Susie, assistente curatore

 

La tua storia in poche righe, con un accento sulla tua infanzia

Sono cresciuta a San Francisco, la città dove vivo tuttora. La mia famiglia ha incoraggiato la mia curiosità e l’apprendimento – da bambina leggevo sempre. Il momento in cui è nato in me l’amore per l’arte e per il viaggio è proprio quando abbiamo cominciato a viaggiare, e non mi ha ancora mai abbandonata. Sono andata al Wellesley College (in Massachusetts) per la mia undegraduation: è uno dei pochi college femminili rimasti negli Stati Uniti e sono estremamente fiera del tempo che ho passato lì. Durante il college ho studiato all’estero per un anno – ad Amsterdam, dopo che mi ero innamorata della città durante una vacanza con la mia famiglia durante il liceo. E’ ancora oggi, per me, la città più magica del mondo. E’ anche il primo posto dove ho avuto un contatto con il mondo dell’arte e ho capito che lì sarei voluta stare – ricordo che passeggiavo per il Rijksmuseum e mi sentivo a casa.

Dopo il college ho vissuto a Los Angeles per tre anni e l’ho amata ogni minuto – è qualcosa di fantastico vivere in un posto così assolato. Dopo mi sono spostata a New York per la graduate school in storia dell’arte all’Institute of Fine Arts, dove mi sono specializzata nella pittura olandese del XVII° secolo. Mi diverte ancora pensare come sia finita a lavorare nell’arte contemporanea, ma in qualche modo penso che il mio bagaglio culturale relativo a qualcosa di diverso da essa è quel che infine mi dona una prospettiva differente in ogni cosa che faccio ora – non vedo l’ora di scavare la storia più profonda e creare quelle connessioni adatte a guardare sempre più lontano. Talvolta mi sento un tantino anacronistica, come se fossi di un altro tempo, e credo tutto questo sia dovuto all’amore che ho per il passato. Infine, dopo quattro anni a New York, sono ritornata a San Francisco per essere più vicina alla mia famiglia, ed eccomi qui di nuovo, sei anni più tardi!

 

Come assistente curatore allo Yerba Buena Center for the Arts quale compito ti rappresenta meglio e quale pensi sia il naturale sviluppo del tuo lavoro in questo campo? 

Ci sono così tanti aspetti che amo del mio lavoro, dovendone scegliere uno sicuramente quello di lavorare con gli artisti. Lavorare con qualcuno per aiutare a realizzare il loro progetto è gratificante ed elettrizzante. Mi piace anche tutto quello che concerne il back office della preparazione delle mostre, le cose che il pubblico di solito non vede: ricerche, redazione, preparare i grafici, discutere le piante. E’ tutto una serie di piccoli pezzi che metti insieme per farne di essi un insieme più grande.

Ho da poco iniziato a curare le mie mostre e spero di poterne fare di più. E’ stato fantastico e anche esilarante implementare qualcosa tutto da sola. Spero di restare in questo campo a lungo, come curatore.

 

Ti sei laureata in scienze politiche prima di dedicarti totalmente allo studio delle art? Quali erano le professioni che t’interessavano in quel periodo? 

Al College, ho studiato sia scienze politiche sia storia dell’arte e le ho amate entrambe. Imparare tutto del governo Americano è sempre stato incredibilmente affascinante e alcuni dei miei corsi preferiti erano in Politica Americana (uno dei fondamentali, peraltro, della mia facoltà). Penso che ognuno (nel suo paese) dovrebbe imparare meglio come funziona la costituzione, i sistemi giudiziari e soprattutto i diritti dei cittadini. Sono tutte cose con un impatto forte sia nella vita quotidiana che in un senso più ampio. Quando mi sono laureata non sapevo ancora cosa fare, così iniziai a lavorare in un piccolo studio legale per tre anni prima di tornare alla storia dell’arte. E’ stata la migliore decisione che potessi prendere. Ho imparato coì tanto, non solo sulla legge, ma sulla vita.

 

Il tuo approccio con i colleghi più anziani del team? Cosa ti piace di più di quello che fai: quando arriva il primo prestito al museo o il momento dell’inaugurazione quando arrivano i giornalisti? 

La maggior parte dei miei colleghi è coetanea – e intendo anche i senioir. Detto questo, cerco di relazionarmi sempre con rispetto e tengo sempre ben a mente che tutti cercano di fare il loro lavoro al meglio. Il mio team è veramente molto unito, e lavoriamo bene insieme: il tutto rende assai piacevole venire al lavoro tutte le mattine!

Quando iniziamo a montare una mostra, mi piace tutto. E’ così stimolante e anche gratificante vedere tutto quello che avevi pianificato accadere per la prima volta, ma poi certo, ci sono altri momenti speciali come ad esempio quando tutto è fatto e puoi vedere l’insieme.

Quel che amo davvero è tutto quello che sta nel mezzo – il turbinio del movimento, lo spirito di squadra, vedere il meccanismo di supporto accadere e, infine, vedere i lavori installati.

 

Le politiche di formazione del centro dove lavori? Soprattutto quelle mirate ad attrarre il pubblico?

Siccome siamo un centro d’arte multidisciplinare e non un museo, non abbiamo un ufficio, di tipo classico, dedicato alla formazione. Il dipartimento incaricato all’interazione con i cittadini, tuttavia, si occupa di far crescere tutte le iniziative di formazione. Abbiamo un programma di lunga durata ormai, si chiama Young Artists at Work (YAAW), è un tirocinio di un anno per studenti di liceo e ci occupiamo di integrare il loro curriculum con la nostra programmazione. Sperimentiamo costantemente nuove modalità per raggiungere il pubblico sia oltre il nostro spazio fisico sia in relazione al comunità più vasta della Bay Area con programmi che spaziano dalle arti alle iniziative civiche.

Abbiamo formato, grazie a membri del nostro staff ed amici che ne tengono le fila, dei network che indagano diversi ambiti: il futuro urbano, l’ecologia, l’economia, il lavoro. Oltre ai network, stiamo lavorando anche alla seconda programmazione dello YBCA100, un gruppo di artisti, pensatori, scrittori e leader che ispirano tutti noi che lavoriamo qui. Quindi, posso dire che abbiamo diversi sistemi per raggiungere tutte le diverse comunità che ci ispirano e con cui vogliamo lavorare per rendere il centro una parte veramente vitale, dinamica per la Bay Area ed oltre.

 

Tra le tue passioni, c’è anche quella di essere una appassionata tifosa? 

Sì! Tifo per I San Francisco Giants (squadra di baseball) da oltre 20 anni. Soltanto di recente hanno cominciato a vincere campionati e ho già una discreta collezione di fantastici ricordi. Il migliore, certo, è stato quello della prima vittoria: nel 2010. E’ fantastico essere conosciuta come la fan più sfegatata qui in ufficio, perché mi capita sempre di ricevere qualche biglietto extra!

 

Il più importante risultato come curatore e quello, invece, a livello personale? 

Sicuramente quello di aver curato la mia prima mostra, che si è aperta ad agosto. E’ qualcosa su cui ho lavorato molto e non è certo la cosa più importante perché posso dire di aver curato una mostra, ma per la straordinaria esperienza di apprendimento che si è rivelata. Mi ha tolta dalla confort zone e mi ha messa nella posizione di assumere un ruolo, quello di selezionare artisti ed opere, prendere decisioni durante l’intero processo, e cosa più importante, chiedere aiuto quando ne avevo bisogno. Quindi, dal punto di vista professionale, è stato incredibilmente stimolante e gratificante.

Dal punto di vista personale, stavo lavorando a una grande mostra che poi abbiamo esposto anche in altri posti, Radical Presence: Black Performance in Contemporary Art. Occupandomi di questo progetto, ho potuto lavorare con il curatore originario della mostra e con i vari artisti che portavamo in giro per le performance, e messa in maniera semplice, ha cambiato la mia prospettiva in così tanti modi, dal punto di vista artistico ed oltre. Sono immensamente grata di quest’esperienza e la porterò con me per il resto della mia carriera. E’ stato utile avere queste esperienze parallele di lavoro – su qualcosa di mio e su qualcosa di condiviso – per capire alla fine che quella condivisa è stata la più impattante.

 

Gli incontri che fai nella tua vita lavorativa? 

Se ogni giorno è assai diverso dato che dipende dai progetti su cui lavoro, ho certe cose che invece non cambiano. Ogni mattina ed ogni sera è una lotta per entrare nei bus, che sono sempre più affollati. E’ curioso vedere sempre una serie di persone con cui difficilmente ci parliamo. Per me il bus è il momento quieto della lettura. Tendo ad andare al lavoro più presto di quanto dovrei e ci sono già un po’ di noi prima delle 9, si sviluppa uno spirito cameratesco tra di noi.

 

Cosa ti da la tua città e cosa dai a lei?

San Francisco al momento è un posto molto tosto in cui vivere. E’ vibrante, con tante persone che fanno cose importanti ed attività creative, ma allo stesso tempo sta diventando proibitivamente cara per molte persone – più di New York. C’è una perdita di equilibrio. E’ duro da dire perché è la mia città natale, ma me la posso ancora permettere solo perché sono riuscita ad entrare in un appartamento dagli affitti controllati cinque anni fa. Non potrei, ad esempio, permettermi di vivere qui se ci venissi ora. Poi lavoro nel mezzo della comunità tecnologica e di affari, mi sento assai frustrata perché non vedo lo stesso supporto dato ad altri settori anche per le arti. E non parlo soltanto finanziariamente, anche se certo è parte del tipo di supporto. Oltre tutto, siamo ostaggio di una grave siccità, quindi dovremmo parlare anche della questione del clima e l’intero stato di cui la città fa parte è in crisi. Nonostante ciò, continuo ad amare la mia città. E’ una delle più belle città americane ed è veramente un luogo perfetto per essere ispirati, sia che si lavori nell’arte che nella tecnologia o nell’industria del cibo o in qualsiasi altro settore. Spero che, lavorando nel no-profit e in un’organizzazione artistica, contribuisca a mantenere vivo lo spirito indipendente e pieno di vita di questa città.

 

Una cosa bella capitata di recente?

Andare a Venezia! Era da tanto che speravo di visitare la Biennale ed è stata una promessa a me stessa, quella di andarci quest’anno. E’ stato molto importante mantenerla, perché è stata una ricompensa per un sacco di duro lavoro e lo consideravo anche molto importante per la mia professione. L’intera mostra era meglio di come l’avessi immaginata e ho passato sei giorni a guardare arte otto ore al giorno. La cosa più bella per me è stata il fatto che gli eventi collaterali fossero sparsi un po’ dappertutto e questo ti costringeva ad esplorare la città in un modo differente – spesso evitando i luoghi più inflazionati e camminando in giro per viuzze inaspettate. Mi sono persa non so quante volte ma è stato parte del divertimento. E ho incontrato Diana!

 

Una tua passione culinaria?

Ho cominciato a cucinare soltanto da un paio d’anni – non mi ero mai interessata così tanto prima. Non è tanto per un determinato piatto, o un determinato stile: mi appassiona proprio l’aver scoperto la gioia di cucinare che non avevo mai avuto prima. E’ così bello preparare un piatto e poi mangiarlo. Oppure trovare un’abilità che non mi aspettavo – ad esempio avere tutti gli ingredienti necessari per una ricetta; essere capace di cambiare un ingrediente con un altro perché ora so come funziona; sperimentare. Dato che mi diverto sempre di più, mi riesce sempre meglio e tutto diventa ancora più bello. Mi piace molto condividere ricette con la mia famiglia ed i miei amici.

 

Un drink o il tuo vino preferito?

Adoro il vino – pare che sia stata una delle prime cose che gli attuali colleghi abbiano scoperto di me! Ho scoperto di amare i sauvignon blanc della Nuova Zelanda e bevo quasi sempre quelli. Quando bevo i rossi, ho iniziato ad apprezzare gli italiani: i Nebbiolo, i Montepulciano e i Sangiovese. Anche il Lambrusco! Oh, e mi è piaciuto assaggiare i vini croati quando sono stata lì. Ho anche comprato un paio di bottiglie di ritorno a casa in un negozio vicino a dove lavoro.

 

La musica e un libro (o libri) con te adesso (e dove sono poggiati)?

Sono un gran lettore, e mi sento un po’ perduta se non ho un libro da leggere. Adesso sto leggendo Ta-Nehisi Coates, Between the World and Me. Quando lo finisco, inizierò A Paradise Built in Hell di Rebecca Solnit. Questi libri sono un po’ inusuali per me, entrambi non-fiction: di solito mi piace la narrativa. Li ho presi entrambi alla San Francisco Public Library, che mi consente di leggere così tanto. La libreria pubblica è una delle più importanti risorse cittadine e la sede centrale qui a San Francisco è una città per se stessa – quasi uno spaccato della società.

I libri che leggo sono sia nella mia borsa (leggo quando vado al lavoro) o sul divano, di solito.

 

Il posto, su questo pianeta, dove ti è riuscito di vivere lentamente, se ti è riuscito? 

E’ molto difficile da fare. Quando vivevo a New York, mi ricordo di aver avuto bisogno di uscire dalla città di tanto in tanto, proprio per rallentare. E San Francisco sta diventando molto simile. Di solito, nei week end rallento e passo il mio tempo a casa. Leggere e cucinare sono le attività con cui posso rallentare al meglio. Mi fanno pensare, rilassare e anche godere il momento.

 

Il talento che hai quello che ti manca?

Mi sarebbe piaciuto conoscere tante lingue: italiano, tedesco, francese, olandese. Ho studiato spagnolo a scuola per anni ma mi piacerebbe rinfrescarlo. Ho imparato un po’ di olandese quando vivevo ad Amsterdam e ho dovuto superare i test di lettura in francese e Tedesco per il mio master, quindi ho pezzetti di lingue diverse in circolo per la testa – ma non sono fluente in nessuna di esse. Adoro le lingue, e mi è sempre piaciuto impararle, ma non l’ho mai fatto al di fuori dei corsi scolastici. Dico sempre che tornerò indietro e imparerò di più ma poi non ho mai veramente il tempo.

Siccome è sempre stato facile per me imparare altre lingue, posso dire che posso usare questo talento per conquistarne degli altri!

 

 

Cosa hai imparato, sin qui, dalla vita?

Che è dura, ma ci sono anche molti momenti di gioia. Devi solo scoprire dove sono e come trovarli. Non c’è una soluzione semplice alla felicità, ma ti aiuta a capire cosa vuoi – e in qualche modo sto ancora imparando.

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