi ricorda un’altra delle mie massime del tempo: ‘il culo è sempre più intelligente della testa perché sa quello che fa! Consultate il culo, e poi rispondete’.

Cosa ha fatto la società e Milano per te?

Alla società e a Milano devo tutto, la scuola, la sanità, il paradiso che ho vissuto finora.

 

E tu cosa hai dato alla società?

Mah, credo di aver dato buonumore. A bizzeffe.

Qual è il tuo piatto preferito?

Non c’è un piatto solo, in generale mi piacciono le cose semplici – pane e olio, una salsa verde, la bruschetta. Più son semplici e più sento conforto, anche una fetta di salame o una mortadella…

Qual è la tua bevanda preferita?

Il vino rosso, biologico (per gioia della militanza), che non sia acido, deve essere rotondo, deve persistere un po’ nel palato ed avere un bel profumo di cantina, di invecchiamento.

Che musica ascolti?

Jazz, in generale. Scoperto attraverso un amico di Verbania, e poi mi è rimasto nel cuore il suono jazz. Poi ho comprato una tromba con l’idea di suonarlo un po’. Il libro di predilezione è Céchov – i suoi racconti. Ora sto leggendo – anzi, rileggendo – Seneca ‘Lettere a lucillo’, e ‘Le anime morte’ di Gogol.

Qual è il tuo talento migliore o una qualità che ti riconosci?

Credo di essere capace di materializzare l’assurdo, una mia qualità in generale molto apprezzata. E riesco a mettere in atto la perseveranza, uscendo dalla potenza.

6 risposte a “Renzo Giapparize, flâneur”

  1. Mario

    Sei sempre lo stesso. Ciao !

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  2. luca

    ciao sono il figlio della signora Atala, quella di Rugno, si andava a pescare insieme le trote di sfrodo e tua madre ci raccontava della storia partigiana, un caro saluto

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  3. Graziano

    Fantastico! Se tutti fossimo almeno un pochino flâneur, sono certo che gli uomini e il mondo sarebbero migliori.

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  4. Russo

    Auguri caro Renzo! Quanti anni sono passati. Ogni 5 maggio ho un pensierino per il flaneur.. .

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  5. Odile Gauci

    Ciao Renzo ! Saluti della Francia. Spero che tutto va bene per te .

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