Senza titolo (Milano)

 

Cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi che faccia ancora? Cosa vuoi? Siamo andati a letto una notte, che io ero ubriaco da fare schifo. Con le scarpe ai piedi ancora, a letto siamo andati. Abbiamo scopato. Sicuramente abbiamo scopato male. So come sono fatto la prima volta. Non mi ricordo niente. Non sapevo niente. Non sapevo chi eri, non sapevo come ti chiamavi. Ti ho portato a casa mia, un quinto piano che non mi posso permettere. Nell’ascensore ti ho spinto in un angolo, ti ho baciato forte. Ci stavi. Al quarto piano ti ho messo una mano nelle mutande. Al quinto abbiamo quasi fracassato lo sportello di legno e vetro. Poi è stato tutto un orgasmo veloce, che non mi ricordo. Ci penso, non mi ricordo. Siamo esplosi, penso. Al risveglio, un sole pallido dai grandi vetri, i collant neri sulla libreria, le mutande blu, le mie, al rovescio davanti alla porta del bagno. Abbiamo fatto colazione, in silenzio, e eravamo così soli seduti vicini, da stare malissimo, e eravamo così soli seduti vicini da stare alla grande. Abbiamo provato, secondo me ci abbiamo provato, a trovare qualcosa di meglio da fare. Ma qualcosa di meglio da fare, tesoro mio, non c’era. E ce ne siamo stati là, gli anni, un po’ in silenzio, un po’ a parlarci. Gli anni. Ci siamo aiutati? Non lo so. Ci siamo stati. Questo sì. Ci siamo stati. Ci siamo ancora, forse. Ogni tanto ti cammino di notte. Ti prendo. Ti fai prendere, sei fatta così. Ti fai guardare, ti fai toccare. Che non sembra mai possibile, la gente non ti capisce. Invece sei facile, amore mio, sei come tutto il resto, così fondamentale e così inutile. Ti sei presa tutto, ora che ci penso. Tutto quello che ero, ti sei presa. Dove mi hai messo? Nelle case di ringhiera, coi ballatoi stretti senza segreti. Nei vecchi che vivono da soli. A cosa pensano i vecchi che vivono da soli? A cosa pensano? Nell’odore di verze bollite. Nel kebab da asporto. Dove mi hai messo? Nei colpi di tosse, la notte, di quelli che fumano soli sui balconi. Nella fatica. Nella novanta. Nei barbieri che parlano di politica e di pallone. Nei bar dove devi fare prima lo scontrino. Nella cannella sulla panna montata. Nelle piazze deserte. Nei giapponesi che fanno le fotografie. Dove cazzo mi hai messo, amore mio? Negli aperitivi sui navigli. Nei sushi con le amiche. All’Esselunga. Su Tinder. Nel brunch. Nei quartieri di periferia. Nelle università private. Nei circoli arci. Nelle mostre a Palazzo Reale. Nel parco di Porta Venezia. Negli idraulici costosi. Nei box per le macchine. Sulla tangenziale est. Nelle pasticcerie. Sotto gli alberi. Dentro la Martesana. Dove mi hai messo? Sul quattordici. Nel bosco verticale. Nel risotto giallo. Nelle case senza ascensore. In Piazza Sant’Alessandro. Nella fibra ottica. In Stazione Centrale. Nelle guardiole delle portinaie. Nei Carrefour Express. Nelle tasche dei venditori di rose. Nelle case al piano terra, che ci puoi guardare dentro. In Corso Buenos Aires. Negli orti urbani. Nelle cucce dei cani. Negli asili nido. Nelle speranze della gente. Su Justeat. Nel riscaldamento centralizzato. A San Siro, durante il derby. Dimmi dove cazzo mi hai messo, tesoro mio? Nelle serie tv. Nei cessi montati negli angoli. Nelle spa. Negli appuntamenti. Nelle settimane della moda. Nei cinema indipendenti. Nei mobili vintage. Nella gente che fa jogging. In una car2go. In Piazzale Piola. Nella nebbia. Nella solitudine. Nelle possibilità. Dove mi hai messo? Dove mi hai messo? Il foglio è finito, va bene, la smetto. Non importa, amore. Lascia stare. La verità è che t’ho amata tanto perché non hai mai avuto bisogno di me, Milano.

 

Elena Contenta Patacchini, from http://www.patatracchini.it/

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